Tra il Cuore e la Norma

17.07.2015 17:51

Nel rapporto tra le generazioni qual è il compito primo della parola dell’adulto? Quello di ricordare ai giovani il carattere spietatamente immodificabile della realtà oppure quello di alimentare la potenza del sogno, dell’impresa, dello slancio, della possibilità del cambiamento? Queste le domande che Massimo Recalcati si pone e ci pone nel suo articolo (la Repubblica, 17 luglio 2015) scritto in riferimento all'episodio avvenuto il 14 luglio in una scuola di Rostock, protagonisti Angela Merkel e una ragazza palestinese.

Ne “La vita è bella” il protagonista, un indimenticabile Roberto Benigni, custodisce il sogno del figlio proteggendolo dalle atrocità del campo di sterminio. Trasfigura l’orrore in un gioco a premi: il bambino crede alla parola del padre, non la mette in dubbio, accoglie il trasferimento al campo come una vacanza un po’ strana, ma eccitante.
Il velo della parola paterna ricopre il reale terrificante della morte e della distruzione. La posta in gioco è alta: quanta verità può sopportare un bambino? Nel video che riprende la cancelliera Angela Merkel impegnata in una conversazione con un gruppo di giovani, colpisce innanzitutto il volto della sua interlocutrice.
E’ quello di una ragazzina palestinese che la guarda con occhi scuri spalancati come se si trovasse di fronte ad un Gigante buono al quale affidare le proprie speranze di salvezza. Racconta così al Gigante di aver studiato tedesco e inglese, di essersi impegnata insieme alla sua famiglia per rendere possibile una vita degna per poi confessarle senza veli la propria angoscia: cosa ci accadrà se a mio padre, come sembra, non verrà rinnovato il permesso di soggiorno?
Come in molte fiabe la ragazzina affida a chi ha potere il suo voto disperato nella speranza che venga preso in considerazione. Ma la Merkel dimostra di non credere alle fiabe. Il tono della sua comunicazione si raffredda e cambia immediatamente registro: convoca la spietatezza del reale. “Non possiamo accogliervi tutti, siete in troppi!”. Il voto di speranza viene rispedito al mittente. E la ragazzina, delusa, crolla tra le lacrime.
Nella sua risposta il Gigante non sceglie la via del cuore. Non pensa di velare l’orrore del reale. Risponde come fosse di fronte ad una interpellanza parlamentare. Non mente, non nutre fantasie di accoglienza, non fa demagogia, non evita il carattere necessariamente scabroso e deludente della sua risposta. Il Gigante non protegge, come accade nelle fiabe, dalla minaccia del reale, ma evoca questa minaccia come semplicemente immodificabile. Chi potrebbe darle torto? Non si possono accogliere tutti. Questo è il punto più sensibile di tutta la scena: la ragazzina invoca il sogno di una vita libera e degna. Il Gigante la stronca appellandosi al carattere oggettivo della realtà.
Impossibile non pensare qui alla vicenda greca e alla posizione di Tsipras, ma, più in generale, quella di chi coltiva una idea di Europa che non si riduce all’applicazione arida di una Legge impersonale. Nella sua prima risposta alla ragazzina palestinese Merkel evoca precisamente questo volto della Legge; quello che non sa fare eccezioni, che stabilisce un rapporto diretto e immodificabile tra l’infrazione e il suo castigo; che schiaccia il diritto del particolare sotto l’impero necessario dell’universale. D’altra parte, replicherebbe il Gigante, se l’eccezione diventasse la regola non vi sarebbe più alcuna possibilità della Legge. Come darle torto. E’ un grande problema di filosofia del diritto.
E, tuttavia, la psicoanalisi mostra come in tutti i processi di crescita della vita individuale e collettiva l’applicazione (inumana) della Legge che non sa fare posto all’eccezione genera solo mostri. Lo sappiamo: il genitore che diventa un incubo per i suoi figli è quello che si identifica integralmente alla Legge rifiutando ogni sconto nella sua applicazione. Il genitore che diventa un incubo è quello che con sa ridurre il debito, ma che lo invoca in ogni occasione per far sorgere nel figlio il peso della colpa.
Se riguardiamo ancora la conversazione tra il Gigante e la bambina non possiamo non chiederci: nel rapporto tra le generazioni è davvero questo il compito primo della parola dell’adulto? Quello di ricordare alle nuove generazioni il carattere spietatamente immodificabile della realtà? La parola di un adulto che si rivolge ad un giovane che ha dato, come quella ragazzina, prova di impegno non dovrebbe innanzitutto valorizzare il significato di quella prova? Non dovrebbe alimentare la potenza del sogno, dell’impresa, dello slancio, della possibilità del cambiamento?
E’ solo il pianto realissimo della ragazzina che sveglia il Gigante dal sonno di una Legge che non conosce il sogno dell’eccezione. Il Gigante allora le si avvicina, prova a consolarla, la rincuora sinceramente. Le dice che “la situazione è difficile”, ma che lei è stata brava. Bisognerebbe sempre ricordare ai Giganti che se il mondo non è un sogno, il mondo senza sogno deprime e muore.