Quel treno che sbuca nell'autunno dell'esistenza

07.10.2014 11:25

"Un leggero vento che agita, piano, le chiome delle palme. E la luce poi, che radiosa luce su Trinità dei Monti, in questa fine di settembre. Sembra che qualcuno abbia dato una festa" (M. Corradi, Avvenire, 7 ottobre 2014)

Roma, fine di settembre. Le gelaterie con le vasche colme di sorbetti colar pastello, tutti in fila, e la pallina sul cono che subito comincia a squagliarsi, nella giornata calda. I piccioni che, nell'attimo in cui non passa nessuno, volano a abbeverarsi alle fontane. Un leggero vento che agita, piano, le chiome delle palme. E la luce poi, che radiosa luce su Trinità dei Monti, in questa fine di settembre. Sembra che qualcuno abbia dato una festa. Nella folla sbracciata dei turisti si indovina qualche milanese: la borsa dell'ufficio, la cravatta che stringe e l'aria stordita da questa rapinosa fine estate romana.
Noi siamo di quelli che la sera tornano a Milano. Il Frecciarossa ci aspetta sul binario, col suo enigmatico muso da serpente. Esce adagio da Termini, si lascia dietro la città, e finalmente corre. 250 all'ora, 300. Troppo veloce per distinguere le case. Tra i viaggiatori, in molti ci si assopisce. Cominciano le gallerie. Il nero dei tunnel e le nostre facce nei finestrini, specchiate. Firenze. Gallerie e gallerie ancora - immagini il treno che illumina con i suoi occhi gialli le tenebre sotto alle montagne. Finché, ed è quasi finito l'Appennino, il Frecciarossa sbuca da una galleria e di colpo, quanto prima fuori era nero, ora oltre al finestrino è tutto bianco. Una bolla di nebbia densa e improvvisa, sorta come un fantasma dalla terra umida e già più fredda dei primi lembi della pianura, in questa fine di settembre. Molti accanto a me dormono. Io guardo, zitta e affascinata. Neanche due ore fa, il sole glorioso del Mediterraneo. E adesso più né case né campi, né uomini. Invece l'allargarsi di una improvvisa sonnolenza, come se quel vapore bianco imperativamente ordinasse: dormi, riposa anche tu, in questo tempo del niente.
Questo treno corre troppo per cullare, come facevano i treni di una volta. I miei occhi restano aperti sul nero di una galleria ancora. E sole invece adesso, sulla grande pianura. Benché sotto a un cielo velato. È un altro sole, già nordico, in un autunno che si annuncia peraltro gentile. Un altro mondo: i margini delle ombre più vaghe e il buio umido che ci abbraccia, nel tramonto che avanza.
Saluti sul marciapiede della Centrale il treno dal muso di serpente che, impassibile nel suo acciaio, fa finta di niente. Quella bolla bianca di nebbia ti è rimasta invischiata addosso come un velo. E te la senti attorno, e non c'è modo di scrollarla dalle spalle. Un treno per l'autunno, hai preso in verità in questo pomeriggio di settembre; e hai il dubbio che non sia ottobre ma il tuo autunno, che ti si allarga intorno inesorabilmente.

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