Nord, sud e scuola: dalle polemiche ai progetti di sviluppo

10.08.2016 12:36
Categoria: Cultura & Società

Proponiamo un intervento di Gian Antonio Stella che sul Corriere della Sera di oggi, 10 agosto 2016, anche prendendo spunto da una ricerca di "Tuttoscuola", offre un ragionamento serio, pacato e documentato sulla questione dei posti di insegnamento da coprire al Nord con insegnanti che provengono dal Sud. Un problema vero che pesa sulle scelte di vita di tante persone e che non può essere trattato con superficialità e indifferenza. Non lo facciamo noi e non lo fa Gian Antonio Stella, che in chiusura del suo articolo apre su prospettive di interventi strategici su cui anche noi dovremo avviare riflessioni e progetti che portino, per tutto il territorio nazionale, a un grande piano di sviluppo, vero e stabile, del nostro sistema di istruzione e formazione.

L'80% dei nuovi prof sono al Sud. Ecco perchè trasferirli non è un complotto (Corriere della Sera, 10 agosto 2016)

Allora: spostiamo gli studenti al Sud? A leggere certi strilli sulla «deportazione» dei docenti meridionali al Nord cadono le braccia. Certo, è possibile che il famigerato «algoritmo» che ha smistato maestri e professori abbia commesso errori. E vanno corretti. Ma i numeri sono implacabili: 8 insegnanti su 10 sono del Mezzogiorno però lì c’è solo un terzo delle cattedre disponibili. Non per un oscuro complotto anti meridionalista: perché gli alunni delle «primarie» e delle scuole di I° grado sono oggi mezzo milione in meno di vent’anni fa.

 

L’analisi dei dati
Lo studio capillare che spazza via certi slogan urlati in questi giorni è di Tuttoscuola. Che grazie a un monitoraggio capillare, nome per nome, regione per regione, dimostra: «Solo il 37% degli studenti italiani risiede al Sud, Isole incluse (18 anni fa era il 47%); mentre ben il 78% dei docenti coinvolti in questa tornata di trasferimenti è nato nel Meridione». Risultato: la scuola italiana è come una «grande nave con un carico molto più pesante a prua (il Nord del Paese), che fa scivolare gradualmente verso quella prua una quota crescente del personale, collocato in misura preponderante a poppa (al Sud)». E non c’è algoritmo che, quella nave, possa raddrizzarla. Almeno in tempi brevi. Il guaio è che, prima ancora della frana 2013/2015, con più morti che nascite come non accadeva dalla influenza spagnola del 1918, il Sud subisce da tempo un’emorragia demografica. Conseguenza: «Meno studenti, meno classi attivate, meno personale docente. Confrontando i dati degli alunni iscritti nelle scuole del primo ciclo nel 1997-98 con quelli degli anni successivi, risulta una flessione costante». Nel ‘97-‘98, ad esempio, gli iscritti meridionali alle materne, alle elementari e alle medie erano 2.032.338 cioè il 46,6% del totale nazionale. Quest’anno 1.586.589, pari al 37,5%. Quasi mezzo milione, come dicevamo, in meno. Contro un aumento parallelo di 320.809 alunni al Nord. Di qua +14%, di là -22%. Va da sé che l’equilibrio domanda e offerta ne è uscito stravolto. E questo «squilibrio», prevede la rivista diretta da Giovanni Vinciguerra, sarà registrato «per altre migliaia di professori della secondaria di II grado». È la conferma che «il Mezzogiorno, da decenni avaro di posti di lavoro, privilegia come valvola di sfogo occupazionale l’insegnamento, mentre i giovani delle altre aree territoriali sembrano non prioritariamente interessati a questa professione, grazie forse a più favorevoli offerte di lavoro locali».

L’algoritmo
Problema: non c’è bicchiere capace di contenere un litro d’acqua. I docenti meridionali sono 30.692 ma i posti a disposizione al Sud sono 14.192: «Come possono 14.192 sedi accogliere 30.692 insegnanti? Neanche Einstein avrebbe potuto inventare un algoritmo in grado di risolvere un’equazione simile». Maestri e professori «in eccedenza» nel Mezzogiorno sono complessivamente 16.500, quelli che mancano al Centro-Nord 17.628. Di qua quasi il 67% in meno, di là quasi il 54% di troppo. Con addirittura un picco del 64,3% di insegnanti in eccesso in Sicilia. La quale copre da sola oltre un terzo dei docenti costretti ad andarsene dalla propria regione. Capiamoci: come dicevamo, e come sono stati costretti ad ammettere la stessa Stefania Giannini o Davide Faraone, l’algoritmo usato per distribuir le cattedre in base a vari parametri (anzianità di servizio, titoli, specifiche esigenze familiari...) «incrociati» con l’ordine delle province preferite (ogni docente poteva metterne in fila cento, dalla propria a quella più lontana o più scomoda da raggiungere) può aver commesso errori. Anzi, vere e proprie ingiustizie che hanno premiato qualcuno a danni di altri. E quelle ingiustizie, come dicevamo, vanno riparate. Partendo dalla massima trasparenza chiesta a gran voce da chi contesta le graduatorie.

«Deportazione coatta»
Mediamente, spiega Tuttoscuola, «soltanto il 38% di docenti meridionali ha trovato sede nella propria regione, mentre il 62% è rimasto fuori. Al contrario, il 74% dei docenti nati nel Centro-Nord è rimasto nella propria regione». Colpa di quella nave sbilanciata a prua. Ma se un pugliese finisce in Sicilia e un siciliano in Puglia, dato che non pesava il merito professionale ma solo l’algoritmo, poteva probabilmente esser fatto di meglio. Ed è vero che, in cambio del posto fisso, viene chiesto a molte persone non più giovani, dopo anni di supplenza, con figli e famiglie radicate, un sacrificio pesante. A volte pesantissimo. Detto questo, le urla contro «la deportazione coatta», i lamenti per «una misura indecente e inaccettabile», le denunce degli «esiti nefasti della mobilità nella scuola», gli appelli contro «l’esodo biblico», sono esasperazioni che si rifiutano di tener conto di un dato di fatto: non potendo spostare scuole e studenti, devono spostarsi i docenti. Come accettò di andare a insegnare in un liceo dell’allora lontanissima Matera Giovanni Pascoli. O dell’ancor più lontana Nuoro Sestilio Montanelli, che si portò dietro tutta la famiglia, a partire dal nostro Indro. E centinaia di migliaia di altri docenti. Consapevole oggi dei disagi, dei problemi, dei drammi familiari, però, il governo potrebbe cogliere l’occasione, come invita Tuttoscuola, per dare una svolta alla scuola meridionale, marcata dall’altissima dispersione e da «scadenti risultati nei test Invalsi e Pisa». Alla larga dall’assistenzialismo, ma vale davvero la pena di tener aperte le scuole meridionali, incentivare il tempo pieno, puntare sull’istruzione. Soprattutto nelle aree a rischio.

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