Quelli che "io sono indignato"

07.04.2015 16:43

Ironico, e al contempo amaro, è il ritratto che Giovanni Orsina (La Stampa, 5 aprile 2015) ci offre dell’italica indignazione “che è venuta montando nel nostro Paese soprattutto negli ultimi 25 anni”.

Un’indignazione (definita dall’autore “cosmica”) che - “trasformandosi a poco a poco in una sorta di condizione dello spirito, uno stato d’animo autosufficiente, pervasivo e permanente” - ha svilito il suo effetto e prodotto molteplici effetti negativi.

 

Questo è un articolo contro l’indignazione. Ma come, replicheranno gli indignati, con tutto quel che accade per cui è sacrosanto indignarsi, stai a vedere che ora il problema è l’indignazione! Con gli scandali che germogliano a cadenza mensile; la corruzione, secondo l’Ocse, al 90%; le inefficienze, i disservizi, gli esempi d’inciviltà che ci affliggono ogni giorno – come potremmo mai non indignarci?
E poi l’indignazione serve a cambiare, dall’altro capo dell’indignazione c’è soltanto la rassegnazione, e meglio indignati che rassegnati. Bene, cari indignati: avete le vostre ragioni, naturalmente. Motivi per indignarsi, figuriamoci, non ne mancano proprio. Ed è vero pure che a certe condizioni l’indignazione serve a riformare. Il punto, però, è un altro. Ed è concreto, storico, non astratto: il problema non è l’indignazione in generale, ma l’indignazione che è venuta montando in Italia negli ultimi venticinque anni.
Un’indignazione – per così dire – «cosmica», che da qualsiasi punto di vista la si osservi non rappresenta più una soluzione, ammesso pure che mai lo sia stata, ma un problema. Che cos’è l’indignazione cosmica? È quell’indignazione che, malgrado all’inizio sia stata generata da fatti specifici, poi li ha trascesi, e s’è trasformata in una sorta di condizione dello spirito: uno stato d’animo autosufficiente, pervasivo e permanente; che non ha più bisogno della realtà per sostenersi ma, al contrario, determina il modo in cui la realtà viene letta; e che in breve tempo si dilata a dismisura e inghiotte qualsiasi avvenimento, cosa o persona. Che inghiotte, alla fine, l’intero Paese.
Quali sono gli effetti negativi dell’indignazione cosmica? C’è solo l’imbarazzo della scelta. L’indignazione cosmica serve a soddisfare l’indignato, non a migliorare il mondo. Teme il cambiamento, anzi – di che cosa potrebbe più indignarsi se le cause dell’indignazione fossero rimosse? –, e quando mai quello dovesse avvenire, lo riterrà senz’altro insufficiente, cosmetico, ipocrita.
L’indignazione cosmica colloca le sue pretese ad altezze siderali: maggiore sarà la distanza fra le cose come sono e come dovrebbero essere, maggiore potrà essere l’indignazione. Così facendo, l’indignazione cosmica diseduca alla realtà – a portar pazienza di fronte alle sue inevitabili (e benedette) imperfezioni. Poiché, a volerlo davvero, le cose potrebbero essere come dovrebbero, se non lo sono la colpa è senz’altro dei malvagi: l’indignazione cosmica vede cospirazioni ovunque. Soprattutto, la colpa è sempre di qualcun altro: l’indignazione cosmica assolve l’indignato cosmico, caricando tutti i peccati sulla groppa del capro espiatorio di turno. Chi scriverà la storia dell’indignazione italiana di quest’ultimo quarto di secolo dovrà dare largo spazio alla stagione di Tangentopoli: i partiti di governo della «prima» Repubblica hanno rappresentato l’archetipo di tutti i capri espiatori, il primo di molti che son seguiti. E malgrado le loro innegabili responsabilità, meriterebbero qualche scusa.
Apocalittica e implacabile, l’indignazione cosmica non può che concludersi con l’imprecazione antitaliana che è diventata ormai così familiare: dobbiamo andarcene da questo Paese. Un’imprecazione saldamente appoggiata alle statistiche internazionali, come quella già menzionata sulla corruzione (ah, la Svezia, col suo 15%!), o ai mille servizi televisivi di denuncia delle disfunzioni italiche, con le loro immancabili escursioni comparative nella pulitissima, efficientissima, civilissima Danimarca. E sì, è ovvio, lo sappiamo tutti che la Svezia è davvero meno corrotta e la Danimarca funziona davvero meglio della Penisola.
Ma chi può seriamente pensare che paragonare l’Italia alla Scandinavia – separate come sono da un abisso storico, geografico e culturale – abbia un senso qualsivoglia, altro che quello di alimentare l’indignazione cosmica? Facile, economica, di sicuro successo, negli ultimi vent’anni l’indignazione cosmica è stata una risorsa straordinaria per i media e la politica, ai quali toccano non poche responsabilità per la sua crescita smisurata. Il grillismo ne è stato un’espressione diretta – e, con la propria inconcludenza, ha fornito una dimostrazione lampante della sua sterilità. Diametralmente opposto al Movimento ma altrettanto antipolitico, nemmeno il montismo è stato innocente d’indignazione cosmica.
Il renzismo invece ha avuto e ha con essa un rapporto ambiguo: da un lato la cavalca, dall’altro cerca di sgonfiarla col suo ottimismo e la sua «politica del fare». Se vuole sopravvivere come forza di governo, prima o poi quest’ambiguità dovrà scioglierla, tuttavia: dovrà aprire una campagna seria contro l’indignazione cosmica, recuperando virtù ben poco renziane come il realismo, la tolleranza e la pazienza. Il presidente del Consiglio, per gran fortuna, ha smesso di prendersela coi gufi. Rivolgerà le energie che ha risparmiato contro gli indignati?

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