Trattenuta del 2,50%: la Consulta dichiara l’illegittimità costituzionale

12.10.2012 18:31

Nei mesi scorsi, a tutela del personale della scuola colpito dalle norme di natura previdenziale contenute nei numerosi decreti-legge sulla finanza pubblica, la Cisl Scuola si è fatta promotrice di ricorsi presso il tribunale del lavoro (nonchè di diffide nei confronti dell'Inps, ex Inpdap) per richiedere l'interruzione della ritenuta del 2,50% a favore del “fondo di previdenza dell’ex ENPAS” e la contemporanea restituzione delle somme indebitamente trattenute a decorrere dal 1°.1.2011, data dalla quale è stato modificato il sistema di calcolo della buonuscita sulla base di quanto previsto dall’articolo 2120 del codice civile per il trattamento di fine rapporto (TFR).

Sull’argomento anche alcuni TAR sono intervenuti nel tempo (in particolare, quello dell’Umbria), sollevando questione di legittimità costituzionale dell’art. 12, comma 10, del decreto-legge 78 del 31.5.2010, convertito con modificazioni nella legge 122 del 30.7.2010.

(testo del suddetto comma 10: “Con effetto sulle anzianità contributive maturate a decorrere dal 1°.1.2011, per i lavoratori alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche inserite nel conto economico consolidato della pubblica amministrazione, come individuate dall'Istituto nazionale di statistica (ISTAT) ai sensi del comma 3 dell'articolo 1 della legge 31.12.2009, n. 196, per i quali il computo dei trattamenti di fine servizio, comunque denominati, in riferimento alle predette anzianità contributive non è già regolato in base a quanto previsto dall'articolo 2120 del codice civile in materia di trattamento di fine rapporto, il computo dei predetti trattamenti di fine servizio si effettua secondo le regole di cui al citato articolo 2120 del codice civile, con applicazione dell'aliquota del 6,91 per cento”).

Nei giorni scorsi, la Corte Costituzionale - con sentenza 223 (decisa l’8.10 e depositata in cancelleria l’11.10.2012) - ha dichiarato l’illegittimità costituzionale della suddetta disposizione legislativa, “nella parte in cui non esclude l’applicazione a carico del dipendente della rivalsa pari al 2,50% della base contributiva, prevista dall’art. 37, comma 1, del dPR 1032/73”.

Escono così autorevolmente rafforzate e legittimate le ragioni che hanno portato la Cisl Scuola ad intraprendere lo specifico contenzioso giurisdizionale.

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Di seguito, la parte del dispositivo della sentenza 223 che qui interessa.

“”14. Anche la questione di legittimità costituzionale dell’art. 12, comma 10, del decreto-legge n. 78 del 2010, sollevata in riferimento agli articoli 3 e 36 Cost. è fondata.

La premessa interpretativa del TAR per l’Umbria è, innanzitutto, corretta in punto di ricostruzione del quadro normativo, poiché la mancata espressa esclusione del permanere della trattenuta a carico del lavoratore non potrebbe indurre a far uso dell’argomento a silentio sia pure per perseguire un’interpretazione costituzionalmente orientata.

Il perdurare del prelievo di cui si discute, infatti, oltre a derivare dall’astratta compatibilità fra il nuovo regime e la disciplina contenuta nel d.P.R. n. 1032 del 1973, è avvalorato dal fatto che il citato art. 12, comma 10, non contiene affatto una disciplina organica sulle prestazioni previdenziali in favore dei dipendenti dello Stato, in grado di sostituirsi, in senso novativo, al d.P.R. n. 1032 del 1973, come del resto ritenuto dall’Amministrazione in sede applicativa.

Ciò posto, va osservato che fino al 31 dicembre 2010 la normativa imponeva al datore di lavoro pubblico un accantonamento complessivo del 9,60% sull’80% della retribuzione lorda, con una trattenuta a carico del dipendente pari al 2,50%, calcolato sempre sull’80% della retribuzione.

La differente normativa pregressa prevedeva dunque un accantonamento determinato su una base di computo inferiore e, a fronte di un miglior trattamento di fine rapporto, esigeva la rivalsa sul dipendente di cui si discute.

Nel nuovo assetto dell’istituto determinato dalla norma impugnata, invece, la percentuale di accantonamento opera sull’intera retribuzione, con la conseguenza che il mantenimento della rivalsa sul dipendente, in assenza peraltro della “fascia esente”, determina una diminuzione della retribuzione e, nel contempo, la diminuzione della quantità del TFR maturata nel tempo.

La disposizione censurata, a fronte dell’estensione del regime di cui all’art. 2120 del codice civile (ai fini del computo dei trattamenti di fine rapporto) sulle anzianità contributive maturate a fare tempo dal 1º gennaio 2011, determina irragionevolmente l’applicazione dell’aliquota del 6,91% sull’intera retribuzione, senza escludere nel contempo la vigenza della trattenuta a carico del dipendente pari al 2,50% della base contributiva della buonuscita, operata a titolo di rivalsa sull’accantonamento per l’indennità di buonuscita, in combinato con l’art. 37 del d.P.R. 29 dicembre 1973, n. 1032.

Nel consentire allo Stato una riduzione dell’accantonamento, irragionevole perché non collegata con la qualità e quantità del lavoro prestato e perché - a parità di retribuzione - determina un ingiustificato trattamento deteriore dei dipendenti pubblici rispetto a quelli privati, non sottoposti a rivalsa da parte del datore di lavoro, la disposizione impugnata viola per ciò stesso gli articoli 3 e 36 della Costituzione””.