Raffaele Mantegazza

Quello che studierai sarà prima di tutto bello

Foto di djedj da Pixabay

Il tema dell'educazione alla bellezza per fortuna è molto trattato in questi ultimi anni. Forse perché siamo stanchi di bruttezza, di sciatteria, di paesaggi, costruzioni, architetture che offendono l'occhio, di abusi edilizi, di inquinamento uditivo nelle città o nei locali. O forse perché più profondamente abbiamo bisogno di ridefinire il rapporto tra bellezza e bruttezza, magari partendo dal rileggere quello straordinario libro che è la Storia della bruttezza di Umberto Eco. Quello che è certo è che molti di noi insegnanti condividono questo grande desiderio di bellezza e soprattutto la voglia di trasmetterlo ai nostri ragazzi e alle nostre ragazze.
La lingua ebraica possiede una parola bellissima (appunto!) per definire il bello, la parola “tov” che tiene insieme sia la dimensione estetica che quella etica. Ciò che è bello è anche giusto, è anche buono dal punto di vista morale. Quando YHWH vide che ciò che aveva fatto era bello, manteneva uniti questi due ambiti, sempre difficili però da considerare insieme. Nell’Eden tutto è bello perché tutto è buono, o meglio tutto è ancora al di qua del bene e de male. Un noto racconto sulla storia della Resistenza antinazista (1) parla di un giovane partigiano che, acquattato, in un cespuglio osserva il tenente delle SS che ha appena ordinato la distruzione del villaggio di Oradour sur Glane, in quella che è stata forse la più grande strage di civili nella storia del nazismo, e poi si è messo su una collina davanti al villaggio a dipingere un quadro. Il partigiano che è appassionato d'arte nota che il tenente ha un'ottima mano e che il quadro è tecnicamente riuscito: ma si può davvero definirlo bello?
Del resto l'arte del 900 nelle avanguardie ha introdotto la categoria di dissonanza all'interno della espressione artistica, per cui un'opera come un sopravvissuto di Varsavia a dicembre non può essere definita bella nel senso di gradevole all'orecchio perché nel suo stridere e nelle lacerazioni formali della sua partitura deve restituire il dolore e l'angoscia dei deportati.
Questo è dunque un primo punto importante a livello educativo: una scuola che voglia essere bella e voglia aiutare i ragazzi e le ragazze ad accedere alla bellezza deve insegnare loro tutti i linguaggi dell'arte, della letteratura, della scienza in modo da poterli comprendere e poterli abitare fino in fondo, in profondità. Una scuola che voglia davvero essere bella non ha paura di mettere di fronte ai bambini e ai ragazzi le grandi opere d'arte, i grandi risultati dell’operare artistico degli esseri umani. “Non lo capiscono”, “sono troppo piccoli”, sono alibi per non avere il coraggio di esporre i bambini e i ragazzi alla forza della bellezza. Solo successivamente si potrà procedere a quel perfezionamento tecnico e a quella alfabetizzazione nei linguaggi di cui abbiamo parlato sopra, senza ovviamente lasciare la bellezza soltanto ad un livello emotivo, ma partendo da lì per poterla far crescere. È piuttosto triste assistere per esempio a riduzioni teatrali di grandi capolavori che vengono ridotti (appunto) alla parodia di se stessi soltanto perché vengono rivolti ad un pubblico di bambini o di ragazzi. Una logica da romanzi condensati da “Reader’s digest” che non rispetta né gli autori né i testi né soprattutto l'intelligenza e la sensibilità dei piccoli o giovani spettatori.

Ma la bellezza non entra a scuola soltanto attraverso gli oggetti su cui il lavoro quotidiano dell'insegnante dei ragazzi si concentra, essa è già presente nella scuola nel momento in cui gli esseri umani che la vivono e la popolano tutti i giorni vi hanno fatto il loro ingresso. Ad essere belli, straordinariamente belli sono i ragazzi. Ci permettiamo un'autocitazione: “perché voi giovani siete belli, su questo non c’è dubbio: siete meravigliosi, letteralmente oggetti da ammirare, e proprio il mostro “ammirare e farvi ammirare” ci sorprende e ci stupisce, come i cittadini delle città medievali erano stupiti delle mirabilia che incontravano nelle fiere. Ogni volta che si radunano due o tre di voi, al di là del fumo, del linguaggio e della scompostezza con la quale state al mondo, c’è un alito di poesia, c’è il senso di una novità, di qualcosa di aperto, c’è la bellezza di un corpo non ancora del tutto definito, come nel non-finito di Michelangelo, che porta la statua alle soglie della vita (così come voi siete sulla soglia della vita adulta) ma non la conclude, lasciandole margini di cambiamento, di ambiguità, di speranza”.(2)
Ma ad essere belli sono anche gli adulti, gli insegnanti. E di questa bellezza dobbiamo essere coscienti, perché purtroppo un eccessivo alone di tristezza e di depressione sembra gravare su coloro che fanno questa professione, e soprattutto su coloro che la svolgono con passione. Non c'è youtuber, non c'è cantante, non c'è eroe del calcio che possa sostituire nel cuore dei nostri ragazzi la bellezza degli insegnanti, forse pari soltanto a quella dei genitori o dei veri grandi educatori extrascolastici. Siamo belli nella nostra imperfezione, nel nostro tentativo quotidiano di capire come arrivare al cuore di questi ragazzi, di non ripetere mai gli argomenti nello stesso modo, di non fissarci su un metodo, di metterci continuamente in discussione, E questa bellezza non ci rende migliori degli altri proprio perché non siamo arroganti ma viviamo come servizio ai ragazzi e alla loro crescita ogni momento della nostra giornata lavorativa (e non solo).
Ma a monte di tutto questo ad essere bella la scuola e la relazione educativa, quel rapporto tra esseri umani che ci costituisce in insegnanti e allievi. John Dewey parlava di “transazione”, cioè di quel momento nel quale dentro la relazione educativa nascono i ruoli, che non sono mai cristallizzabili, mai definiti in modo rigido. Non è retorico dire che l'insegnante impara dall'allievo quando è il caso di farlo: lo si è visto per esempio nel grande contributo che i ragazzi hanno saputo dare ai loro professori o maestri durante la didattica a distanza, non solo spiegando i dettagli tecnici delle varie piattaforme ma cercando di indicare agli insegnanti quale potesse essere la strada per rendere viva e appassionante una lezione dietro lo schermo.
E dunque questa relazione triangolare, tra insegnante, allievo, e oggetto dell'apprendimento, è ciò che veramente crea quel momento magico dell'ora di lezione, un po’ come la definisce Recalcati, un momento che può essere unico nella sua bellezza, e anche nella sua precarietà, un momento che non torna e forse per questo resta nel cuore e nella coscienza di chi l'ha vissuto intensamente. Da insegnante trovo sempre incredibilmente commovente quando ricevo lettere di miei studenti di tanti anni fa che ricordano proprio un momento, una frase, una parola, un sorriso. Proprio per questo l'insegnamento è un tributo alla bellezza, a quella bellezza che potrà forse salvare il mondo ma che intanto tutte le mattine salva pezzi importanti e fondamentali delle nostre vite.

(1) Vercors, Le parole, Genova, Il melangolo, 1990
(2) Mantegazza R., Lettera a uno studente, Roma, Castelvecchi, 2009, p. 32