La strategia da usare con il terrore

31.07.2016 11:21

In un duro editoriale su La Stampa del 29 luglio 2016 Domenico Quirico mette in guardia da approcci al fenomeno del terrorismo jihadista che ne travisano la reale natura, compromettendo la possibilità di approntare strategie efficaci di contrasto.

Il jihadismo non è, purtroppo, un caso clinico da affidare a un sinedrio di psichiatri. È un problema politico, religioso, militare. E variando l’ipotesi diagnostica ovviamente mutano le terapie. Per questo aver ragione di questa congrega promiscua che agisce con una crudeltà mista a fervore, che crea quotidianamente un’opera dove abbondano le enormità, richiederà una infinita pazienza e tempo e prezzi sanguinosi.
Leggendo l’articolo «La rieducazione del jihadista» pubblicato ieri da La Stampa in cui si forniscono i contorni di un progetto del governo francese per recuperare «i soggetti vulnerabili alla radicalizzazione» con una ingegnosa casistica per estirparne i malefici tra testa e midolla, si comprende perché la Francia è il Paese dove escandescenti in trasferta dal Califfato agiscono con maggior comodo ed efficacia. Dopo cinque anni, cinque anni, in cui l’assalto mondiale dell’islam totalitario si è dipanato dalla Siria e dall’Iraq con tentacolare efficienza fino al cuore delle nostre città, quale veemente, esasperante ignoranza della natura del Nemico! I jihadisti, anche quelli più periferici e solitari ahimé, sono strumenti di un progetto politico-religioso di creazione dello Stato di dio sulla terra. Per offrire una mano a questa soap opera di divina immanenza sono disposti a tracannare qualsiasi sacrificio, compresa la morte. Questa è politica feroce, religione totalitaria, non pazzia.
Veniamo al metodo francese, sorvolando sul termine «rieducazione» dove rombano funeree assonanze con altri tentativi di rifare gli uomini inventati da personaggi come Mao e Pol Pot. Allora: bisogna rinchiudere questa folla torva di potenziali jihadisti in serragli dove li si risciacquerà nell’acqua lustrale di «colloqui con psicologi e dialoghi di gruppo su temi come la religione e la geopolitica». I rieducatori con laurea e diploma, dunque, libereranno il loro cervello dall’idea che Dio è tutto e li avvieranno a un gagliardo neo-paganesimo, destandoli dalle sirene perverse dell’Assoluto. Le lezioni di geopolitica riusciranno poi a convincerli che nel 1918, spartendosi i ghiotti bocconi del califfato, gli europei agirono da illuministi votati al progresso arabo e umano? Sono previsti in questa allegra pedagogia disintossicante anche formazione professionale e tirocini: falegnami? Idraulici? Operatori informatici? Cosa è più consono a questi druidi del terrore islamico? Ma ad evitare questi tempi criminofagi non avrebbe dovuto anticipatamente provvedere la miracolistica école publique, dove tutti questi assassini hanno studiato essendo francesi, fornendo gratuitamente gli anticorpi della laicità e della volterriana tolleranza? Negli anni a cavallo tra la fine dell’Ottocento e l’avvio del Novecento una ondata terroristica scosse l’Europa; nichilisti e anarchici con «la propaganda dei fatti» davano la caccia a monarchi e presidenti a colpi di pugnale. Non solo: proprio in Francia Ravachol e Vaillant facevano saltare in aria i ritrovi più noti del tout Paris, caffè e ristoranti simboli della borghesia.
All’epoca fu una nuova scienza, l’alienistica, a offrire all’ordine esistente una spiegazione che lo confermava giusto nella sua essenza: i terroristi, garantiva, erano null’altro che un fenomeno patologico, dei mattoidi tarati da malattie ereditarie o da anomalie delle funzioni nervose. Un buon modo per evitare di porsi domande: per esempio se quei forsennati invece che svitati non fossero che la metastasi di masse cenciose con il cuore zeppo di bile che irrompevano, brutalmente, nella Storia.

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