Il valore economico del bene di tutti

05.04.2016 09:49

«Se ai decimali di speranza, che inchiodano la crescita italiana allo zero virgola, si potesse aggiungere la valutazione del lavoro che migliaia di volontari svolgono ogni giorno in Italia, avremmo certamente un’impennata di fiducia». (Giangiacomo Schiavi, Corriere della sera del 4 aprile 2016)

Se ai decimali di speranza, che inchiodano la crescita italiana allo zero virgola, si potesse aggiungere la valutazione del lavoro che migliaia di volontari svolgono ogni giorno in Italia, avremmo certamente un’impennata di fiducia. E se dal fuorviante e stracitato Pil riuscissimo a togliere le macchie della droga e della prostituzione che ne inquinano il calcolo, capiremmo meglio cosa significa il benessere in un paese civile. L’Italia reale, che vive al di fuori dei labili confini tracciati dal Prodotto interno lordo, merita un surplus d’attenzione, per non essere soltanto lo spettatore passivo di un’altalena di cifre che in concreto, come sosteneva l’economista Giorgio Fuà, significano poco o niente.
Questo mondo, fatto di famiglie, imprese, lavoratori, soggetti forti e deboli, studenti e persone con una carica di umanità e spirito di servizio verso le aree del bisogno, svolge un’azione di supplenza che tampona da tempo le carenze dello Stato. Il passo avanti della legge sul Terzo Settore, approvata in questi giorni al Senato, è un segnale incoraggiante per chi da anni sollecita il riconoscimento giuridico di un impegno in crescita (per fortuna) nel nostro Paese. Un impegno sul quale vale la pena investire di più, agevolando donazioni, defiscalizzazioni, la nascita di imprese con imprinting sociale. Liberando dall’onere dell’Iva chi offre aiuti economici per realizzare scuole, ospedali, asili destinati a una comunità (no profit/no Iva).
Sul terreno dell’etica pubblica, se alla riforma si vuole dare un senso, servirebbe poi una riflessione franca sugli indicatori di sviluppo, introducendo il tema dei correttivi al Pil suggeriti dai Nobel Stiglitz, Amarytia Sen, Fitoussi o dalla New Economics Foundation di Londra, raccolti in Italia dal Positive Economic Forum di Jaques Attali e Letizia Moratti: quello dell’economia illegale, che corregge al rialzo le stime del rapporto tra debito e crescita, è un’offesa ai cittadini onesti, deciso da Eurostat e accettato nell’imbarazzante silenzio da parte di tutti. A questo tipo di economia opaca è preferibile quella che punta anche sul volontariato trasparente, sulle imprese sociali che assumono, sul non profit che in un decennio è cresciuto del 28 per cento. Un’economia civile, con al centro l’impresa responsabile, aperta, competitiva, attenta ai bilanci e ai valori che nella crisi si interpretano restituendo qualcosa agli altri: ai territori, alle comunità, ai poveri, ai malati, agli immigrati, a quelli che hanno meno.
A chi obietta che il Pil si nutre di numeri e che gli indicatori tengono conto di tutte le attività che producono reddito, indipendentemente dal loro status giuridico, si può rispondere con un esempio: se invito i cittadini a fumare avrò aumentato il fatturato dei monopoli e delle multinazionali, incrementando i guadagni delle tabaccherie, e con questo il Pil nazionale. Avrò però procurato un enorme danno sociale, favorendo l’insorgenza di tumori al polmone, malattie respiratorie e cardiache. Il vantaggio iniziale vale il danno futuro? In una società civile la riposta è: no. La legge antifumo del ministro Sirchia è arrivata a tutela della salute collettiva, quando si è dimostrato che i costi sociali superavano i benefici pubblici e, soprattutto, privati.
La discussione sul Terzo settore, in attesa del passaggio alla Camera, è una buona occasione per ragionare su mercato, impresa virtuosa e valore economico del volontariato. Dovrà servire a fare pulizia dei carrozzoni inutili e delle pratiche oblique, per evitare altri casi come Mafia capitale. Rilanciando il servizio civile, allargando l’offerta a una base maggiore di giovani, il governo dimostra di credere nel percorso formativo del volontariato e dell’attenzione ai bisogni, in una società che – ci informa l’Istat – vede il 5,6 per cento delle famiglie sopravvivere a stento. Il segnale che si attende è una spinta alle pratiche che, insieme al lavoro e alla produzione del reddito, sono in grado di fortificare la responsabilità sociale, garantire trasparenza e favorire l’impresa del bene, come scrive Claudio Magris sulla Lettura. Benessere, si legge sul Devoto Oli, «è una condizione di prosperità garantita da un ottimo livello di vita e da vantaggi equamente distribuiti». Droga e prostituzione non distribuiscono vantaggi. E non portano equità. Il re, o meglio, il Pil è nudo. Ma nessuno lo dice.

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