Un’azione umanitaria che non significa solidarietà con l’Italia

13.06.2018 08:58

Sulla vicenda della nave Aquarius un articolo di Vladimiro Zagrebelsky (La Stampa, 12 giugno 2018) che offre una chiave di lettura in cui la questione umanitaria, comunque ineludibile, si intreccia con quella del rapporto tra politiche nazionali e politiche comunitarie, evidenziando il paradosso di un plauso al "sovranismo" quando servirebbe, specie all'Italia, più Europa, e non meno.

Stupisce la soddisfazione del governo italiano per il gesto del nuovo governo spagnolo che ha dichiarato di aprire il porto di Valencia alla nave Aquarius e al suo carico umano. Il governo spagnolo, nel rifiuto opposto dalle autorità maltese e italiane, ha dichiarato di essere disposto a un gesto umanitario. Vero è che il ministro Toninelli, responsabile dei porti, accordandosi alle decisioni del ministro dell’Interno Salvini, ha detto che la situazione a bordo è buona, ciò che permetterebbe a lui e a noi di non preoccuparci troppo. Ma l’intervento spagnolo non è stato motivato da solidarietà verso l’Italia, come fanno credere il presidente del Consiglio Conte, il ministro Salvini (e, dalla Francia, Marine Le Pen). Si tratta invece di un’azione umanitaria verso le donne, le donne incinte, i bambini e gli uomini a bordo. È azzardato allora pensare che invece il rifiuto italiano (e maltese) è inumano?

Certo secondo il diritto internazionale un Paese può inibire l’attracco a navi straniere. Più in generale gli Stati sono competenti per la gestione dei loro confini, per ammettere o negare l’entrata agli stranieri, per gestire i flussi di migranti. Tuttavia gli Stati d’Europa, orgogliosi della loro civiltà, hanno accettato di assoggettarsi a limiti e obbligazioni. Tutti coloro che vengono a trovarsi nell’ambito della loro giurisdizione sono protetti, tra l’altro, dalla convenzione europea dei diritti umani, la quale vieta trattamenti inumani o degradanti e riconosce a tutti, in quanto essere umani, una serie di diritti e libertà. L’Italia è parte di quella convenzione da più di sessant’anni. Quella nave è stata doverosamente presa in carico da Roma dal servizio del Comando generale del corpo delle Capitanerie di Porto e così l’Italia è il paese giuridicamente responsabile del coordinamento dei soccorsi; non sarà l’espediente di tenerla a galleggiare fuori delle acque territoriali a escludere l’ormai acquisita giurisdizione italiana. Né la condotta dell’isolotto maltese, comunque motivata, esclude la responsabilità italiana. Non è improprio ricordare che siamo un paese di sessanta milioni di cittadini e pure membri del G7.

Sull’atteggiamento del nuovo governo del cambiamento pesa inoltre un’altra domanda. Se non fosse intervenuta la Spagna, si potrebbe immaginare che il comandante della nave, nonostante il divieto, si presenti all’imboccatura di un porto italiano, dichiarando di avere a bordo malati o donne prossime al parto, oppure semplicemente perché ha esaurito le scorte. L’Italia rifiuterebbe l’attracco? E prima ancora, per fermare la nave, la silureremmo? La trascineremmo al largo? Impensabile, ridicolo. Forse non solo i vescovi protesterebbero.

Insomma il gesto spagnolo ha sì un effetto di solidarietà per il governo italiano, ma nel senso che l’ha tirato fuori dall’angolo in cui si è cacciato, evitandogli l’alternativa secca di perpetrare un’azione indegna di un paese civile oppure di dover fare marcia indietro.

Il modo in cui il governo italiano ha assunto posizione nella vicenda sembra impostato come se si trattasse solo di una nave e una indifferenziata massa di individui (per lo più irregolari, ma in verità non sappiamo nemmeno chi sono, da dove vengono, cosa hanno alle spalle). E di questo caso il governo fa occasione di sfida a un’Europa matrigna che «ci lascia soli». Per un verso la recriminazione ha fondamento, anche se il numero di migranti accolti da altri paesi (la Germania per esempio) e in percentuale molto più elevato dell’Italia. Per altro verso sbaglia bersaglio. L’Unione europea come tale - l’odiata Bruxelles, con i suoi burocrati - ha ridotta competenza nella politica delle migrazioni verso gli Stati membri. Dai Trattati su cui l’Unione si fonda, si trae che nella materia la sua possibile azione è regolata dal principio della solidarietà, tra Stati membri e Stati e Unione. Scarsi sono gli strumenti per imporre solidarietà quando questa è rifiutata. Sarebbe utile all’Italia più Europa, non meno. In effetti nella materia, in epoca di nazionalismi galoppanti, è forte la tentazione di far valere la tradizionale sovranità degli Stati. È sotto gli occhi di tutti il rifiuto di solidarietà da parte di numerosi Stati dell’Unione: primi fra tutti quelli che si gruppo di Visegrad. È sconcertante che a essi i partiti al governo in Italia sembrino strizzar l’occhio.