Reginaldo Palermo

1985, verso la rivoluzione delle elementari

Proprio 38 anni fa, il 12 febbraio 1985, veniva pubblicato nella Gazzetta Ufficiale il DPR 104 che conteneva il testo dei Nuovi Programmi per la scuola elementare. Il decreto apparve subito come un documento altamente innovativo, sia per il metodo che era stato seguito per approvarlo e per portarlo in applicazione sia per i contenuti.
Incominciamo da questo secondo aspetto. Basta mettere a confronto due passaggi contenuti nei Programmi del 1985 con quelli precedenti del 1955 per rendersi conto di cosa stiamo parlando. “La scuola elementare – si legge nelle prime righe del DPR 104 - ha per suo fine la formazione dell'uomo e del cittadino nel quadro dei principi affermati dalla Costituzione della Repubblica; essa si ispira, altresì, alle dichiarazioni internazionali dei diritti dell'uomo e del fanciullo e opera per la comprensione e la cooperazione con gli altri popoli”.
Di tutt’altro tenore la premessa ai Programmi del 1955 in cui si sottolineava che la scuola elementare “ha, per dettato esplicito della legge, come suo fondamento e coronamento l'insegnamento della dottrina cristiana secondo la forma ricevuta dalla tradizione cattolica”. Un cambio di paradigma decisivo, soprattutto se si tiene conto del fatto che, proprio in uno dei paragrafi iniziali, quello dedicato alla “educazione alla convivenza civile”, si legge che “la scuola statale non ha un proprio credo da proporre né un agnosticismo da privilegiare”. E ancora: “Essa riconosce il valore della realtà religiosa come un dato storicamente, culturalmente e moralmente incarnato nella realtà sociale di cui il fanciullo ha esperienza ed, in quanto tale, la scuola ne fa oggetto di attenzione nel complesso della sua attività educativa, avendo riguardo per l'esperienza religiosa che il fanciullo vive nel proprio ambito familiare ed in modo da maturare sentimenti e comportamenti di rispetto delle diverse posizioni in materia di religione e di rifiuto di ogni forma di discriminazione”. Si tratta, insomma, di una novità importante maturata anche a seguito dei grandi cambiamenti culturali e sociali intervenuti negli anni ’60 e ’70.
Ma i Programmi del 1985 si contraddistinsero fin da subito per la metodologia con cui vennero approvati. L’ “operazione” aveva infatti preso avvio nel maggio del 1981 quando il Ministro dell’epoca, il democristiano Guido Bodrato, istituì con un proprio decreto la Commissione incaricata di rivedere i Programmi. La Commissione Fassino, così denominata dal nome del senatore sottosegretario all’Istruzione che la presiedeva (Giuseppe Fassino, appunto), fu inizialmente composta da 20 esperti ma arrivò a comprenderne 60. Per tutto il periodo i lavori furono di fatto coordinati dal pedagogista Mauro Laeng al quale si affiancarono esperti di alto profilo rappresentativi di diversi orientamenti scientifici e culturali (tra gli altri Roberto Maragliano, Mario Mencarelli, Cesare Scurati, Franco Frabboni, Matilde Parente, Michele Pellerey).
Una prima bozza dei lavori venne consegnata  nella primavera del 1982 al Ministro, che poco dopo decise di allargare la Commissione portandola appunto a 60 membri. E fu proprio nella seconda fase dei lavori che si pose un problema di grande rilevanza e cioè a quali condizioni sarebbe stato possibile attuare concretamente i nuovi Programmi. I problemi erano sostanzialmente due: la formazione del personale e gli ordinamenti della scuola elementare. La prima questione si intrecciava anche con un tema presente nella normativa fin dalla legge delega 477 del 1973 (quella, per intenderci, dalla quale erano nati i decreti delegati del 1974) che prevedeva espressamente la formazione universitaria di tutto il personale docente già a partire dalla scuola materna, come allora si chiamava.
Il secondo problema riguardava il tema degli ordinamenti e fu chiaro all’intera commissione che i tempi scolastici di allora non avrebbero in alcun modo consentito una adeguata applicazione dei nuovi contenuti e delle nuove proposte metodologiche sempre più curvate sulla attività laboratoriale e di ricerca e sul lavoro di gruppo degli alunni. Non solo, ma ci si rese conto del fatto che i Nuovi Programmi mal si conciliavano con la figura del maestro unico “tuttologo”.
Tutto questo era contenuto nell’ampia relazione che la Commissione consegnò al Ministro alla fine del 1983. Ci volle ancora un anno per affrontare i nodi emersi fino a quando, nel settembre del 1984, il Consiglio Nazionale della Pubblica Istruzione diede il proprio parere favorevole accompagnando la delibera con un documento intitolato “Condizioni di applicabilità dei Nuovi programmi per la scuola elementare” che consentì di trovare una soluzione.
Innanzi tutto si decise di rinviare al 1987/88 l’avvio dei Nuovi Programmi nelle classi prime, facendoli entrare in vigore anno dopo anno nelle classi successive fino a concludere il processo nel 1991/92.
Tra il 1985 e il 1987 venne attivato uno straordinario piano di aggiornamento rivolto ai 250mila docenti in servizio, piano al quale collaborarono gli IRRSAE (Istituti Regionali di Ricerca, Sperimentazione e Aggiornamento Educativi), allora attivi in tutta Italia.
Per quanto riguarda gli ordinamenti, si iniziò a lavorare per una legge che prevedesse l’aumento dell’orario scolastico e del numero dei docenti assegnati alle classi: la legge, la numero 148 del 1990 (Ministro della Pubblica Istruzione l'on. Sergio Mattarella), introduceva il modello di 3 insegnanti per ogni classe con “ambiti disciplinari” assegnati a ciascun docente. Nascevano i cosiddetti “moduli” che però, a causa delle variegate realtà territoriali, non si realizzarono in modo uniforme nelle diverse Regioni: al nord consentirono di estendere l’orario scolastico anche a 2-3 pomeriggi settimanali mentre al sud, in assenza di servizi comunali per il trasporto e per la mensa, si ridussero spesso ad un prolungamento della giornata scolastica fino alle 13.30 o alle 14.
Ma questa è un’altra storia.