L'Italia del malessere

24.10.2018 12:50

Sul Corriere della Sera del 24 ottobre 2018 Ferruccio De Bortoli recensisce l'ultimo libro di Maurizio Molinari, direttore de La Stampa ("Perché è successo qui", La Nave di Teseo), nel quale l'autore analizza le ragioni alla base di eventi politici che stanno segnando "la rottura degli schemi classici della nostra democrazia rappresentativa".

Nell’innovazione politica non temiamo rivali. Ma non è un primato di cui andare fieri. Sperimentiamo due populismi al governo in una volta sola. Secondo Steve Bannon, il troppo ascoltato ideologo americano, saremmo al centro dell’universo politico contemporaneo. Un esperimento pilota. Bontà sua. Ma come è potuto accadere tutto ciò? Se lo chiede Maurizio Molinari nel suo ultimo libro dal titolo Perché è successo qui (La nave di Teseo). Un viaggio del direttore della «Stampa» — si legge nel sottotitolo — all’origine del populismo italiano che scuote l’Europa. «Sono due forze — scrive Molinari riferendosi a Cinque Stelle e Lega — che non hanno partecipato alla scrittura della Costituzione, alla formazione della Repubblica, alla creazione dell’Unione Europea, alla guerra fredda contro l’Urss e alla genesi della società interclassista forgiata dalla riforma agraria degli anni Cinquanta». Il segno della discontinuità, o se volete della rottura degli schemi classici della nostra democrazia rappresentativa, è tutto racchiuso in questa frase lapidaria. Siamo in un altro mondo.

L’analisi on the road dell’autore — che da quando ha assunto la direzione del quotidiano torinese, nel gennaio del 2016, ha percorso sul territorio italiano quasi 200 mila chilometri — è lucida, spietata, ma non rassegnata. Il sovranismo all’italiana è una riedizione tribale del nazionalismo. Esalta la retorica del leader forte facendo leva su un istinto mai represso dell’antropologia politica del Paese. Ha bisogno di avere un nemico: l’establishment, i poteri forti, la globalizzazione. Nel difendere e nel riscoprire le radici identitarie ha lo sguardo costantemente rivolto al passato. E, dunque, nel ritracciare i confini, non solo geografici, ma anche culturali, rivaluta il ruolo protettivo dello Stato. In questa veste vintage affascina anche il pubblico giovanile. Le memorie del Novecento si diradano. I valori della pace e della solidarietà sono ingialliti dal tempo, svuotati dall’impoverimento dei ceti medi, dalla paura delle invasioni migratorie. Il senso della Storia conosce, di conseguenza, rivoli imprevisti. E il paradosso, come nota Molinari, è che queste forze, con la testa inebriata dalle peggiori suggestioni del Novecento, si sono dimostrate le più preparate e spregiudicate nell’uso della Rete. Molto più abili dei loro avversari, che restano convinti di essere gli interpreti unici del progresso, della modernità. Una dimestichezza nello scorrazzare per i social network che potremmo definire una sorta di avanguardismo digitale, cui la violenza delle parole non fa difetto. Lo squadrismo del web è all’opera. I moderati si ritraggono. Il rumore di fondo è tutto sovranista.

Viaggiando nella notte italiana Molinari descrive cinque tabù. Tipologie di malessere che hanno alimentato il consenso dei due populismi. Il timore dell’Islam; la competizione economica con i migranti; la paura di perdere l’identità nazionale; l’indifferenza e il disamore per l’Europa e, infine, il fascino dei leader autoritari come Vladimir Putin. Analizza le ragioni per le quali la nostra società, bianca e cattolica per secoli, fatichi ad accettare una dimensione multiculturale. È vero che abbiamo una percentuale di immigrati inferiore a quella di altri Paesi, ma gli «stranieri di colore e di fede» sono cominciati ad arrivare solo negli anni Novanta. Il fenomeno ci ha colti impreparati, indifesi, senza un vissuto storico multiculturale. Intanto, la nostra società invecchiava, diventava ancora più diseguale e corrotta. I diritti dei più deboli sottovalutati. I giovani costretti a emigrare a loro volta oppure tenuti in quella immensa «discarica delle vite» che è costituita dagli oltre due milioni che non lavorano né studiano.

«Se i partiti tradizionali — nota Molinari — avessero dedicato più tempo e risorse al rafforzamento dei diritti dei cittadini ciò avrebbe consentito al Paese di avere uno scudo di anticorpi per fronteggiare la valanga populista. Più i diritti sono garantiti, più i cittadini si identificano con lo Stato, più entusiasmo c’è nei confronti dell’interesse collettivo».

Il Partito democratico invece ha raccontato, in campagna elettorale, un Paese che non c’era. La modesta crescita riguardava solo una piccola minoranza degli italiani. Si è scatenato così quello che l’autore definisce «un micidiale corto circuito»: più i leader del Pd parlavano di ripresa, più cresceva la collera del ceto medio. Chi si sente escluso dalla globalizzazione diffida dell’Europa e del libero commercio di cui coglie i rischi dimenticandosi le opportunità. I maggiori consensi la Lega li ottiene in distretti industriali del Nord Est che esportano fino al 90 per cento della loro produzione.

Molinari esamina la sorprendente leadership di Matteo Salvini e arriva alla conclusione che riassume in sé le caratteristiche di altri capi sovranisti, dal bavarese Seehofer al polacco Kaczynski. Ha il dinamismo rivoluzionario che piace a Bannon. Il linguaggio del corpo fa premio sulla serietà degli argomenti. Conta l’incessante interazione con il pubblico della Rete. Non c’è intermediazione, distanza. Tutto appare autentico perché autografo e in diretta. La coerenza non è più da tempo una virtù della politica. In questo delirio del «leader minuto per minuto» la democrazia rappresentativa appare un orpello novecentesco. Una nazione tribale, a corto di memoria e di spirito civico, si illude di fare da sola, di lottare contro tutti. E, ultimo paradosso, ammira Putin, ignara della cyberguerra che il Cremlino incoraggia per indebolire le democrazie occidentali. E sembra dimenticare che la storia, le nostre relazioni, i nostri interessi anche familiari e individuali, sono tutti legati dall’appartenenza all’Occidente. Nel vuoto di proposte concrete dei partiti tradizionali ed europeisti, soprattutto contro diseguaglianza, migrazioni e corruzione, il populismo prospera. L’opposizione semplicemente non c’è.

Come reagire, allora? Occorre dare risposte credibili al ceto medio soprattutto in tema di giustizia economica, di avvenire per i figli. Serve un piano serio per integrare i migranti sulla base di un scambio fra parità di diritti e assoluto rispetto della legge. Ma ci vogliono leader capaci e coraggiosi. E Molinari chiede di rompere un ultimo tabù: un premier donna. «Chi meglio di una donna potrebbe guidare il nostro Paese nella sfida alle diseguaglianze, lì dove questo tallone d’Achille della società nazionale è rappresentato soprattutto da famiglie con figli che provano disagio per non poter coronare i propri sogni?». Sarebbe una grande prova di soft power. Nel mezzo del Mediterraneo. Un segnale anche all’Islam. Non solo di casa nostra.