Come ho ritrovato l'identità che mi hanno rubato su twitter

02.09.2014 12:48

Nell'era della comunicazione veloce, la disavventura che Marcello Sorgi racconta su La Stampa del 1° settembre 2014 sollecita una riflessione sulle opportunità e i rischi di una "rete" in cui sono talvolta possibili veri e propri furti di identità. Con tutto ciò che ne può conseguire.

P er qualche settimana, complice una colpevole distrazione del sottoscritto, un ignoto hacker è entrato nell’account Twitter @MarcelloSorgi, sostituendosi al titolare. Involontariamente ho così provato l’esperienza della sostituzione di identità, nel senso che tutto continuava a funzionare come succede abitualmente a un giornalista abituato a «cinguettare», solo che il giornalista che si presentava a mio nome non ero io. Questa situazione pirandelliana – una punizione aggiuntiva per un giornalista siciliano, cresciuto nel mito del grande scrittore e drammaturgo – s’è trascinata fino all’altro ieri, quando un giovane hacker, a cui avevo confidato la spiacevole situazione in cui mi trovavo, è riuscito a reintrodurmi nel recinto di Twitter: «Sono tornato anche perché un fake si è sostituito a me», è stato il mio primo messaggio. Qualcuno mi avrà preso per pazzo. Eppure non è così. Il mio calvario è cominciato in primavera, non ricordo neppure il giorno esatto, tale è stato il senso di smarrimento, quando ho dimenticato in aereo il mio iPad e non l’ho più ritrovato. Mi era capitato altre volte di perdere nei meandri del computer un articolo, o addirittura un intero capitolo di un libro. Ma di perdere tutto ciò che la memoria elettronica custodiva, compreso qualche innocente appunto privato, questo no. Non mi era mai successo: e se ripenso al momento in cui ho dovuto rendermene conto, provo ancora un brivido. L’esperto commesso del negozio in cui avevo comperato l’iPad mi ha interrogato a lungo per capire che tipo di utente fossi. Mi ha compatito quando ho dovuto confessargli che non avevo scaricato l’applicazione che consente di localizzare lo strumento ovunque si trovi, e neppure il codice numerico di sicurezza, o il collegamento con il computer da tavolo. «Ma almeno, la nuvola, ce l’avevi?», ha concluso sfiduciato. «Credo di sì», balbettavo incerto, con evidente senso di vergogna. La via d’uscita trovata rapidamente era l’acquisto di un nuovo iPad. Sul quale, grazie a iCloud, appunto la nuvola, gran parte dei miei files, forse addirittura la totalità, si sarebbero potuti recuperare. Detto fatto, ho atteso trepidante che il nuovo apparecchio fosse scartato, collegato, attivato. E con indicibile sollievo ho assistito al ritorno in vita dei miei testi e delle funzioni di cui mi ero servito finora. Tutte, praticamente tutte, tranne Twitter, che si ostinava a restare assente, irraggiungibile. Lì per lì ho deciso di non preoccuparmi. In fondo sono sempre stato un twittarolo svogliato, specialmente d’estate. Così ho pensato di poterne fare a meno. Errore grave, presunzione imperdonabile, di cui non riuscirò mai a pentirmi abbastanza. Con cadenza regolare, giornaliera e anche pluriquotidiana, Twitter mi contattava sulla mail, interrogandomi sui motivi dell’abbandono e spronandomi a tornare. «Bastano due minuti del tuo tempo», ripetevano i messaggi: tanto che una mattina decisi di provarci. Mi veniva ovviamente richiesto di digitare il mio nome e la mia password. Ma appena eseguito l’ordine, la reazione era inequivocabile: username o password sbagliati. «Hai dimenticato la password?», insisteva il messaggio. E alla mia risposta affermativa (pensavo di ricordarla perfettamente, ma non si può mai dire), mi comunicava la stessa password appena scandita. Riscriverla era inutile, si rientrava nello stesso giro. Tal che, dopo una decina di tentativi, decidevo di rinunciarci. Nelle prime settimane la mia vita proseguiva tranquillamente. Amici e colleghi più esperti di me mi chiamavano, o mi scrivevano, per avvertirmi che mi sarei pentito di aver abbandonato un discreto gruppetto di «followers». Ma io, neghittosamente, rinviavo. Quale non è stata la mia sorpresa, allo scadere della quinta settimana, nel ricevere una serie di mail, saranno state una decina, del genere «Tizio ha cominciato a seguirti su Twitter». Ma se io sono uscito, e non twitto da settimane, mi chiedevo, com’è possibile che questi dicano di seguirmi? Mi rispondevo che siccome di tanto in tanto mi succede di partecipare a un programma tv, e in quei casi, ai tempi in cui twittavo, il numero dei miei corrispondenti aumentava, probabilmente questo continuava ad accadere anche a prescindere dal fatto che continuassi o no a stare su Twitter. In ogni caso non potevo darmi una risposta certa, essendo aperta a tutti, tranne che a me, la porta dell’account a mio nome. A Ferragosto, in occasione degli auguri che si è soliti scambiarsi a metà estate, ho ricevuto un Sms di una collega, Laura Anello. Tra l’altro mi informava di seguirmi regolarmente su Twitter. Mi è sembrato gentile avvertirla che in realtà non stava seguendo me, ma un falso @MarcelloSorgi. E anzi, se poteva dirmi di cosa scrivesse, mi avrebbe fatto piacere. In questo modo ho scoperto che il «fake» continuava a occuparsi di politica, materia a cui solitamente mi dedicavo, nel tentativo evidente di sostituirsi a me in modo verosimile, e, forse, definitivo. A quel punto, qualcosa, un non so che, mi ha spinto a intervenire. Il devoto hacker che nella mattinata di venerdì mi ha restituito l’identità ha dovuto usare un espediente che aggiunge un ulteriore dose di pirandellismo a questa incredibile vicenda. Per consentirmi di rientrare ha dovuto crearmi un nuovo indirizzo di mail (sorgiposta@gmail.com), una nuova password, e, incredibilmente, anche una terza (dopo la mia originale e quella del falso me che se ne era appropriato) identità: su Twitter non sono più @MarcelloSorgi, che sopravvive, ancorché abbandonato dall’usurpatore, ma @Sorgiscrive. Confesso che preferivo la precedente, ma ogni tentativo di riaverla o di proporne una simile (tipo @MSorgi) non è stato accettato. I miei followers li ho perduti tutti, e mi dispiace molto. Ma alla fine sono soddisfatto di aver messo in fuga «l’altro me» che mi aveva preso il posto, e galleggia sulla rete, ormai svuotato di ogni senso e di anelito vitale. Se qualcuno fosse in grado di cancellarlo per sempre, gli sarei eternamente grato, e potrei dimenticare questo incubo.

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Sorgi_01092014.pdf310 K