Leonarda Tola

Scelta per noi da Leonarda Tola

Ogni "altro" è Dio

A fine anno 2022 è uscito l’ultimo romanzo Fame d’aria (Mondadori) di Daniele Mencarelli di Ariccia (1974): il ragazzo che comincia a scrivere a 14 anni poesie che faceva leggere solo alla madre sempre adorata. Una crescita tormentata dall’alcool, attraversata da disturbi dell’anima nelle esperienze del male di vivere, Mencarelli dopo i libri di poesie sperimenta la scrittura in prosa che non abbandonerà più arrivando a collocarsi in alto tra gli scrittori di oggi come una delle voci più originali e vere. Da ricordare i romanzi pubblicati da Mondadori e pluripremiati La casa degli sguardi (2018), Tutto chiede salvezza (2020), Sempre tornare (2021). Fame d’aria è un racconto che a Sant’Anna del Sannio ha un’ambientazione rivelatrice dell’Italia povera dei tanti remoti paesi della Penisola condannati dallo spopolamento; il posto giusto per scoprire l’umanità solidale e la vita buona che veste panni disadorni: Agata gestisce una pensione che ha conosciuto (forse) tempi migliori, Oliviero meccanico in pensione che usa il carro attrezzi anche per soccorrere i malcapitati nel borgo, Gaia contenta di spendere la sua luminosa giovinezza restando nella casa antica dell’anziana madre. Ma i protagonisti che muovono la storia sono altri: due viaggiatori su una vecchia Golf da rottamare che lascia a terra, di venerdì, Pietro di cinquant’anni e Jacopo di diciotto. Padre e figlio in viaggio per raggiungere la madre a Marina di Ginosa in Puglia.

“È slanciato, e bello, Jacopo, di una bellezza che può ingannare per qualche istante, poi, anche mentre cammina, non si può non notare il leggero dondolamento, l’andatura del sonnambulo aggrappato al braccio dl padre, e la mano sinistra, le dita della mano sinistra, che non smettono mai di passare e ripassare sulla coscia”.

La strana coppia formata da un genitore con un solo reddito che vive l’inferno e la maledizione di un figlio malato: autismo a basso funzionamento, bassissimo. Dal venerdì alla domenica Pietro e Jacopo sostano nella pensione arroccata su un cocuzzolo con vista meravigliosa per la quale Pietro non ha occhi; dolorosamente costretto a mettere in mostra la quotidianità del figlio nei gesti usuali dell’accudimento, in un corpo a corpo dove uno dei due, stanco e arrabbiato asseconda il movimento vuoto dell’altro. Mencarelli è un osservatore millimetrico della condizione umana ferita; ha dimestichezza con la malattia e la dolente fragilità intorno, riconosce l’odore impudico della carne imperfetta e l’ansimare gorgogliante dell’assenza di parole. Sa dare limpida voce ai volti, a momenti e situazioni che fermano in immagine lo scacco, il limite fisico che si fa carne e viene ad abitare tra noi. Scopre dove si cela l’anello che non tiene. E sempre in cerca di salvezza.
Deciso a svegliare, con la capacità di incidere che non risparmia nulla al lettore della fatica di esistere, l’autore è disposto a svegliare dal sonno dell’inconsapevolezza e dell’indifferenza la maggior parte di quelli sani come noi. Un talento donato di cui essergli grati.

Pietro vive per questi momenti

Pietro vive per questi momenti.
Lo ha sentito dire da un tizio in televisione, uno esperto di cose umane.
Quando un individuo si sveglia, appena si ridesta dal nulla morbido del sonno, ha bisogno di qualche secondo prima di riappropriarsi della sua identità. Per tornare in sé, nella sua vita, attiva ogni senso, a partire dagli occhi che catturano il mondo esterno, gli oggetti che ci appartengono, la realtà. Un processo che arriva a una conclusione naturale: la mente pronuncia il nostro nome.
Noi siamo noi.
Pietro vive per quei pochi istanti di sospensione tra sonno e veglia.
Neanche più l'orgasmo è terra di pace.
Ma quei pochi istanti sì.
Poi, dagli occhi alla mente, dalla mente al cuore, all'anima, se davvero ne esiste una da salvare, tutto torna a essere quello che è.
Si era addormentato. Pure lui.
Meccanicamente va a prendere il telefono, lo accende: sono le diciassette.
Jacopo dorme ancora.
Così, con le palpebre calate, il respiro regolare, sembra un ragazzo come tutti gli altri.
Il padre lo scrolla per un braccio.
Chissà Jacopo chi è in quei pochi istanti di sospensione tra il sonno e la veglia.
Pietro ci ha pensato spesso, per tanto tempo. Magari, in quegli attimi, indefiniti, infinitesimali, la sua mente è consapevole, sana, poi, invece della ragione, in lui sorge la malattia, la nebbia.
Chissà.
Oppure, anche in quella microscopica parentesi di tempo è sempre lui.
Lo Scrondo.
Il neppure infelice.

Pietro si veste, deve ricordarsi di passare dal meccanico per tirare fuori dalla Golf il "kit abbigliamento d'emergenza". È da quando lo Scrondo aveva cinque anni che la famiglia Borzacchi, ovunque vada, si sposta con quella sacca nel portabagagli.
Un cambio per ogni membro della famiglia.
E si contano a decine le volte in cui il kit è stato, più che utile, indispensabile.
Ora deve vestire il figlio.
Il maglione di cotone leggero, poi i pantaloni, infine le scarpe con gli stretch.
Da sempre le porta con quel tipo di allacciatura, su consiglio del neuropsichiatra e degli specialisti, perché, a sentir loro, con la terapia sarebbero arrivati a quel traguardo: fargli mettere le scarpe.
Aprirle e chiuderle.
Uno dei tanti traguardi promessi e mai raggiunti.
Padre e figlio entrano nel bar.

Tratto da: Daniele Mencarelli, Fame d'aria, Mondadori 2023