Il segno del fallimento di due generazioni

13.11.2013 20:12
Categoria: Articoli giornale

"Il declino della società italiana non è solo economico. È come se intere parti del nostro tessuto sociale fossero a rischio di rimanere imprigionate in un vortice regressivo". Mauro Magatti (Corriere della Sera, 12 novembre 2013) interviene sulle "tristissime vicende di cronaca di questi giorni" e sulla crisi della relazione educativa che con evidenza segnalano.

Due mezzi di scambio terribilmente moderni e potenti — il denaro e Internet — in grado di mettere in rapporto tra loro perfetti sconosciuti; adulti maschi alla ricerca di emozioni forti — come il sesso con adolescenti — per combattere la tendenza anestetica del nostro tempo: dove essendo tutto permesso, non si riesce a sentire più niente e si è costretti ad alzare l’asticella della trasgressione; ragazze disposte a seguire, senza troppe domande, il gatto e la volpe che incontrano nell’ambiente digitale e che promettono loro di aprire la strada ad una fantomatica città dei balocchi — dove basta avere qualche soldo in mano e farsi vedere disinibiti per sentirsi grandi.

Il quadro che esce dalle tristissime vicende di cronaca di questi giorni apre una finestra su una zona buia della società italiana. I mezzi che dovrebbero servire per realizzare i grandi obiettivi di una crescita umana e sociale vengono piegati per ottenere piccoli godimenti seriali, per i quali si è disposti non solo a passare sopra il senso morale, ma anche a calpestare il semplice buon gusto. Non che fatti di questo tipo non siano sempre avvenuti, pur se in forme diverse, anche nel passato. Ma fa riflettere la diffusione del fenomeno, non più riducibile al caso. Che segnala un malessere profondo.

Il declino della società italiana non è solo economico. È come se intere parti del nostro tessuto sociale fossero a rischio di rimanere imprigionate in un vortice regressivo, dove non c’è né futuro né passato, ma solo singoli momenti che devono diventare sempre più «forti». Per compensare la mancanza di prospettive e di progettualità si ricorre al gioco, alla fortuna, al brivido dell’eccesso. In un’altra epoca si sarebbe parlato di decadenza. Una decadenza singolare, però, tipica di un paese che accede ai mezzi che la modernità mette a disposizione — denaro, Internet — accontentandosi di utilizzarli per replicare modelli di comportamento arcaici — come quelli del maschio che insegue le fantasie erotiche. I danni che la iper modernità è in grado di procurare quando non si investe nella cura delle persone, nel potenziamento della capacità di giudizio, nella qualità degli ambienti educativi sono ingenti. Le società che prosperano, non solo economicamente, sono quelle capaci di ricomporre strumentalità e senso, aprendo spazi di partecipazione e di riconoscimento per i propri cittadini.

Proprio il contrario della situazione italiana di questi anni, in cui sembrano intrecciarsi i fallimenti di due generazioni: quello degli adulti, i veri responsabili del disastro in cui ci troviamo e che paiono voler abdicare del tutto alla loro responsabilità nei confronti delle nuove generazioni; e quello dei giovani, molti dei quali paiono aver perso la speranza per il loro futuro, accontentandosi di briciole di godimento. Ci siamo assuefatti a vedere centinaia di ragazzi e ragazze la cui massima aspirazione è di diventare veline o calciatori.

«Aspirazioni» spesso assecondate, quando non alimentate, dalla famiglia di appartenenza. Gli episodi di questi giorni, certo estremi, ci devono allarmare, senza girare lo sguardo dall’altra parte. Di tutto questo occorre che si parli. Occorre che se ne parli sui giornali e su Internet, ma soprattutto a scuola e in famiglia. Che ne parlino i ragazzi e le ragazze tra loro. Perché, se c’è una cosa straordinaria dell’essere umano, è la sua capacità di riflessione e di apprendimento a partire anche dalle esperienze più negative. All’unica condizione di essere disposti a non chiudere gli occhi davanti alla realtà.

 

(Corriere della Sera, 12 novembre 2013)

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