La politica deve riscoprire il dialogo con i gruppi sociali

28.11.2017 20:10

In un breve articolo sul Corriere della Sera del 28 novembre 2017 Giuseppe De Rita parte dalla rievocazione di un episodio del 1944 per sottolineare come "l’attuale crisi di consenso sia dovuta alla scelta di ricercare il consenso attraverso presenze e messaggi d’opinione e non di costante condivisione degli interessi dei vari gruppi sociali". E' il tema della cosiddetta "disintermediazione", la tendenza a sminuire o negare il ruolo svolto dai soggetti di rappresentanza sociale come trama essenziale nel tessuto della democrazia. Con conseguenze della cui gravità non sembra esservi sufficiente consapevolezza.

Fa parte della storia sommersa di questo Paese un episodio del luglio ’44. Roma era stata liberata da poche settimane e papa Pacelli convocò due giovani militanti, Maria Badaloni e Carlo Carretto; diede loro del denaro liquido; li fornì di una Topolino («è parcheggiata giù in cortile»); e dette loro l’incarico di «battere» tutto il Mezzogiorno per costituire in ogni città o paese una associazione di maestri cattolici.

La motivazione veniva dalla sua consapevolezza che, della cultura organizzata, i meridionali avevano conosciuto solo un insegnante elementare; ma si può pensare anche ad una motivazione più politica, quella cioè di avviare una rete di associazionismo intermedio (subito dopo mise in campo i contadini della Coldiretti) che supportasse dall’esterno il nascente partito cattolico. Una strategia dal basso impensabile per un Pontefice da tutti considerato aristocratico e reazionario; ma decisiva per l’esplosione complessiva della Dc, operata su un collateralismo socioprofessionale, destinato nel tempo e tenere in piedi il consenso al partito, ben oltre la emozionale spinta d’opinione del primo periodo.

Ci si potrà domandare il perché di questo richiamo all’origine di quel collateralismo che, attraverso la valorizzazione delle categorie e lo sviluppo della rappresentanza intermedia, ha garantito la dinamica complessiva del sistema politico, visto che anche il Pci scelse di dotarsi di un robusto collateralismo. La risposta va ricercata nell’ipotesi che l’attuale crisi di consenso sia dovuta alla scelta di ricercare il consenso attraverso presenze e messaggi d’opinione e non di costante condivisione degli interessi dei vari gruppi sociali. Una scelta che ha finito per imporre nel tempo una strategia di dura disintermediazione, ostile alla mediazione e dove quindi il collateralismo sembrava non servire più.

Poi è arrivata una lunga stagione di tornate elettorali segnate dalla dispersione del voto ed addirittura da una massiccia astensione tanto che la parola d’ordine è diventata quella di recuperare il serbatoio degli «astenuti»; un mondo dove una volta arrivavano i rami territoriali del collateralismo, ma dove oggi la politica si arrocca in piccole isole di interessi specifici, prevalentemente localistici e quasi sempre clientelari. Così, mentre in passato ci turbava un consenso politico inquinato dal corporativismo collaterale, oggi ci turba un consenso inquinato dalle congreghe piccole o piccolissime che siano; ma navigando fra tante congreghe non si fa politica.

Per le prossime elezioni politiche è prevedibile che vinceranno o massicce campagne d’opinione o più ancora coalizioni di collegio centrate su microinteressi di congreghe locali. Non sarebbe comunque male per la politica riprendere il filo del rapporto con i migliori e più solidi soggetti di rappresentanza intermedia. È vero che essi hanno perso peso negli ultimi anni, frammentati nei loro particolarismi interni ed insieme prigionieri della verticalizzazione e della politicizzazione della loro classe dirigente. Ma è anche vero che alcuni di essi (penso a Coldiretti o alle associazioni artigiane e commerciali operanti in Rete Imprese Italia) hanno conservato quell’impasto di difesa degli interessi, di valorizzazione dell’identità collettiva, di attaccamento al territorio che per decenni ha costituito la forza delle organizzazioni di rappresentanza. Dialogare con loro può essere difficile, nel troppo breve tempo a disposizione e in concomitanza delle trattative e degli emendamenti che accompagnano di solito la legge di Stabilità. Ma è cosa da tentare, se non si vuole restare prigionieri delle congreghe locali e dei loro capi-bastoni.È

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