Mensa negata ai bambini di Lodi, fermare la deriva prima che sia troppo tardi

17.10.2018 14:35

"L'obiettivo della vicenda dei bambini lasciati fuori dalla mensa è quello di discriminare, selezionare, additare il nuovo fantasma italiano: il migrante, lo straniero. Separandolo, segregandolo. È ora di chiederci che fine hanno fatto la nostra civiltà e la nostra umanità" (Ezio Mauro, La Repubblica del 17 ottobre 2018)

Forse ci sono ancora due, tre cose da dire a margine della vicenda di Lodi, mentre i bambini stranieri (esclusi dalla mensa per l'impossibilità di reperire nei loro Paesi d'origine i documenti sul patrimonio richiesti dalla sindaca leghista) sono tornati al pranzo comune grazie alla colletta privata organizzata in tutt'Italia, che ha permesso alle famiglie di far fronte al maggior costo preteso dal Comune. Il primo dato è proprio questa risposta spontanea, nata direttamente nella società, a dimostrazione di una riserva di solidarietà e di una capacità di reazione auto-organizzata, che è già il fondamento di una nuova politica, irriducibile, generosa, appassionata, capace di capire, di giudicare e di prendere parte al momento giusto. Fondamento anche di qualsiasi nuova opposizione popolare.
Nello stesso tempo, però, questo slancio solidale deve tenere presente che la beneficienza e la carità sono dei nobili interventi umanitari di soccorso individuale, ma in un Paese civile la compassione non può sostituirsi al welfare, perché la spesa sociale deve fare la sua parte per compensare le disuguaglianze e ridurre le sofferenze, e i cittadini devono pretenderlo. Oggi la crisi più lunga del secolo ha prosciugato i concetti di solidarietà, di responsabilità e di umanità, lasciando sul campo un'inedita invidia del lavoro, una gelosia del welfare, una privatizzazione dei diritti sociali: e tutto questo con una linea di separazione immediatamente molto netta tra gli italiani – i moderni indigeni – e gli stranieri. Strumenti nati come mezzi di riequilibrio sociale, per garantire stabilità attraverso una convivenza più regolata, diventano appannaggio dei più forti, da cui i più deboli devono essere esclusi. Come se i diritti si potessero mutilare nella loro concezione d'uso, senza trasformarsi in privilegi per alcuni a danno di altri, dunque stravolgendosi nell'arbitrio.
C'è poi il carico ideologico, consapevole o meno, che spesso si deposita nelle misure amministrative dei Comuni, come quello di Lodi. Nell'ombra della lunga periferia italiana, dietro una questione apparentemente neutra, contabile e monetaria, va invece ogni volta in scena una vera e propria procedura implicita di selezione, che si accompagna a una pratica sperimentata della discriminazione. La tecnica è sempre la stessa. Prima si individua una minoranza (gli stranieri), poi si trasforma politicamente quella minoranza in devianza (la povertà come moderna colpa), quindi si allude alle sue condizioni come a un abuso o a un privilegio (i "furbetti"), infine si interviene per mettere fine a tutto questo, naturalmente a salvaguardia dei diritti degli italiani, che intanto, favoriti da questo clima, si sporgono in televisione a chiamare "zecche" i bambini degli immigrati: senza che sindaci, vescovi o ministri sentano il bisogno di prendere le distanze.
Quei bambini separati dai loro coetanei per vizio di povertà sono vittime tre volte. Prima di espulsione simbolica, davanti ai compagni e alla scuola. Poi di esclusione sociale, davanti alla comunità cittadina. Quindi di esclusione discriminatoria, quando il caso è diventato di rilevanza nazionale ed è stata chiara la compressione dei loro diritti, e la riduzione del loro spazio di cittadinanza. C'è qui, in nuce, la distinzione tra la popolazione "legittima" e gli altri, e tutto avviene attraverso l'ottusità della pratica amministrativa, della documentazione mancante, del povero a cui tocca l'onere di provare di essere tale, mentre il ricco si volta dall'altra parte e tira dritto.
L'obiettivo evidente è quello di discriminare, selezionare, distinguere, stanare, additare il nuovo fantasma italiano: il migrante, lo straniero. Separandolo, segregandolo, spingendolo in un mondo a parte, obbligandolo ad accettare condizioni speciali, riducendolo a una vita particolare. Come se avesse sulla pelle il segno del diverso, dell'abusivo che con la sua pretesa di vivere tra noi contagia il corpo mistico intatto della nazione.
Infine, va pur detto che tutto questo riguarda dei bambini. Ora è il momento di domandarsi (in realtà il momento è passato da un pezzo) che fine ha fatto molto semplicemente la civiltà italiana dei nostri padri e delle nostre madri.
Perché possiamo anche provare a prendere per buoni – per un momento – la paura, il bisogno di protezione, il sentimento di esclusione, l'ansia di insicurezza, la mancanza di rappresentanza che gonfiano il grande risentimento dell'epoca: ma tra tutto questo e la disumanità che stiamo dimostrando, c'è un abisso. Perché? Non era necessaria questa ostentazione di brutalità programmatica, questo ricorso alla crudeltà verbale, questa inclemenza costante.
La miseria della fase che stiamo vivendo rivela che l'impietosità è un plusvalore alla borsa slabbrata della politica, e la ferocia delle parole produce un sicuro reddito a breve al banco di un sistema impazzito. Salvo pagare dazio domani: quando per il Paese sarà troppo tardi.

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