27 gennaio, “Giorno della memoria”

24.01.2014 16:29
Categoria: Agenda 2013/14

Celebriamo il “Giorno della memoria” ospitando nel nostro sito una pagina del libro: "Le mie nove vite" di Carla Cohn.
Carla Cohn è una dolcissima signora che vive a Roma, dove, da psichiatra, si è occupata della terapia dei traumi infantili. In un incontro che abbiamo avuto il dono di avere con Lei qualche anno fa, ci parlò della necessità e del dolore della memoria e poi del dolore e della necessità di percorrere le strade della riconciliazione; non parlò di perdono, ma di incontro nella verità e ricomposizione di umanità.
Di essere ebrea, e perciò “diversa” se ne accorse dopo il 1933 per la proibizione, solo a causa del suo nome, di giocare con una compagna di scuola. Divenne allora “ebrea indesiderabile” (unerwuenscht), proprio come era già scritto davanti a tanti negozi.
Dopo una breve nota biografica di questa grande testimone di quel drammatico tempo, proponiamo una sua pagina che, oltre a parlare di resistenza, ci porta a riconoscere nella resilienza lo strumento per restaurare quell’umanità che diversamente si smarrisce.

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Carla Cohn

Di sé e della sua storia Carla Cohn dice: "ho sempre pensato di aver vissuto nove vite, come il gatto dei proverbi: non importa quali crudeltà gli siano state inflitte, se sopravvive mantiene la sua dignità e la sua grazia. I gatti non possono essere resi schiavi a lungo".
Nata a Berlino nel 1927, a 15 anni viene deportata con la sua famiglia nel campo di Terezín, per poi essere trasferita ad Auschwitz-Birkenau e quindi a Mauthausen. La liberazione è l’inizio di una nuova odissea che la porta in Italia, Palestina, Stati Uniti e poi ancora in Italia, dove vive tuttora.
Ha dovuto passare il confine estremo del dolore e della perdita di sé, ed è riuscita a raccontarlo. I suoi non sono semplicemente i ricordi di una sopravvissuta - strappata alla camera a gas per un fortuito scambio di persona - ma la storia di un’identità ricostruita, con fatica, dolore e coraggio, nel corso degli anni. Ha dedicato gran parte della sua esperienza professionale ai traumi infantili.
Carla Cohn tesse la cronaca del proprio percorso di autoanalisi e della lotta senza fine contro la rimozione della memoria e del senso di colpa che abita i «salvati» della Shoah. Il lavoro su di sé - quel modo di ripercorrere il passato che Carla chiama retrospettoscopio - diventa, inevitabilmente, una continua rilettura della Storia e uno sguardo senza veli sulle mutazioni dell’Occidente, le sue ripetute ingiustizie e le sempre risorgenti ombre di razzismo e di ogni forma di esclusione.