L’articolo di Francesco Scrima, Segretario Generale Cisl Scuola, che apparirà sul prossimo numero di “Scuola e Formazione”

03.08.2006 10:28
Categoria: Comunicati Stampa

Non è facile scrivere di scuola in tempi di guerra. Sono giorni che siamo bombardati dalle tragiche notizie che vengono dal Libano e da Israele. Là i bombardamenti non sono notizie, sono distruzione e morte. Non sappiamo che cosa succederà da ora al giorno in cui queste pagine arriveranno nelle case dei nostri iscritti, degli insegnanti e dei tanti operatori di scuola che si staranno preparando a riaprire le aule a quegli impegni di speranza e di progetto che ogni avvio di anno scolastico rianima.

Sicuramente diventano poca cosa i nostri problemi se paragonati con quelli, con i tanti problemi di un'umanità che, entrata nel terzo millennio, non ha ancora trovato la saggezza di vivere in pace e di dare a tutti i suoi figli la possibilità di un sorriso.

Ma poi pensiamo che il nostro compito è proprio questo: costruire per i ragazzi e con i ragazzi un futuro possibile e buono per tutti. E allora anche quest'anno abiteremo la scuola per insegnare ad abitare il mondo. È anche questo sentimento e questo impegno che caratterizza il nostro essere un sindacato confederale, il nostro essere Cisl Scuola. Costruire e abitare una buona scuola è la ragione prima e profonda del nostro essere insieme.

La buona scuola, per noi, è una scuola che è comunità e fa comunità; con l'avvertenza, aggiungiamo, di non chiudersi dentro spazi e pretese troppo identitarie ma di aprirsi, laicamente, al dialogo e al confronto per fare cittadinanza, per fare Nazione, per fare pacifica comunità di Stati. Il valore della scuola pubblica di stato è essenzialmente questo. Il fare inclusione e creare le condizioni perché non ci sia esclusione e marginalità sociale è una linea guida anche della nostra azione sindacale ed è anche su questo parametro che noi giudichiamo le riforme di cui il nostro sistema di istruzione e formazione ha bisogno.

La questione della Riforma scolastica è, fortunatamente, tornata aperta; era necessario, ne siamo contenti. Nella precedente legislatura era stata chiusa di prepotenza su scelte e linee che non potevamo condividere e non convincevano, insieme a noi, tanta parte del mondo della scuola, delle famiglie, della società. Quella che, anche in questi giorni di calda estate, si sta almeno parzialmente smontando era una riforma rigida, ridondante, discriminante. Una riforma sbagliata nata umiliando il dialogo sindacale e professionale, una riforma che depotenziava la scuola e penalizzava le professionalità di chi in essa operava.

Abbiamo accolto con favore i primi atti del nuovo Ministro e le sue prime dichiarazioni. Con un decreto si sono prorogati i tempi per avviare la riforma della scuola superiore e così ci sarà modo di raddrizzare le storture e le inadeguatezze che avevamo denunciato.

Con un accordo contrattuale, che presentiamo e riportiamo nelle pagine successive, abbiamo bloccato l'introduzione autoritativa di quella figura tutoriale che, così come era pensata, avrebbe svilito i valori di collegialità, contitolarità, corresponsabilità che caratterizzano e devono continuare a caratterizzare il lavoro di scuola.

Il problema del portfolio, strumento introdotto dalle Indicazioni Nazionali emanate con il decreto legislativo 59/94, non poteva essere affrontato utilizzando l'art. 43 del contratto, ma siamo certi che il Ministro Fioroni, dopo le indicazioni già date con la nota del 12 giugno 2006, affronterà questo delicato problema che ha rappresentato uno dei punti di forte "criticità" e lascerà all'autonomia delle scuole e alla libertà dei docenti la scelta didattica dei vari, possibili strumenti di documentazione e valutazione formativa.

Anche su tutti gli altri aspetti della riforma Moratti che hanno disorientato e mal impostato la vita della scuola e che noi abbiamo sempre contrastato, continuiamo un confronto serrato col ministero e speriamo che all'inizio dell'anno scolastico gli insegnanti siano messi nelle condizioni di partire con serenità.

Nei tempi che vengono, tuttavia, non potremo solo accontentarci di neutralizzare alcuni degli effetti perversi della vecchia riforma; dovremo discutere del nuovo e stare dentro i processi che dovrebbero comporre il quadro organico della scuola degli anni a venire.

Abbiamo letto il testo dell'audizione del Ministro Giuseppe Fioroni alla settima Commissione della Camera, ne abbiamo apprezzato lo spirito e molte parti, a partire da quella apertura di credito sintetizzabile nei titoli dei primi due paragrafi: "La scuola italiana non è morta" e "Le esperienze scolastiche migliori sono la base da cui partire". Con piacere abbiamo anche annotato la chiusura della relazione del Ministro, l'impegno ad "ascoltare la scuola concreta ... su tutti i temi di maggiore importanza e, in particolare, su quelli che riguardano il secondo ciclo".

Noi a questo confronto e a questo dialogo siamo pronti. Già nel Convegno sulla Buona Scuola, i cui atti abbiamo pubblicato in alcuni numeri precedenti di questa rivista, abbiamo avanzato riflessioni e proposte; siamo pronti a discuterle con spirito aperto e costruttivo, lo stesso spirito che auspichiamo presente in tutti gli interlocutori interessati a non sprecare una nuova e decisiva prova per dare al Paese una scuola capace di rispondere ai problemi e alle attese educative delle nuove generazioni.

Il Programma dell'Unione, da cui inevitabilmente il Ministro e il Governo partiranno, può essere una base di riflessione chiara ma, è sperabile, non chiusa; diversamente non si potrebbe parlare di ascolto ma solo di strumentale cortesia.

In quel Programma, lo abbiamo già notato e lo ribadiamo, non troviamo convincente la proposta dell'innalzamento dell'obbligo dopo la terza media entro un biennio unico.

Se il primo problema da affrontare è quello dell'abbandono scolastico, della dispersione, dell'insuccesso scolastico di molti ragazzi, la scelta che si prospetta rischia di essere una risposta pigra ed elusiva se propone un modello di formazione rigido e uniforme che non risponda all'insieme dell'utenza interessata e non risponda, soprattutto ai diversi stili cognitivi dei ragazzi.

Avanziamo qui, e al momento, solo alcune osservazioni:

- un obbligo che si conclude senza un titolo utile ci sembra una scala appoggiata sul nulla;

- la perdita più grave di ragazzi si registra già ora nei primi due anni del ciclo superiore fra gli studenti degli Istituti tecnici e professionali.

- l'obbligo, da solo, rischia di portare semplicemente alle bocciature e all'insuccesso.

Bisogna pensarci.

Resta naturalmente una domanda a cui cercare insieme la risposta: come conciliare uguaglianza e diversità, unitarietà e pari dignità di percorso con pluralità di bisogni e di attese?

Una cosa ci pare certa: il modo più efficace di consolidare e far crescere le disuguaglianze è negarle. Abbiamo bisogno di rispondere alle differenze, non di ignorarle. Altrimenti che senso dare allo slogan "non uno di meno"?

Per non rifugiarsi nell'utopia o non cadere nella disperazione, gli insegnanti, entrando in classe, avranno bisogno di sapere che c'è un progetto serio e ci sono risorse vere per sostenere quell'impresa educativa che sola può alimentare la speranza di dare un futuro migliore ai giorni che stiamo vivendo.

Roma 26 luglio 2006