Pubblica Amministrazione, tre proposte con visioni diverse

18.04.2018 18:31

Le proposte delle principali forze politiche in materia di Pubblica Amministrazione. Diverse concezioni della "macchina pubblica" che riflettono differenze di visione politica e culturale. Si possono trovare punti di intesa? Forse, se si passa dalle enunciazioni astratte al tentativo di mettere a punto indicazioni concrete: importante ascoltare anche le «voci di dentro», di chi quotidianamente fa funzionare l'amministrazione. Parole che alla gente di scuola ricordano certamente qualcosa... (Giulio Napolitano, Corriere della Sera, 18 aprile 2018)

Sono molte le questioni, alcune particolarmente urgenti e delicate, che dividono i tre principali schieramenti politici oggi in campo. Poca attenzione, però, è stata finora prestata a quelle che riguardano la pubblica amministrazione, nonostante essa sia comunemente ritenuta un ostacolo allo sviluppo economico e sempre più spesso appaia incapace di garantire servizi adeguati e di qualità ai cittadini. Non rimane allora che volgere lo sguardo ai programmi elettorali. E subito si scopre che ciascuno delinea una diversa concezione dell’amministrazione. Il programma del centrodestra muove dalla tradizionale contrapposizione ottocentesca tra autorità e libertà. Promette in via generale uno «Stato meno invadente» e «più società», secondo una formula che ricorda la big society auspicata dai conservatori di David Cameron. Coerentemente (ma un po’ genericamente) si evoca una riorganizzazione dello Stato secondo il principio della «pari dignità» fra amministrazione e cittadino. Si annuncia un «taglio visibile» agli sprechi mediante l’effettiva introduzione del principio dei fabbisogni e dei costi standard. Ci si impegna a una significativa estensione delle autocertificazioni per favorire l’iniziativa privata. Allo stesso tempo, però, in contraddizione con la promessa generale di uno «Stato meno invadente» e di «più società», si annunciano un Piano per il Sud, che garantisca lo sviluppo infrastrutturale e industriale del Mezzogiorno, e un Piano straordinario per le zone terremotate. Inoltre, si garantiscono «più aiuti a chi ha bisogno», «più sicurezza per tutti», «più qualità» nella scuola e nella sanità, espressamente definita «pubblica». La convivenza di liberismo e statalismo all’interno dello stesso programma e la mancanza di indicazioni più specifiche si spiegano anche con il fatto che questo è l’unico programma di coalizione, che unisce forze politiche diverse.

Nel programma del Movimento 5 Stelle, invece, l’amministrazione è concepita principalmente come uno spazio di partecipazione democratica. I punti più importanti sono l’estensione del dibattito pubblico su grandi opere e interventi territoriali, il rafforzamento della trasparenza, la semplificazione dei procedimenti. Il momento partecipativo assume rilevanza anche in ambiti più specifici, come la valutazione della performance dei dirigenti e dei dipendenti pubblici, per la quale dovrebbero contare anche i giudizi di singoli e imprese, e persino le nomine nelle autorità indipendenti, con candidature pubbliche e il coinvolgimento nella scelta dei cittadini (ma non è chiaro come). Ogni punto del programma è esposto attraverso una breve ricostruzione dell’evoluzione normativa della materia. Diversamente da quanto accade in altri campi, qui le proposte sono presentate come un naturale sviluppo di istituti già in vigore, la correzione parziale di precedenti scelte normative, o l’effettiva applicazione di regole giuste ma finora non adeguatamente implementate. A volte, però, si tralascia di dire che alcune riforme auspicate in realtà sono già state approvate o di indicare le misure di dettaglio da adottare. Talora, vi sono riferimenti a esperienze straniere di successo, ma la loro imitazione non è fedele (ad esempio, si richiama la codificazione delle leggi fatta in Francia, ma la si vorrebbe affidare a commissioni governative invece che incardinare presso il Consiglio di Stato).

Il Partito democratico, infine, si preoccupa soprattutto del funzionamento della «macchina pubblica» e guarda all’amministrazione come motore di sviluppo economico e tecnologico («da zavorra a locomotiva»). Le priorità sono lo sviluppo dell’amministrazione digitale, l’investimento sulla qualità del personale, la riduzione dei controlli preventivi sulle amministrazioni e lo snellimento della disciplina dei contratti pubblici (anche se molti vincoli derivano dalle misure anticorruzione varate nella legislatura appena conclusa), l’efficienza energetica negli immobili pubblici, la revisione della spesa. Si dedica attenzione anche alla giustizia amministrativa e alla soluzione semplificata delle controversie. Il riferimento a quanto fatto dagli ultimi governi (la riduzione delle società pubbliche, il rinnovo dei contratti del pubblico impiego e il contrasto all’assenteismo, la trasparenza amministrativa) non manca, ma è piuttosto limitato rispetto alla mole di leggi e provvedimenti varati, come se vi fossero dubbi e perplessità sulla loro reale efficacia. Sembrano sparire le misure che non si è riusciti ad adottare nella passata legislatura (ad esempio, la riorganizzazione dei ministeri). Si richiama l’importanza di curare l’attuazione concreta delle riforme e di svolgere analisi di impatto prima di adottare nuove norme.

Dall’analisi emergono dunque tre diverse concezioni della pubblica amministrazione, che riflettono differenze di visione politica e culturale. Si tratta di concezioni del tutto confliggenti oppure esse sono in ««qualche misura complementari e dunque, almeno in parte, conciliabili? Per iniziare a capirlo, bisognerebbe provare a condividere dati e analisi, passare dalle enunciazioni astratte alle indicazioni concrete, predisporre una lista di misure, verificare su quali sono possibili intese minime e stabilire un cronoprogramma. Allo stesso tempo, però, servirebbe una più matura e diffusa consapevolezza che ogni serio intervento sulla pubblica amministrazione richiede un lavoro di lunga lena, una leale volontà di cooperare per un periodo non breve, la disponibilità ad ascoltare le «voci di dentro», di chi prova, cioè, a far funzionare le amministrazioni ogni giorno in condizioni sempre più difficili.