Il Big Bang è cominciato

04.02.2021 16:54

Nell'editoriale di Ezio Mauro su La Repubblica del 4 febbraio 2021 un'analisi lucida e molto interessante sulle ragioni che hanno portato al conferimento dell'incarico di formare il Governo a Mario Draghi e sui processi che in prospettiva potrebbero svilupparsi sull'intero arco delle attuali rappresentanze politiche in Italia.

Contemporaneamente, due soggetti fanno irruzione nella nebbia della crisi italiana, il presidente della Repubblica e l'Europa. La risultante, quasi obbligatoria e comunque naturale, è Mario Draghi, incaricato di formare un governo istituzionale: ultima spiaggia per evitare lo scioglimento delle Camere in questa fase d'eccezione, dopo il fallimento della politica, incapace di trovare una maggioranza con le sue forze e nel suo perimetro, dentro il quale la crisi di governo si sta avvitando fino a diventare crisi di sistema.
Chi crede di aver vinto al tirassegno, oggi, non mette in conto questa impotenza della politica (certificata dall'innaturalità della crisi, aperta mentre il Paese è assediato sul piano sanitario, economico, sociale), che comporta un indebolimento della democrazia e degli equilibri istituzionali nel nostro Paese, in un momento delicato con la necessità di scelte cruciali. Tutto ciò che è successo in questi ultimi due giorni, infatti, concorre a spiegare lo stato d'emergenza che il Quirinale ha certificato scendendo in campo nella crisi con l'appello alla responsabilità del parlamento e dei partiti. I 209 miliardi destinati all'Italia dal Recovery non tollerano altri ritardi nella presentazione dei piani d'intervento e nella definizione delle riforme che devono accompagnare il progetto europeo di sostegno; il piano di vaccinazione va rafforzato e garantito, rassicurando e proteggendo tutte le fasce di popolazione; le misure di contenimento del virus devono continuare, in un rapporto di fiducia tra il governo e i cittadini; il lavoro e la produzione sono il vero buco nero della crisi, e insieme la chiave di ogni possibile ricostruzione del Paese.
Aperta la crisi, bisognava affrontare i problemi lavorando per una soluzione, nell'interesse generale. Ma l'interesse palese di Renzi, tattico, era da un lato quello di presentarsi come arbitro della maggioranza nonostante la mancanza di consenso, creatore e distruttore di governi, cacciatore dello scalpo del premier Conte. Dall'altro lato, l'interesse mascherato, strategico, era quello di rompere l'asse tra il Pd e i Cinquestelle, lasciando i due partiti nudi in una prospettiva elettorale, senza un quadro politico di riferimento, mentre la proposta di un governo istituzionale faceva saltare i confini tra destra e sinistra, consentendogli di giocare a tutto campo. Sul fronte della maggioranza, la risposta è stata l'immobilismo attraversato da lampi di velleitarismo, come nel maldestro mercato dei transfughi, dove la destra ha mostrato di conoscere meglio la merce e le tariffe. Il risultato complessivo era il vicolo cieco.
Il bandolo della crisi andava dunque cercato all'esterno. Oggi Draghi arriva sulla scena politica prima di tutto come elemento di garanzia di fronte ai dubbi della Ue sulla capacità italiana di rispettare i tempi, i passaggi e i modi del Recovery Fund: ma più ancora, di interpretare e far proprio lo spirito europeo di mutualità in questo impegno solidale di intervento a sostegno dei Paesi colpiti dalla pandemia. Draghi ha fatto politica europea con la sua guida della Bce, ha difeso l'euro, ha esercitato una leadership sul sistema economico-finanziario coerente con le politiche della Commissione. Se l'operazione andrà in porto, dunque, l'Europa troverà uno dei suoi protagonisti più forti alla guida di uno dei Paesi più deboli, in una sorta di assicurazione reciproca tra Roma e Bruxelles. Un'assicurazione che automaticamente si estende ai mercati, come dimostrano le prime reazioni dello spread.
Ricordiamoci che alle ultime elezioni politiche avevano vinto due populismi antipolitici e antieuropei, uno dei quali di estrema destra, con pretese autocratiche e un orizzonte nazionalista e sovranista. Il rovesciamento della prospettiva è clamoroso.
Più complesso il cammino dentro il mondo della politica italiana, in parlamento. Il governo che Draghi proporrà è istituzionale, anzi "del presidente", e dunque non ha una formula politica di riferimento, un perimetro precostituito. Non può che rivolgersi ai partiti e ai gruppi "di buona volontà", cercando la massima unità possibile su un programma in pochi punti, un piano d'urgenza per una situazione d'emergenza. Ma nello stesso tempo la medesima emergenza costringe Draghi a un discorso esplicito di verità sulle cose da fare e sul quadro europeo in cui queste cose si collocano, con la Ue protagonista attiva e nuovo soggetto di governo sia nell'agenda finanziaria che su quella sanitaria. Draghi in sostanza non può neutralizzare la sua storia, la sua cultura e la sua identità, che lo hanno portato all'incarico: e dunque questo profilo europeo e europeista selezionerà inevitabilmente le scelte dei partiti, la fiducia o l'opposizione.
Non solo. L'ingresso in campo di un soggetto forte può alterare i fragili equilibri politici su cui si reggono oggi la destra e la sinistra. Nell'ex maggioranza di governo, è scontato l'appoggio di Italia Viva, per ovvie ragioni, del Pd, che ha fatto dell'europeismo la sua cultura e della responsabilità il suo metodo, e di Leu. Zingaretti, che vuole evitare isolamento e solitudine, sta cercando una linea comune con i Cinquestelle, dove però si scaricano tensioni, dubbi, ribellioni e resistenze. Era evidente che Conte premier rappresentava il coperchio di sicurezza per la pentola grillina in continua ebollizione. Oggi, saltato il coperchio, vengono alla luce tre tendenze, la prima contraria a Draghi nella speranza che il tentativo fallisca costringendo Mattarella a rinviare il vecchio governo alla Camera, la seconda ugualmente contraria ma col recupero polemico delle origini, che porta a demonizzare Draghi come campione delle élite e dell'establishment; la terza cautamente favorevole a Draghi, per non disperdere l'accreditamento del M5S come forza responsabile e di governo, in Italia e in Europa.
A destra entra in crisi la parola d'ordine unitaria che chiede il voto. L'unità era di convenienza, obbligata: dietro la sua sottile superficie urgono e spingono le identità distinte e difficilmente conciliabili del sovranismo radicale e del moderatismo popolare, che l'opzione Draghi fa riemergere, irrisolte. Il nome di Draghi, testimoniando una storia e una politica, agisce infatti come un cuneo tra i moderati e gli oltranzisti, accentua le differenze tra Meloni (contraria), Salvini (negativo ma realista, e tentato di entrare in gioco) e Berlusconi (aperturista).
In queste condizioni è molto probabile che se il governo Draghi si farà sarà un agente politico naturale di scomposizioni e ricomposizioni, come capita nelle fasi di interregno, quando un campo disarticolato deve improvvisamente fare i conti con una nuova presenza culturale forte, capace di dare un nome alle cose indistinte e confuse. Può darsi che l'inerzia italiana avviluppi anche questo tentativo costringendolo a giocare al ribasso, con un semplice esecutivo di scopo, per fare poche cose in breve tempo, e andare al voto, perché non c'è governo possibile per l'Italia di oggi. Ma è più probabile che l'ingresso dell'Europa in Italia costringa i due campi della politica a fare i conti troppo a lungo rinviati con se stessi, risolvendo la loro identità, mentre i due populismi devono risolvere addirittura il loro destino. Il Big Bang è appena incominciato.

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