Paolo Landi

La “campana stonata” che ha fatto storia

In vita don Milani fu considerato una “campana stonata”. Questa fu la motivazione data per il suo “trasferimento” da Calenzano a Barbiana. Da una grande parrocchia ad una che nel 1954 contava 120 parrocchiani sparsi in una decina di case tra i campi e i boschi sul monte Giovi dove non c'era né luce elettrica, né strada, né acqua potabile.
“Campana stonata” perché nell'ambiente operaio di San Donato aveva avviato una Scuola Popolare aperta a cattolici e non cattolici dove si insegnava la Costituzione, si discuteva sul contratto di lavoro e sulle condizioni in fabbrica. “Stonata” perché il giovane Cappellano considerava l'ingiustizia sociale una bestemmia, la ricchezza della Chiesa e la collusione tra gerarchia e potere un insulto al Vangelo, un ostacolo alla sua missione di prete.
Il conflitto con la Curia Fiorentina si acuì con la pubblicazione di Esperienze Pastorali nel 1958, un libro poi fatto ritirare dal commercio dal Sant’Uffizio, e in seguito, nel 1965, con la Lettera ai cappellani militari a difesa degli obiettori di coscienza. Lettera che gli valse una denuncia per apologia di reato, incitamento alla diserzione e vilipendio per la quale subirà un processo.
Il Vescovo per indurlo al silenzio gli impose la censura, (Dovunque vai e qualsiasi cosa scrivi dev’essere da me autorizzata) e lo invitava alla “escardinazione,” ad abbandonare la tonaca.
In quei giorni la tensione con il vescovo Florit raggiunse il culmine, ma ad impedire provvedimenti che sarebbero stati drammatici, fu un assegno di Papa Paolo VI inviato alla scuola con due righe di augurio a don Lorenzo per la sua salute.
Don Lorenzo muore nel 1967, esiliato dalla Chiesa, emarginato dalla scuola, condannato dallo Stato per apologia di reato tre mesi dopo.

Il Maestro “assolutista”
In quegli anni l’educatore don Milani, considerato dalla Chiesa scomodo e pertanto esiliato, veniva mal visto dal mondo della scuola e criticato per le sue posizioni intransigenti e radicali. La sua emarginazione si acuì con la pubblicazione di Lettera a una Professoressa; gli insegnanti si sentirono messi sul banco degli accusati per aver avallato una scuola di classe “un ospedale che cura i sani e respinge i malati” e si ritenevano offesi per alcune affermazioni provocatorie: “Io, cari insegnanti, vi pagherei a cottimo, anzi no, multa per ogni ragazzo che non riesce”.
Solo pochi insegnanti capirono che la Lettera era un libro pieno d'amore per la scuola e per la professione dell'insegnante. Un libro che introduceva nella scuola dell’obbligo un principio “rivoluzionario” alternativo a quello della “imparzialità”: “Non c'è nulla che sia ingiusto quanto far le parti eguali fra disuguali”. Un principio coerente con la Costituzione che impegna la scuola a rimuovere gli ostacoli invece di utilizzarli per emarginare i ragazzi più poveri, quindi bocciarli e allontanarli definitivamente dalla scuola.
Ricordo l’intervento di una professoressa a Matera: “Io del principio dell'imparzialità ne facevo un vanto, poi quando ho letto Lettera ad una Professoressa sono andata in crisi, mi sono accorta che ero stata lo strumento di una selezione di classe nella scuola dell’obbligo”.
Come disse Pasolini: “E’ un libro che riguarda la scuola, ma nella realtà riguarda tutta società italiana”.
E riguarda anche la scuola d’oggi, pur notevolmente cambiata rispetto al passato, se guardiamo al fenomeno della dispersione scolastica che raggiunge preoccupanti livelli in alcune regioni d’Italia. Don Milani affermava che “se si perdono i ragazzi che abbandonano la scuola, la scuola non è più scuola”. Tutti dovevano poter studiare ma per lui il “diritto allo studio non significa scuola facile”. Lo studio quindi era fondamentale: non era consentito perdere tempo, distrarsi e su questo don Milani era molto severo, non ammetteva condotte futili e discorsi superficiali e pretendeva il massimo impegno. Era molto attento a insegnarci a ragionare con la nostra testa: “La scuola è l'arte delicata di condurre i ragazzi su un filo di rasoio: da un lato formare in loro il senso della legalità, dall'altro la volontà di leggi migliori, cioè il senso politico”.

Il profeta, l’educatore
Occorre arrivare al 2017, a 50 anni dalla sua morte, per scoprire tutta la portata storica dell'esperienza di Barbiana e degli insegnamenti di Don Milani.
Papa Francesco va a Barbiana, prega sulla sua tomba, riconosce l'errore della Curia Fiorentina, fa propri alcuni degli insegnamenti sulla parola, afferma: “Voi siete testimoni della sua passione educativa… il suo dedicarsi completamente alla scuola per dare ai poveri la parola, perché senza la parola non c'è dignità e quindi neanche libertà e giustizia. È la parola che potrà aprire la strada alla piena cittadinanza nella società mediante il lavoro e alla piena appartenenza alla Chiesa con una fede consapevole”. Per poi indicare don Lorenzo come un profeta: “Il prete trasparente e duro come un diamante continua a trasmettere la luce di Dio sul cammino della Chiesa. Prendete la fiaccola e portatela avanti”.
Anche il mondo della scuola riconosce il Maestro Don Milani e nel convegno del 2017 “Insegnare a tutti” il MIUR ne celebra la figura di “grande e illuminato educatore, una guida eccellente, un ispiratore”. Nella circolare del 5 giugno dello stesso anno il MIUR riprende il messaggio di “Lettera a una professoressa”, “una forza dirompente, un linguaggio forte, radicale, nuovo” e riconosce che “Barbiana ha costituito un’esperienza educativa nuova, non fondata sulla lezione frontale, sulle interrogazioni e sull’uso acritico dei manuali”; infine, richiamando “i principi del suo operato … alla base di una scuola inclusiva e realmente democratica” invita docenti e studenti “ad una rilettura degli scritti e della figura di Don Milani”. Oggi sono 950 le scuole, in Italia e all’estero, che portano il suo nome, così come sono numerosi i centri culturali, parrocchiali, di genitori e insegnanti che a lui si ispirano a testimonianza di quanto il suo pensiero sia stato rilevante non solo in ambito educativo. Infine l’ultimo riconoscimento nel 2021 da parte della Presidente dell'Unione Europea Ursula von der Leyen che, ricordando l‘insegnamento di Don Milani, afferma “I CARE, prendersi la responsabilità, deve essere il motto dell’Europa”.

Essere dirigenti
Ho avuto la fortuna di partecipare alla scuola di Barbiana e gli insegnamenti sono stati per me un riferimento per tutte le esperienze nel sociale che ho fatto nei 20 anni come sindacalista CISL nel settore tessile e abbigliamento, nei 25 anni in Adiconsum per i diritti dei consumatori e nei 10 anni con la Fondazione per un Consumo Sostenibile. Mai avrei pensato che io, figlio di contadini, con l’unico diploma di Avviamento al Lavoro avrei fatto esperienze così significative in Italia, in Europa e nel Mondo.
Ricordo un aneddoto che può essere di insegnamento ai giovani delegati e sindacalisti. Quando partii da Barbiana per andare a Milano, don Lorenzo mi dette un paio di consigli: “Vai a Milano a sostituire un sindacalista. È lì che c'è il grande sindacato. Parteciperai a riunioni dove ci sarà da decidere lo sciopero o delle richieste o come concludere una vertenza. Ricordati due cose: per un anno tieni la bocca chiusa! Se ti viene di intervenire, morditi la lingua. Ascolta, impara, fai domande, dopo un anno, se sei in una riunione e non condividi ciò che viene detto, devi prendere la parola e spiegare le tue proposte e le ragioni per cui non sei d’accordo. Non devi restare zitto!”. Prima di tutto quindi bisognava conoscere e capire, poi avere il coraggio di esporsi e la capacità di difendere il proprio punto di vista.
E ancora: “Non assumere mai posizioni demagogiche, la demagogia crea facili consensi, ma non risolve alcun problema, quello stesso problema te lo ritroverai dopo e sarà ancora più difficile da risolvere”. E poi un consiglio per svolgere al meglio il ruolo di dirigente: “Ricordati che essere un dirigente significa essere capace di prendere anche posizione impopolari e difenderle se si ritengono giuste. Ricordati che coloro che seguono la demagogia o più semplicemente sono dei superficiali, non saranno mai considerati dirigenti”. Insegnamenti ancora di grande attualità.

Come bisogna essere
Ripensando al periodo di Barbiana non ho mai sentito Don Milani impostare una lezione sul sociale partendo dai diritti o dai doveri. La “chiave” per il sociale, come per la politica o la religione, era diversa, partiva sempre da “come bisogna essere” per cambiare la scuola, la fabbrica, la chiesa. “I care” esprimeva esattamente questo.
Don Milani non era soltanto un eccellente uomo di cultura ma era anche un uomo d’azione: “Con la parola alla gente non si fa nulla. Sul piano divino ci vuole la grazia e sul piano umano ci vuole l'esempio”. I suoi insegnamenti infatti erano sempre rivolti al prendere coscienza, a studiare il problema, ma poi a rimboccarsi le maniche e rischiare di persona per una cosa che si ritiene giusta. E invitava a non aspettare che fossero gli altri a risolvere i tuoi problemi poiché solo chi vive una situazione di marginalità o di sfruttamento può cambiare la propria condizione. Ricordo una battuta che sintetizza questo pensiero: “I bianchi non fanno le leggi che servono ai neri”. L’impegno doveva essere rivolto non solo verso chi è bisognoso: “Il buon cristiano, deve agire con entrambe le mani, una per rispondere alle esigenze immediate e l’altra rimuovere le condizioni che tengono il povero e gli emarginati sottomessi”. L’emancipazione non doveva essere solo economica, ma culturale e sociale: “La povertà dei poveri non si misura in carne, casa, caldo, si misura sul grado di cultura e sulla funzione sociale”.
Un invito quindi ad assumere responsabilità concrete nei confronti della collettività sapendo che “la politica è uscirne insieme, uscirne da soli è l’avarizia”.
I motori del cambiamento per il maestro di Barbiana sono dunque: la parola, la coerenza, la testimonianza e nel suo far scuola questi erano un tutt’uno. Per dirla alla don Mazzolari: “Non serve avere le mani pulite, se si tengono in tasca”.