Donato de Silvestri

Insegnare con le TIC

Cominciamo dallo smartphone

Il 19 dicembre 2022 è uscita una circolare ministeriale su Indicazioni sull’utilizzo dei telefoni cellulari e analoghi dispositivi elettronici in classe. Confesso che, pur non volendo polemizzare, l’oggetto mi ha fatto pensare alle nostalgiche espressioni di chi parlando di videoregistrazione cita le cassette VHS, o…analoghi dispositivi. Del resto la CM fa riferimento alla direttiva del ministro Fioroni del 2007, quando ancora non si usavano gli smartphone, la quale richiamava la necessità che “nei regolamenti di istituto siano previste adeguate sanzioni secondo il criterio di proporzionalità, ivi compresa quella del ritiro temporaneo del telefono cellulare durante le ore di lezione, in caso di uso scorretto dello stesso”. Vorrei precisare che non intendo giocare sulle parole: gli smartphone, presupponendo che il ministro intenda riferirsi ad essi, sono a tutti gli effetti dei computer, connessi ad Internet e, conseguentemente, gli analoghi dispositivi sono i tablet e i notebook.
Vorremmo veramente vietarne l’uso in classe?
La CM cita anche la relazione finale dell’indagine conoscitiva della 7a Commissione Permanente del Senato della Repubblica “sull’impatto del digitale sugli studenti, con particolare riferimento ai processi di apprendimento”, che andrebbe riletta in riferimento a ciò che effettivamente sostiene la scienza, ossia che l’abuso e l’uso scorretto dei suddetti dispositivi possono avere conseguenze negative e talora nefaste. Nessuno però penserebbe di vietare la circolazione automobilistica per evitare gli incidenti stradali o di proibire di mangiare a scuola per combattere l’obesità.
Del resto lo stesso ministro lo afferma chiaramente: “È viceversa consentito l’utilizzo di tali dispositivi in classe, quali strumenti compensativi di cui alla normativa vigente, nonché, in conformità al Regolamento d’istituto, con il consenso del docente, per finalità inclusive, didattiche e formative, anche nel quadro del Piano Nazionale Scuola Digitale e degli obiettivi della c.d. “cittadinanza digitale” di cui all’art. 5 L. 25 agosto 2019, n. 92”.
Ebbene, io penso che per inquadrare correttamente la questione, potremmo riferirci ad una decalogo proposto nel 2018 dalla ministra Fedeli. Rivediamolo assieme.

1. Ogni novità comporta cambiamenti. Ogni cambiamento deve servire per migliorare l’apprendimento e il benessere delle studentesse e degli studenti e più in generale dell’intera comunità scolastica.
Quindi partiamo dall’idea che i cambiamenti e le innovazioni tecnologiche non vadano temuti. È sbagliato chiudersi tra le rassicuranti mura della tradizione. La nostra scuola per troppo tempo ha considerato la tecnologia qualcosa di pericoloso, inadatto, capace di minare la tradizione letteraria e la classicità comunemente considerate l’essenza stessa del sapere e della cultura. Quando ero alle elementari era già in uso la penna biro, ma venivamo costretti a scrivere con pennini e calamai, probabilmente perché la diabolica tecnologia della sfera poteva costituire una minaccia per la calligrafia. Ho poi vissuto in prima persona l’assurdo ostracismo nei confronti della calcolatrice e da giovane insegnante mi dovevo portare a scuola il registratore a cassette perché non rientrava tra le dotazioni disponibili. Non parliamo poi di innovazioni “bizzarre” come la lavagna luminosa, per il cui acquisto ho sacrificato uno dei miei primi stipendi. Una cosa è certa: il primo pensiero della scuola di fronte alla tecnologia è sempre stato come custodirla e come regolamentarne l’uso. Nulla di nuovo sotto il sole dunque.

2. I cambiamenti non vanno rifiutati, ma compresi e utilizzati per il raggiungimento dei propri scopi. Bisogna insegnare a usare bene e integrare nella didattica quotidiana i dispositivi, anche attraverso una loro regolamentazione. Proibire l’uso dei dispositivi a scuola non è la soluzione. A questo proposito ogni scuola adotta una Politica di Uso Accettabile (PUA) delle tecnologie digitali.
Ecco una diversa prospettiva. L’uso inappropriato dello smartphone può essere pericoloso e a volte proprio deleterio, ma la soluzione non è vietarlo, bensì educarne un uso corretto. È questo il senso di tutta la tecnologia. Con un martello Michelangelo ha realizzato capolavori ineguagliabili, ma con quello stesso martello altri non saprebbero che pestarsi un dito. Si potrebbe poi discutere l’idea di adottare una PUA ed io trovo un po’ stretto anche quell’”accettabile”: mi piacerebbe di più adatto, corretto, produttivo, creativo…utile.

3. La scuola promuove le condizioni strutturali per l’uso delle tecnologie digitali. Fornisce, per quanto possibile, i necessari servizi e l’indispensabile connettività, favorendo un uso responsabile dei dispositivi personali (BYOD). Le tecnologie digitali sono uno dei modi per sostenere il rinnovamento della scuola.
Bring Your Own Device (BYOD), in italiano “porta il tuo dispositivo”, è un'espressione universalmente riconosciuta in ambito aziendale, che promuove l’utilizzo positivo delle risorse tecnologiche personali anche sul posto di lavoro.
Analogamente il BYOD era stato previsto dal Piano Nazionale Scuola Digitale (PNSD), il documento di indirizzo del Ministero dell’Istruzione dell’Università e della Ricerca “per il lancio di una strategia complessiva di innovazione della scuola italiana e per un nuovo posizionamento del suo sistema educativo nell’era digitale”.
L’obiettivo sarebbe quello di sopperire alla cronica carenza di dotazioni tecnologiche delle scuole con l’integrazione di dispositivi elettronici personali degli studenti e degli insegnanti (smartphone, tablet e PC portatili).

4. La scuola accoglie e promuove lo sviluppo del digitale nella didattica. La presenza delle tecnologie digitali costituisce una sfida e un’opportunità per la didattica e per la cultura scolastica. Dirigenti e insegnanti attivi in questi campi sono il motore dell’innovazione. Occorre coinvolgere l’intera comunità scolastica anche attraverso la formazione e lo sviluppo professionale.

5. I dispositivi devono essere un mezzo, non un fine. È la didattica che guida l’uso competente e responsabile dei dispositivi. Non basta sviluppare le abilità tecniche, ma occorre sostenere lo sviluppo di una capacità critica e creativa.
Senza un coinvolgimento attivo della comunità scolastica non è possibile alcun cambiamento. La scuola non si cambia e non si è mai cambiata a suon di decreti: bisogna che gli operatori scolastici siano convinti della bontà del cambiamento. Ciò mette in luce il nodo più significativo che ha sempre caratterizzato la resistenza della scuola nei confronti della tecnologia: la necessità di una formazione ampia, di qualità e sostenuta nel tempo. Non serve a nulla sostituire le lavagne con LIM o schermi interattivi se poi l’uso che se ne fa è molto simile a quello che avveniva con gessi e cancellini. Quando agli inizi degli anni ’80 spiegavamo l’uso didattico che si poteva fare dei primi computer, avevo ideato un personaggio: il Compumaro, un animale che era mezzo computer e mezzo somaro, perché, raccontavo, il computer altro non è che un somaro, o un soprammobile inutile, senza un software adeguato e senza la capacità di farne un uso produttivo e consapevole.

6. L’uso dei dispositivi promuove l’autonomia delle studentesse e degli studenti. È in atto una graduale transizione verso situazioni di apprendimento che valorizzano lo spirito d’iniziativa e la responsabilità di studentesse e gli studenti. Bisogna sostenere un approccio consapevole al digitale nonché la capacità d’uso critico delle fonti di informazione, anche in vista di un apprendimento lungo tutto l’arco della vita.
Seymour Papert , che, dopo aver lavorato con Jean Piaget a Ginevra, ha lungamente operato al MIT, fondando un laboratorio di Intelligenza Artificiale con Marvin Minky, noto altresì come esponente di spicco del Costruttivismo e del pensiero computazione, nonché ideatore del robot/linguaggio Logo, era solito dire: lasciamo che siano i bambini a programmare i computer e non viceversa. Ciò indica appunto la necessità che gli studenti, fin da piccoli, diventino protagonisti di un uso consapevole della tecnologia, imparino ad addomesticarla, ne conoscano i rischi ed il potenziale, ne facciano un uso finalizzato a favorirne l’autonomia, a scuola come nella vita. Mi chiedo: in quante scuole si fa una seria, puntuale ed esaustiva formazione alla conoscenza e all’uso dello smartphone? Il faidate ed il passaparola di una generazione che non trova per ovvi motivi anagrafici un supporto nei genitori può portare ad altro che un uso sregolato, spesso qualunquistico e talora molto pericoloso dell’oggetto potenzialmente così straordinario che si ritrovano in tasca?

7. Il digitale nella didattica è una scelta: sta ai docenti introdurla e condurla in classe. L’uso dei dispositivi in aula, siano essi analogici o digitali, è promosso dai docenti, nei modi e nei tempi che ritengono più opportuni.

8. Il digitale trasforma gli ambienti di apprendimento. Le possibilità di apprendere sono ampliate, sia per la frequentazione di ambienti digitali e condivisi, sia per l’accesso alle informazioni, e grazie alla connessione continua con la classe. Occorre regolamentare le modalità e i tempi dell’uso e del non uso, anche per imparare a riconoscere e a mantenere separate le dimensioni del privato e del pubblico.
Lo smartphone può essere una preziosa risorsa per la didattica nell’ottica della DDI (Didattica Digitale Integrata), così come affermato nelle Linee guida di cui al DM n. 39 del 2020. Io, nelle mie lezioni all’università, ad esempio, ne faccio un ampio uso anche in sede di verifica formativa. Gli studenti accedono con i loro dispositivi, in larga misura smartphone, ai questionari che metto a disposizione sulla piattaforma web e in tempo reale analizziamo le loro risposte. Loro si autovalutano ed io posso regolare la mia progettazione in base alle loro risposte. Una cosa simile non è neanche lontanamente possibile con carta e penna. E questo non è che uno dei tantissimi esempi di arricchimento e potenziamento della didattica possibile grazie al BYOD.
Allora no alla regolamentazione? Nulla di più sbagliato. È indispensabile condividere regole e stili in ogni momento dell’attività didattica. Ma un’autorità esterna non può sostituirsi alla guida dei docenti nella gestione dell’aula, alla loro capacità di promuovere competenza, al loro compito di far acquisire consapevolezza ed autonomia, all’opportunità di gestire assieme ai loro alunni il setting educativo e ogni possibile dotazione strumentale.

9. Rafforzare la comunità scolastica e l’alleanza educativa con le famiglie. È necessario che l’alleanza educativa tra scuola e famiglia si estenda alle questioni relative all’uso dei dispositivi personali. Le tecnologie digitali devono essere funzionali a questa collaborazione. Lo scopo condiviso è promuovere la crescita di cittadini autonomi e responsabili.

10. Educare alla cittadinanza digitale è un dovere per la scuola. Formare i futuri cittadini della società della conoscenza significa educare alla partecipazione responsabile, all’uso critico delle tecnologie, alla consapevolezza e alla costruzione delle proprie competenze in un mondo sempre più connesso.
Credo che questi due ultimi punti del decalogo qui rivisitato non abbiano bisogno di ulteriori commenti. Stiamo parlando di qualcosa che coinvolge l’intero contesto relazionale e la comunicazione in un mondo in cui non si può prescindere dal bisogno di un’alleanza educativa e di un patto di corresponsabilità che superi l’indifferenza, il formalismo, il far finta. Le TIC possono piacerci o meno, ma fanno indubbiamente parte di un contesto pervasivo ed irrinunciabile in cui gli studenti sono immersi e in cui devono imparare a vivere e crescere. La scuola non può rimanere qualcos’altro. Deve anche in questo caso accettare la sfida e sono proprio convinto che i nostri docenti la possano vincere se adeguatamente supportati da una dirigenza e da una politica illuminate.
Niente divieti assoluti, dunque per favore, ma usiamo questo nuovo martello per realizzare capolavori di intelligenza e di bellezza e non per schiacciarci le dita.