Valutazione, discutiamone. Per migliorare, non per non fare

13.06.2014 10:58

Su Italia Oggi del 10 giugno 2014 Francesco Scrima interviene sul tema della valutazione, invitando a discuterne in modo serio e costruttivo, poiché la scuola ha bisogno di buone pratiche valutative. Discutere per evidenziare le criticità e risolverle, e non utilizzarle come semplice pretesto per non fare nulla

Ci sarebbe davvero bisogno di riportare il dibattito sulla valutazione del sistema scolastico nell’alveo di una discussione aperta e seria, libera da forzature polemiche pretestuose che non hanno alcuna utilità per la scuola e per chi ci lavora. La questione è infatti di grande rilevanza, merita più del breve spazio e dell’attenzione superficiale che le cronache le riservano ogni anno, per pochi giorni, in concomitanza delle prove Invalsi. Circostanza in cui molto spesso l’enfasi fa premio sulla realtà, con titolazioni francamente eccessive per azioni di protesta che raccolgono meno dell’1% di adesioni (e che tuttavia, per quanto limitate, sono la spia di un disagio a cui bisogna prestare attenzione). È vero che nella stragrande maggioranza delle classi le prove si svolgono regolarmente, ma dedurne che la cultura della valutazione sia ormai consolidata all’interno del sistema scolastico italiano sarebbe trarre una conclusione affrettata. Torniamo allora al punto di partenza, per segnalare quanto sia indispensabile e urgente riprendere sulla valutazione una discussione aperta, approfondita e seria. L’obiettivo è colmare il più rapidamente possibile quella che il Quaderno Bianco del 2007 (governo Prodi) denunciava come una grave lacuna del nostro sistema d’istruzione: la perdurante assenza, a dieci anni dal varo della legge Bassanini che ne istituiva l’obbligo, di un sistema di valutazione, la cui messa in atto era indicata come priorità assoluta per rafforzare la capacità della nostra scuola di conoscersi e migliorarsi. Perché a questo serve la valutazione, ad accrescere il grado di consapevolezza di ciò che si fa, a definire lo scarto fra attese e risultati, a mettere in campo le azioni necessarie per consolidare i punti di efficacia e risolvere quelli di criticità. Non si misurerà mai abbastanza il danno provocato da anni di fasulla retorica meritocratica, con la valutazione ridotta a spauracchio per presunti fannulloni o a viatico di ambìti premi per pochi eletti. Forse quella stagione può dirsi chiusa: proviamo allora ad aprirne un’altra in cui, stabilito un punto di ri-partenza, più soggetti possano collaborare nel mettere a punto un modello valutativo in cui agiscano attori diversi, con competenze e ruoli differenti, ma tutti a buon diritto protagonisti in un processo di grande complessità.
Il punto di ri-partenza può essere, secondo noi, proprio il regolamento sul sistema nazionale di valutazione approvato lo scorso anno, da rendere adesso pienamente operante. Regolamento che – lo scrivevamo un anno fa – non rappresenta la conclusione di un percorso, né la blindatura di un modello a nostro avviso da aprire a miglioramenti work in progress, ma è comunque fondato su un impianto ampiamente condivisibile, che muove dall’autovalutazione e mette assieme la responsabilità e l’interesse di ogni scuola a sviluppare pratiche di rendicontazione sociale. Proprio la scuola, più che il sistema nel suo complesso, deve rappresentare il baricentro delle pratiche valutative, il punto di partenza e di arrivo di azioni che non si limitino a produrre dati statistici, ma forniscano le basi su cui fondare le scelte necessarie a far crescere e migliorare la qualità del servizio. Di ogni singola scuola. Ecco perché crediamo che debba essere confermata la somministrazione censuaria (e non solo “a campione”) delle prove Invalsi, ben sapendo che esse costituiscono comunque solo un elemento, parziale per quanto importante, del processo valutativo che dalla scuola prende avvio e nella scuola deve trovare sintesi e conclusione. Dopodichè discutiamo senza alcuna remora sulla formulazione dei test, sulla loro congruenza rispetto ai programmi d’insegnamento, poniamo con forza l’esigenza di solide garanzie di affidabilità e scientificità delle rilevazioni, ragionando anche, sul piano sindacale, dei carichi di lavoro aggiuntivi che le prove annuali possono comportare. Ma discutiamone per fare meglio, non per “non fare”.