Quella feroce seduzione

18.03.2022 22:48

"La resistenza alla logica e all’estetica del conflitto armato è necessaria, perché la guerra ha una potenza seduttiva impressionante, è la via breve del male, e da sempre le scorciatoie che permettono di aggirare la complessità e la delicatezza della dimensione umana più autentica attirano le persone" (Massimo Calvi, Avvenire, 18 marzo 2022)

C’è una forma di resistenza necessaria durante un conflitto come quello che sta dilaniando l’Ucraina, e che non riguarda direttamente la popolazione del Paese invaso e aggredito da un esercito straniero, ma coinvolge anche chi di tutto questo è solo spettatore, per quanto coinvolto emotivamente o impegnato in azioni di solidarietà: è la resistenza all’estetica della guerra.
Perché ciascuno di noi può dirsi a favore della pace o per una soluzione diplomatica delle controversie, può ripudiare la guerra dentro di sé, ma non è sempre solo una questione di parole o di impegni: la «logica della guerra» è qualcosa che può investire le persone con la violenza di una raffica o di un’esplosione, oppure insinuarsi come un virus silenzioso nei cuori e nelle menti, entrare dagli occhi con un video o un’immagine, dalle orecchie per la via di un’opinione leggera, ma poi corrompere piano piano l’anima e lo sguardo sulla vita e sul mondo.
La resistenza alla logica e all’estetica del conflitto armato è necessaria, perché la guerra ha una potenza seduttiva impressionante, è la via breve del male, e da sempre le scorciatoie che permettono di aggirare la complessità e la delicatezza della dimensione umana più autentica attirano le persone. 'Colpisci per primo' è il comandamento numero uno della guerra, e il suo fascino può catturare quando il codice educativo di base è fondato sulla prevaricazione, è definito dalla cultura del possesso e dal diritto del più forte.
La guerra in questo senso può essere ovunque, da sempre, ed è anche facilmente riconoscibile, ma il male ha la capacità di travestirsi e di presentarsi talvolta come bene, per questo la resistenza ha bisogno di essere nutrita con convinzione e metodo. Un tempo si diceva di non regalare armi giocattolo ai bambini, ma la distanza dalla guerra dei padri e dei nonni ha permesso di allentare la fatica educativa, la violenza negli anni ha pervaso quasi ogni aspetto della vita.
Come se la violenza bellica fosse una forma di libertà, di innocente evasione, persino confinata nella dimensione dell’intrattenimento. Ma il vaso dove è stata seminata è pieno di buchi. L’estetica della guerra avanza in modo ancora più subdolo, ed è capace di trasformare la visione del mondo a piccole dosi. Una borsa alla moda ha lo stesso colore della maglietta del capo della resistenza, e curiosamente la pubblicità compare nella stessa pagina del leader 'buono'.
La descrizione minuziosa e precisa di come le armi degli eserciti in lotta possono fare male educa piano piano a godere della loro intelligenza distruttiva, celando però i volti delle vittime. Nel titolo di un giornale una leader politica che resiste è passata 'dal tailleur alla mimetica', come si fosse cambiata per la passerella di una fashion week. Perché stupirsi, allora, se un capo di Stato europeo sceglie un look ispirato alla frugalità battagliera della divisa del presidente ucraino che lotta e si nasconde nella martoriata Kiev.
Una bambina col lecca-lecca e il fucile può sembrare un’eroina della resistenza, non solo una vittima della violenza più estrema. I bambini in Occidente hanno ripreso a vedere guerra, a pensare guerra, a fare giochi di guerra: chi saranno i cow-boy e gli indiani, oggi? E mentre ne parliamo, mentre i grandi giocano ai soldatini e si dividono il puzzle del mondo, le bombe cadono veramente sugli innocenti, ammazzano i piccoli, dividono le famiglie, seppelliscono civili e militari di ogni età.
La resistenza, perciò, è anche continuare a rifiutare tutto questo, a vedere orrore e solo orrore in ognuna delle forme che la guerra sa assumere, anche la più seducente, la più bella, la meno terribile impersonata dal cattivo. Si può prendere atto, con fatica, che ci sia una guerra. Ma non lasciare mai che la coscienza ne venga assuefatta e arrivi a considerarla una parte di noi, nemmeno la peggiore.

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