Quella crociata contro i PCTO che tradisce i ragazzi

17.02.2022 16:52

Difficile ritagliare da una testata on line, ma l'articolo di Massimo Iiritano (Vita, 16 febbraio 2022) fa chiarezza e anche un po' giustizia su approssimazioni ai limiti della strumentalizzazione imbastite a partire dai tragici episodi avvenuti nei giorni scorsi, con la morte di due ragazzi nel corso di stage in ambienti di lavoro.

Giuseppe è morto ad Ancona a 16 anni, in un incidente stradale: si trovava sul furgone della ditta presso la quale svolgeva le ore di pratica previste dal corso di termoidraulica che frequentava in un istituto di formazione professionale. Meno di un mese fa, a Udine, era morto Lorenzo: 18 anni, iscritto a un corso di formazione professionale, era all'ultimo giorno di tirocinio. Gli studenti sono scesi in piazza dicendo che «di alternanza scuola-lavoro non si può morire»: vero, ma di alternanza e di Percorsi per le Competenze Trasversali e l'Orientamento qui c'è ben poco. Ma qual è esattamente l'obiettivo del PCTO? La legge di Bilancio 2019 ha disposto la ridenominazione dei percorsi di alternanza scuola lavoro di cui al decreto legislativo 15 aprile 2005, n. 77, in “percorsi per le competenze trasversali e per l’orientamento” (d’ora in poi denominati PCTO), a decorrere dall’anno scolastico 2018/2019. A partire da quell’anno scolastico, dunque, l’odiatissima Alternanza Scuola Lavoro, in Italia, non esiste più. E non è stato solo uno dei tanti “falsi movimenti sul posto” caratterizzati, come spesso accade, semplicemente dal mutamento di una denominazione o di un acronimo. In questo caso il cambiamento sarebbe sostanziale ed avrebbe una natura decisamente “culturale” e pedagogica. Percorsi per le competenze trasversali e per l’orientamento sono tutti quelli in cui i ragazzi vengono chiamati a sperimentare attività, conoscenze, competenze, che abbiano la possibilità di ampliare i loro orizzonti. Di fare quello che alla scuola italiana da sempre si è chiesto invano: avvicinare la didattica alla realtà, la scuola alla società, le aule al mondo esterno. Non si tratta infatti più di preparare i ragazzi al mondo del lavoro, cosa comunque assai utile e necessaria soprattutto nella formazione tecnica e professionale, ma di mettere in atto percorsi che possano più ampiamente “orientare”, grazie allo sviluppo di quelle “competenze trasversali” che la scuola fatica a mettere al centro del proprio progetto educativo. Considerato e ripensato in questa prospettiva, il PCTO rappresenta quindi una chiave di volta nella storia recente del nostro sistema educativo: non una semplice appendice estranea di un apparato solidamente concepito come alieno alla realtà lavorativa sociale e culturale alla quale abbandonare semplicemente i ragazzi, costretti di conseguenza ad affidarsi passivamente a ben altri modelli di riferimento. Una rivoluzione culturale fondante ed essenziale, che rischia oggi di essere spazzata via dalla solita campagna mediatica basata su un colossale fraintendimento e su una inaccettabile semplificazione. Basterebbe un attimo provare a considerare quali siano i percorsi offerti dalle singole scuole, valutarli meglio, verificarne la concreta attuazione, il rispetto dei tanti minuziosissimi protocolli per la sicurezza che ogni associazione ente o azienda è tenuto a firmare. Così è, se vi pare. Ma così, purtroppo, come sempre, non appare. È più facile, come al solito, sparare comunque addosso alla scuola, piuttosto che informarsi, approfondire, discernere. E ciò che più risulta avvilente è come una serie sciagurata di tragici incidenti si possano di colpo trasformare in una crociata senza se e senza ma. Incapace di distinguere tra istituti scolastici e centri di formazione professionale, tra attività di “alternanza” e PCTO, tra ore passate impropriamente in fabbrica, laddove davvero un alunno non dovrebbe mai prendere il posto dell’operaio di turno perché nessun protocollo o convenzione potrebbe prevederlo, e un incidente stradale. Sono proprio le ore di PCTO, quelle che gli alunni presentano anche agli esami di Stato tra i percorsi più significativi del loro triennio, ad offrire ai ragazzi le migliori opportunità per conoscersi, orientarsi, sperimentare se stessi: capire veramente quale può essere il proprio posto nel mondo. Un posto in cui essere attivi e partecipi, esprimendo se stessi nelle più creative potenzialità di ognuno. E cosa altro dovrebbe fare la scuola di più importante di questo, oggi? Sarebbe questa la “visione” sottesa ad una rivoluzione culturale, non semplicemente terminologica, ancora troppo lontana dalla sua realizzazione. E che in tal modo rischia di allontanarsi fatalmente ancora di più.

*Massimo Iiritano è filosofo, docente all’IIS Guarasci-Calabretta di Soverato e presidente dell’associazione Amica Sofia.

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