Francesco Lauria

La nebbia e il volto del “santo Scolaro”…

Avevo proprio gustato quel caffè mattutino all’aeroporto di Monaco con i miei improvvisati compagni di viaggio.
Perfetti sconosciuti che, dalla sera precedente, si erano confidati e sostenuti di fronte al comune perdere, a Bruxelles di una coincidenza aerea. Un professionista di Lucca, una tecnica farmaceutica del Mugello (pendolare quotidiana a Siena), un ricercatore universitario di Firenze esperto di intelligenza artificiale e il sottoscritto.
Quella che doveva essere una fugace coincidenza tra i cieli si era trasformata per tutti in un mix tra un’odissea scalcinata e una gita involontaria.
Arrivato con quindici ore di ritardo sulla pista di Peretola, salutati i compagni di avventura, recuperata in fretta e furia la macchina, non mi rimaneva che imboccare veloce la strada per Barbiana, dove aspettavano Piero Bosi e Nevio Santini della Fondazione Don Milani e dove stavano salendo dal Centro Studi Cisl di Firenze, formatori e partecipanti del corso giovani della Filca Cisl, sindacato dei lavoratori edili.
I corsisti concludevano un percorso formativo interrotto dalla pandemia e che necessitava di un incontro tra volti, sguardi, occhi, cuori.
Ignoravo che, appena prima del nostro gruppo, Barbiana era stata visitata da altri giovani, saliti verso il Monte Giovi per ricordare i cinquant’anni dall’approvazione della Legge Marcora, provvedimento che aveva permesso l’obiezione di coscienza in Italia cinque anni dopo la condanna in appello del priore per apologia di reato.
Per allargare la mente avevo portato con me all’estero un testo tra i più feroci della recente ripresa “dell’antimilanismo”: l’ultimo volume a quattro mani di Paola Mastrocola e Luca Ricolfi (“Il danno scolastico. La scuola progressista come macchina della disuguaglianza”). Devo ammettere che, nonostante le buone intenzioni, non ero riuscito ad andare oltre metà di un libro davvero deludente.

Mentre guidavo, pensando anche ai miei improvvisati e variegati compagni di viaggio, mi chiedevo, a pochi mesi dal centenario della nascita di don Lorenzo, che cosa potesse dire Barbiana oggi a persone “non militanti”, nate poco dopo di me negli anni Ottanta del secolo scorso. E che cosa potesse rappresentare questo luogo unico nei cuori e nella mente dei ragazzi ancora più giovani che avrei incontrato di lì a poco.
Cosa rappresentano, nel nostro presente, questo luogo e la storia bellissima e unica di Don Lorenzo e dei suoi ragazzi, tra pandemia e guerra, di fronte alla crisi profonda della nostra democrazia? Cosa ci possono dire in tempi di crescita dell’autoritarismo, anche educativo e al rilancio pubblico del valore di una sorta di “pedagogia dell’umiliazione”?
Cos’è, cosa può narrare Barbiana agli occhi dei giovani, degli studenti, di coloro che si approcciano all’esperienza sindacale o all’insegnamento? Proprio quelle strade che Don Lorenzo definiva, nel suo secolo (un Novecento finito da un pezzo), vie privilegiate per praticare l’amore e dare un senso alla vita?
Al mio arrivo la canonica, la chiesa avevano assunto l’aspetto quasi di un sogno o di una fiaba. Erano infatti circondate da una nebbia chiara e sottostante, quasi essa volesse dare ulteriore valore e poesia ai luoghi dell’esilio di Don Lorenzo e della profezia quotidiana condivisa con i ragazzi della scuola.

L’incontro, tra il racconto della biografia del priore e gli aneddoti di Nevio, ex allievo, aveva preso una piega per certi versi inaspettata, tra episodi londinesi (dove erano andati a lavorare e ad imparare l’inglese alcuni allievi) e curiosità inaspettate.
Poi la visita al laboratorio, alla piscina, alla Chiesa.
Un raggio di sole chiarificatore tra le nuvole.
Dovevo spiegare ai ragazzi il mosaico del santo Scolaro, curiosamente concepito da don Milani e suoi primi sei allievi dopo una visita in una scuola in Germania, proprio a Monaco, dove avevo consumato in quella giornata il mio primo caffè.
Nella scuola bavarese i ragazzi di don Lorenzo avevano appreso come realizzare mosaici di vetro, arte povera, ma dai risultati sorprendenti.
L’idea di Don Milani era stata quella di realizzare con i ragazzi un “monaco scolaro”, proprio con la tecnica conosciuta in Baviera. Una scelta, maturata successivamente, avrebbe reso questo mosaico davvero unico.

Prendendo spunto dal libro “Il piccolo principe” che veniva letto collettivamente alla scuola, si era deciso di non tratteggiare il volto del monaco, ma di lasciarlo celato, in modo che fosse possibile per tutti immaginare un volto.
Laddove il Piccolo Principe chiedeva un disegno di una pecora da portare sul suo asteroide per mangiare i germogli di baobab, la pecora disegnata una volta era malata, una volta era un ariete fino a quando l’autore del disegno, spazientito, aveva disegnato una cassa dicendo: “la pecora che vuoi è là dentro”. Il Piccolo Principe guardando dai buchi nella cassa si era così illuminato: “è proprio la pecora che cercavo, guarda, sta dormendo”.
Prendendo spunto dal santo Scolaro, continuare a salire a Barbiana non può che essere in primis un momento di riflessione individuale, di messa in discussione di se stessi e delle proprie certezze.
Non si sale a Barbiana solo per cercare risposte, ma ad ascoltare il silenzio che diventa voce dell’esilio di Don Lorenzo. A cercare le giuste domande, il proprio volto e il volto del mondo.
Don Lorenzo aveva ridisegnato le braccia del monaco scolaro coprendo il viso col libro dicendo: “il viso che cerchiamo è là dietro”.
Avevo trovato una strada nella nebbia di quel pomeriggio nel dialogo con i giovani sindacalisti.
Il “santo Scolaro”, tra Monaco e Barbiana, è ognuno di noi ed è in ciascuno di noi.
Come scrivono le insegnanti Francesca Banchini e Silvia Mannelli (“Don Milani il maestro”): “possiamo tutti essere come il santo Scolaro, il mondo potrebbe avere il volto di ognuno di noi, rendere meravigliosa la nostra vita. Fare in modo che essa non passi invano”.
Un insegnamento, una strada opportuna anche per il cammino dei sindacalisti in ricerca. Quelli di oggi, come quelli di domani…