Carriere senza "merito". Le retribuzioni dei docenti italiani

10.01.2014 13:07

Le polemiche di questi giorni si focalizzano sulla questione degli scatti pagati nel 2013 e di cui si è tentato il recupero, ma la questione delle retribuzioni del personale della scuola, e dei docenti in particolare, è da tempo al centro di un dibattito che affronta temi di portata assai più vasta, in cui è l'intera struttura retributiva ad essere presa in considerazione. Se ne occupa il Sole 24 ore del 9 gennaio, con un articolo di Eugenio Bruno e Francesca Milano che allargano lo sguardo oltre i confini nazionali per un confronto cui, parlando di retribuzioni e carriere, non si può sfuggire. In questo senso lo proponiamo, perché ci richiama alla complessità di ragionamenti su cui dovrà comunque tornare il dibattito politico e sindacale nei prossimi mesi.

Il balletto sui 150 euro di aumenti stipendiali per i professori, prima riconosciuti poi sospesi e infine confermati, è solo la punta dell'iceberg. Di un sistema scolastico come il nostro che retribuisce poco e soprattutto male il suo corpo docente. Con dinamiche retributive "piatte" e svincolate da criteri meritocratici. La conferma giunge dalle statistiche internazionali. A cominciare dall'ultimo rapporto Education at the glance 2013 dell'Ocse che inserisce l'Italia nei bassifondi della classifica per progressioni di carriera e ore contrattuali di insegnamento.
Se i "grandi" numeri sulla scuola sono stati spesso tirati in ballo per giustificare la necessità di tornare a investire sul comparto – come il fatto che siamo stati gli unici a non incrementare dal '95 a oggi la spesa per gli studenti di elementari, medie e superiori oppure che occupiamo il 31esimo posto sui 33 dell'area Ocse per spesa pubblica in istruzione sul Pil – lo stesso non può dirsi per i "piccoli" numeri. Quelli cioè più specifici o settoriali, che vengono però in supporto se si vuole inquadrare meglio la querelle sugli scatti di anzianità che è andata in scena tra lunedì e ieri.
Si pensi, ad esempio, ai dati sui livelli retributivi degli insegnanti. La doglianza più ricorrente, all'interno del mondo della scuola e non solo, è che i docenti italiani sono tra i meno pagati d'Europa. Una circostanza che trova conferma nelle tabelle dell'Ocse ma che merita alcune precisazioni. In primis che non è tanto il salario d'ingresso a penalizzare i nostri professori, visto che partono da 27.288 dollari nelle primarie e 29.418 nelle secondarie di II grado contro i 28.854 e 31.348 di media Ocse, quanto quelli di arrivo, quando si vedono riconoscere in busta paga 46.060 dollari alle superiori contro i 50.119 medi. E il quadro non muta anche se lo fotografiamo a metà carriera. Un docente delle superiori con 15 anni di servizio da noi riceve quasi 37mila dollari. Poco più di un suo collega francese ma decisamente meno di uno spagnolo (46.479 dollari) o di un tedesco (69.715). Differenze che si spiegano essenzialmente con l'assenza, nel nostro sistema, di progressioni economiche diverse dagli scatti di anzianità distribuiti a pioggia e senza alcun collegamento con il merito.
Sul fronte lavorativo, l'altra faccia della medaglia è che gli insegnanti italiani non si discostano dalla media: lavorano 630 ore all'anno, contro le 664 della media Ocse. Si tratta, comunque, dal dato più basso tra quelli dei Paesi presi in esame nel nostro confronto (si veda la grafica). Va detto che nella maggior parte degli Stati, il tempo di insegnamento a livello di scuola secondaria superiore è inferiore rispetto alle scuole dell'infanzia, dove gli educatori lavorano in media il 9% in più.
L'Italia fa leggermente meglio della media, invece, per quanto riguarda il rapporto tra studenti e docenti: nel nostro Paese ci sono 12,2 alunni per ogni insegnante, mentre il rapporto medio Ocse si attesta a 13,6 (soprattutto per colpa del Messico, dove il rapporto è di 33,3 a uno, e della Cina, dove ogni insegnante ha 24,7 alunni).
I professori italiani hanno anche un altro primato negativo: sono i più anziani tra quelli che insegnano nei Paesi Ocse. Oltre il 60% di loro ha, infatti, più di 50 anni. L'Italia è l'unico Paese in cui oltre la metà del corpo docente si attesta nella fascia di età più alta: per capire lo squilibrio basta pensare che, secondo la media Ocse, supera i 50 anni solo il 36% dei docenti. C'è, inoltre, un altro dato allarmante: in Italia non ci sono insegnanti sotto i 30 anni (il dato fa riferimento alle scuole secondarie ed è relativo al 2011). Si tratta dall'unico Paese Ocse in cui non esistono docenti under 30. I primi (800 in totale, non ancora compresi nelle statistiche) sono arrivati nell'ultimo anno grazie al concorsone voluto dall'ex ministro Profumo, ma rappresentano appena il 10% del totale dei vincitori della selezione. Il "settore giovanile" del corpo docente è rappresentato solo da quel 9% con un'età compresa tra i 30 e i 39 anni.

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