La rappresentanza perduta degli interessi collettivi

15.04.2016 09:31

Il mondo della mediazione sociopolitica è stato smantellato. Al posto dei marginalizzati enti intermedi prendono spazio i più svariati operatori di un lobbismo ormai sempre più strisciante e particolaristico. (Giuseppe De Rita, Corriere della Sera del 14 aprile 2016)

Comincia a farsi strada il sospetto che non abbia giovato molto alla politica e al sistema la grande e reclamizzata epopea della disintermediazione. In nome del primato della rapidità decisionale abbiamo avuto, da Monti in poi, anni in cui si è molto lavorato allo smantellamento del mondo della mediazione sociopolitica e degli enti che per tradizione ne sono stati protagonisti. Così, attraverso una volontaria giubilazione dei partiti, dei sindacati, delle organizzazioni imprenditoriali e professionali, nonché degli enti locali sovracomunali (province, camere di commercio, comunità montane, ecc.) si è voluto creare un deserto della rappresentanza intermedia, nella convinzione che ciò potesse liberare la intenzionalità del governo e favorire insieme il rilancio delle molecole imprenditoriali del sistema.
Non mette conto di rinfacciare il tono, spesso truce, con cui tale operazione è stata condotta: si pensi ad alcune coatte campagne giornalistiche contro le Province, capaci di coinvolgere addirittura gli uffici della Bce; e si pensi alla cinica delegittimazione degli stessi strumenti concettuali delle mediazioni (la coesione sociale, la concertazione, la contrattazione nazionale). Non ci siamo fatti mancare nulla sull’argomento, e alla fine fra potere di vertice e base si è creato il vuoto.
Non ci si è resi forse conto che quando c’è un vuoto, qualcuno lo va a riempire. E così sta avvenendo: al posto dei marginalizzati enti intermedi prendono spazio i più svariati operatori di un lobbismo sempre più strisciante e particolaristico, incapace di ragionare in termini di interessi generali. Nasce così un’altra epopea: quella dell’emendamento finalizzato, specifico, mirato; portato avanti da personaggi legittimati (si fa per dire) solo dalle loro effervescenti relazioni amicali, parapolitiche, finanziarie, magari sentimentali. Con un effetto del tutto stravagante: i politici, che hanno voluto la disintermediazione, si trovano circondati, premuti, circuiti, qualche volta addirittura ricattati, da gruppetti (da «quartierini») di un avventuroso lobbismo. E il loro primato decisionale si dissolve nel mare del traffico delle influenze, degli incontri, delle cene, delle telefonate, delle intercettazioni, del gossip, qualche volta delle inchieste giudiziarie. La epopea della disintermediazione avrebbe meritato un più elegante destino.
Ma se questa epopea declina, come sembra cominciare a declinare, cosa succede a livello dei corpi intermedi, almeno di quelli che in qualche modo non si sono dati per del tutto rottamati? In proposito si intravede una lenta rimessa in moto: qualche antico ceppo di rappresentanza sembra propenso ad intraprendere una lunga marcia di riaffermazione del proprio impegno organizzato e serio a rappresentare interessi collettivi; sono le organizzazioni che, in silenzio, si sono dannate di fatica per salvaguardare le proprie appartenenze, cioè i propri iscritti e le loro nuove istanze: la rappresentanza anche unitaria delle piccole e medie imprese; il sindacato confederale; alcuni consigli professionali; ed anche le stesse domate Province, che tornano a difendere gli interessi territoriali non coperti dalle responsabilità regionali o dalle ambizioni extraurbane delle città metropolitane. Non si tratta, come potrebbe apparire, di un passo indietro. È piuttosto l’avvio silenzioso di un processo di nuova vitalità di alcuni soggetti intermedi; per ora è tutta in maturazione interna, ma sarà interessante vedere se essa avrà anche nei tempi medi un esito esterno, politicamente significativo.

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