Leonarda Tola

Scelta per noi da Leonarda Tola

Imparare dai maestri

Giannino Piana è uno degli studiosi italiani di teologia morale più importanti, autore di opere fondamentali sui temi della bioetica e dell’ecologia puntualmente aggiornati alle istanze della modernità e del progresso delle scienze umane sociali e ambientali. L’ultima opera Umanesimo per l’era digitale (2022) pubblicato dall’Editrice Interlinea è un libretto (nello stile dell’editore novarese) di poco più di cento pagine. Si legge come un vademecum per orientarsi nella complessità dell’oggi, una sorta di bussola che aiuta a non perdersi nell’intricata realtà in cui ci è dato vivere. Piana è sensibile all’urgenza di fornire un equipaggiamento di base e alcuni mezzi conoscitivi indispensabili ad affrontare il mondo e i suoi epocali mutamenti. A cominciare dalla rivoluzione digitale che incide sulla modificazione dell’essere umano fino a mettere a rischio il permanere dell’integrità umana nelle sue dimensioni personali e sociali. Lo straordinario del saggio è nella capacità di sintesi e nell’ordine logico degli argomenti: definizioni dei concetti ad altissimo tasso di chiarezza espressiva, inquadramento delle questioni con l’uso di un linguaggio trasparente nei significati e nell’impianto argomentativo. La coerenza del pensiero traspare e si trasmette attraverso la lucida padronanza dei temi e la straordinaria potenza comunicativa.
Scrive Gianfranco Ravasi a commento del saggio (
Sole 24 ore 5 febbraio 2023): “Le riflessioni offerte sono molto suggestive e costituiscono il nerbo dell’intera ricerca che si affida al discernimento posto all’insegna di due stelle di riferimento, la prudenza e la responsabilità. Quest’ultimo termine è particolarmente significativo perché implica un «rispondere all’altro» e non solo a sé stessi, provocando così il superamento di un’antropologia individualista. Si configura in tal modo la necessità della relazione nella sua triplice ramificazione: verso l’altro/diverso, verso il creato e, in sede religiosa (ma non solo), verso il trascendente, l’oltre”.

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Verso un nuovo umanesimo: possibilità e limiti

Dove va l'uomo? Da più parti viene oggi avanzata questa domanda, che non trova risposte univoche, ma che segnala l'esistenza di uno stato di disorientamento diffuso di fronte a eventi destinati a modificare profondamente l'identità umana. Vi è chi parla, al riguardo, di “fine dell'umanità” o di “crisi del progetto umanistico” per l'emergere di una serie di profonde trasformazioni indotte dagli sviluppi della scienza ma soprattutto della tecnica. Quest'ultima, che occupa oggi un ruolo di prim'ordine nella vita dell'uomo per la sua estrema pervasività — non vi è ambito della vita quotidiana in cui essa non sia presente — ha acquisito un importante significato antropologico, trasformandosi da semplice strumento al servizio dell'agire umano in fattore di mutazione della coscienza, fino a diventare una vera e propria “nuova natura”. All'analisi degli effetti più significativi dell'uso di queste tecnologie — dal digitale all'intelligenza artificiale, ma anche ai cambiamenti socioculturali — è dedicata questa prima parte del volume, che non si accontenta di registrare quanto è avvenuto (e avviene), ma si preoccupa delle ricadute antropologiche ed etiche che scaturiscono dai processi in corso.

L'intelligenza artificiale

La rivoluzione digitale ha il suo blocco più rilevante nell'avvento dell'intelligenza artificiale (IA), dove (almeno in apparenza) sembra attuarsi la piena sostituzione della macchina all'uomo. Nonostante la difficoltà di previsioni sicure dovuta alla rapidità con cui i processi tecnologici evolvono e alle loro implicazioni globali, non è difficile ipotizzare fin da oggi la sua possibile applicazione a tutti gli ambiti di sviluppo della vita umana fino alle stesse relazioni familiari e amicali. Più controverso è il giudizio sugli esiti tale applicazione, che non riguarda soltanto le modalità di sviluppo delle diverse attività umane, ma coinvolge, come gli altri processi ricordati, la coscienza personale e i rapporti interumani, suscitando un atteggiamento misto di fascino e di paura, di attesa e di inquietudine.
L'intelligenza artificiale può infatti offrire all'umanità nuove (consistenti) potenzialità espressive: si pensi soltanto all’aumento delle capacità cognitive, grazie alla possibilità di estrarre da grandi quantità di dati, attraverso alcuni algoritmi, informazioni importanti che consentono di analizzare problemi sempre più complessi; o, nel campo dell'attività lavorativa, all'assegnazione alla macchina dei compiti più gravosi e ripetitivi con la conseguente possibilità che l'uomo si dedichi a quelli più creativi e di controllo della qualità; o, ancora allo sviluppo di processi sempre più ampi di comunicazione grazie alla possibilità di fruire della traduzione immediata dei discorsi in lingue diverse fornita da strumenti tecnologici già fin d'ora in via di avanzato perfezionamento.
Tutto questo è fuori discussione. Ma non si devono misconoscere gli effetti negativi, riconducibili anche in questo caso – come dicono le previsioni – alla drastica riduzione dei posti di lavoro e perciò all’aumento della disoccupazione – si calcola che negli Stati Uniti entro non molti anni il 47% dei lavori sarà automatizzato –; o provocati – come rileva il Fondo monetario mondiale – dall'ipotesi ipotesi (non del tutto peregrina) che la rivoluzione dei robot faccia salire il Pil ma comporti nel contempo la crescita delle diseguaglianze; o, ancora (e infine), consistenti nel campo della difesa militare, nella produzione di sistemi di armi completamente autonome, i cosiddetti killer robots, che possono estromettere i soggetti umani dalle decisioni e dalla possibilità di esercizio del controllo, diminuendo, di conseguenza (fino ad annullarla), la responsabilità personale e accentuando la disumanizzazione dei processi bellici, con ricadute tragiche sull'intera famiglia umana.
Gli scenari che si aprono sono dunque insieme promettenti e allarmanti; e questo, a maggior ragione, se si considera – come rileva Max Tegmark del Mit di Boston in un suo importante volume – che gli sviluppi dell'intelligenza artificiale sono in grado di produrre in poche settimane una vera rivoluzione dell'assetto industriale e geopolitico. Ma, anche in questo caso, l'aspetto più inquietante è costituito dalla mutazione antropologica, la quale chiama in causa il futuro dell'intero genere umano. Gli interrogativi che affiorano sono, a tale riguardo, i seguenti: quale evoluzione ci attende? Quale destino per la specie umana?
In questo contesto acquista pieno significato il termine “transumanesimo”, coniato nel 1957 da Julien Huxley, noto biologo, genetista e scrittore britannico, e sembra trovare compimento la «suprema speranza» cui fa cenno Nietzsche in Così parlò Zarathustra, quella di fungere al superamento dell'umanità grazie alla nascita di una «nuova bella specie» di uomini superiori. In realtà tale mutazione non va ascritta soltanto alla robotica, ma anche (e per molti aspetti) alle biotecnologie e alle nozioni acquisite grazie alle conoscenze che provengono dalle neuroscienze. È quanto sottolinea l'articolo 1 della Carta dei transumanisti italiani, in cui si legge: «Grazie a biotecnologie e ingegneria genetica, nanotecnologie e robotica, intelligenza artificiale e neuroscienze spezzeremo i nostri vincoli biologico-evoluzionistici emancipandoci da invecchiamento, malattia, povertà e ignoranza».
A emergere è dunque la tendenza a “reinventare” l'essere umano, elevandolo a un livello biologico superiore e confidando nella tecnologia come strumento privilegiato per conseguire questo risultato. Dietro la tensione ad andare “oltre” la situazione attuale, di cui l'intelligenza artificiale risulta il traguardo più avanzato, vi è una sorta di fiducia incondizionata nelle potenzialità della tecnica, una sorta di moderno prometeismo per il quale si ritiene che essa sia grado di far superare all'uomo tutti i limiti che da sempre sperimenta.
Al di là delle riserve già segnalate nei confronti di tale fiducia, la questione di fondo con la quale è necessario confrontarsi è la concezione della persona umana e i parametri di definizione della sua dignità ai quali si fa appello per orientare il percorso delineato; o è il sistema valoriale a cui si fa riferimento per valutarne le diverse tappe evolutive. I sostenitori del postumanesimo (o, secondo la dizione di altri, del tecnoumanesimo) ipotizzano la fabbricazione, attraverso le pratiche di “antropoiesi biotecnologica”, di future specie dotate di capacità che solo impropriamente possono essere definite ancora umane. Il che pone domande di grande serietà, la cui risposta rinvia a istanze decisive provenienti dal mondo dell'umanesimo classico. Le competenze tecniche da sole infatti non bastano; si richiede un pensiero creativo, una nuova cultura di sintesi, capace di fare proprie le potenzialità offerte dalla scienza integrandole nel contesto di una visione globale dell'umano, che ne preservi appieno l'identità.

Da: Giannino Piana, Umanesimo per l’era digitale. Antropologia, etica, spiritualità, Ed. Interlinea 2022