La generazione dei rottamatori alla prova

20.12.2013 23:28

La riforma del mercato del lavoro sarà la prima prova di maturità per la nuova generazione che oggi ha in mano il principale partito italiano. Come ha ripetuto il suo leader, alibi adesso non ce ne sono: tocca a loro fare proposte innovative. Mauro Magatti riflette sulla richiesta di"novità" che la società italiana rivolge alla politica e sulla capacità di quest'ultima di rispondere (Corriere della Sera, 20 dicembre)

Le ultime settimane hanno segnato un passaggio assai significativo nell’evoluzione della crisi italiana. Creando le premesse per una trasformazione profonda del quadro politico. Da un lato, la vittoria di Renzi ha tradotto in realtà politica il conflitto generazionale. Dietro l’avvento del leader del Pd e le sue indubbie abilità, si cela infatti un dato strutturale: il crollo delle possibilità di futuro di coloro che hanno meno di 35 anni a seguito dell’arresto della crescita che ha colpito il nostro Paese. Con tassi di disoccupazione che al Sud arrivano a superare il 40% sono soprattutto i tanti giovani che non possono o non vogliono scegliere la via dell’exit — andare all’estero a studiare o lavorare — a premere per un cambiamento. Soprattutto quando hanno un titolo di studio in mano. Ed è proprio questo diffuso disagio generazionale che ha incarnato Renzi.
La rottamazione — che tanta fortuna ha portato al sindaco di Firenze — ha battuto su questo tasto. E nel clima di entusiasmo che caratterizza in questi giorni il gruppo dei renziani sembra quasi scorgersi la soddisfazione di un gruppo di ribelli — termine simbolicamente richiamato anche nella Assemblea del Pd — che è riuscito a conquistare le roccaforti del potere. E che adesso vuole far vedere quello che sa fare.
Per le curiose sincronie della storia, proprio il giorno successivo l’insediamento del nuovo segretario del Pd sono cominciate le manifestazioni che in molte città italiane e per diversi giorni hanno portato alla ribalta la seconda faglia del conflitto sociale latente nel nostro Paese: quella che colpisce il lavoro precario e autonomo, le partite Iva, l’artigianato e la piccolissima impresa. Oltre naturalmente ai disoccupati e agli inoccupati. Cioè tutta quell’ampia parte di popolazione che sta al di fuori del sistema delle garanzie esistenti e che, con il progressivo consumarsi della ricchezza privata accumulata nel corso di molti anni, comincia a fare fatica ad arrivare alla fine del mese. Un blocco sociale molto ampio, che si pone sostanzialmente al di fuori dei canali di rappresentanza organizzata, sia dei partiti sia dei sindacati, e che ha trovato la via dell’autorganizzazione per esprimere il profondo stato di prostrazione in cui si trova. Questa seconda componente è attraversata da forti venature antisistemiche e non sembra ancora aver trovato precisi riferimenti politici, anche se la proiezione sembra decisamente andare verso la destra.
In realtà, la vittoria di Renzi — disomogeneo rispetto alle classiche posizione della sinistra e invece vicino alle istanze dei ceti medi istruiti più giovani — ha cambiato gli equilibri politici complessivi, aprendo una dinamica i cui esiti è oggi difficile prevedere. Se infatti il giovane segretario del Pd è riuscito ad accendere la speranza di un cambiamento, il suo problema nei prossimi mesi sarà quello di non far crollare le aspettative che è stato in grado di sollevare. Da questo punto di vista, le responsabilità del leader Pd saranno molto grandi, perché l’ampia vittoria di oggi può portarlo lontano, ma può anche rapidamente tradursi in un problema: tanto più oggi, con un disagio sociale così grave e con partiti di destra che tambureggiano sulla crisi finale del Paese.
A ciò si deve aggiungere che la nuova caratterizzazione del Pd probabilmente ridurrà ulteriormente la sua capacità di rappresentare gli strati popolari, soprattutto quelli che soffrono maggiormente la crisi in corso. Esattamente quei gruppi che sono scesi in piazza. La trasformazione della sinistra rischia così di aprire un varco che la destra nei prossimi mesi cercherà di riempire. Una destra diversa, però, più decisamente antisistemica e antieuropea. Quando in un Paese in crisi come l’Italia l’area del populismo si va pericolosamente allargando, il segnale non può essere sottovalutato.
Si annuncia un 2014 molto delicato, ma anche molto importante: il disagio sociale è infatti destinato a non diminuire, mentre le condizioni internazionali sconsigliano di tornare alle elezioni. Non rimane che concentrarsi sull’azione di governo non solo per approvare la nuova legge elettorale, ma anche, e soprattutto, per realizzare le prime riforme che il Paese aspetta da anni. A partire da quella del mercato del lavoro. Sarà questa la prima prova di maturità per la nuova generazione che oggi ha in mano il principale partito italiano. Come ha ripetuto il suo leader, alibi adesso non ce ne sono: tocca a loro fare proposte innovative così da spingere il governo a fare quello che fino a ora non è riuscito a fare. Il tempo stringe e i rischi per l’Italia aumentano.

(Corriere della Sera, 20 dicembre 2013)

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