Alcide De Gasperi, il presidente del nuovo inizio

18.08.2014 00:19

Valerio Castronovo (Il Sole 24 ore, 17 agosto 2014) traccia un profilo di Alcide De Gasperi nel sessantesimo anniversario della scomparsa. Lo statista trentino, artefice della rinascita italiana nel secondo dopoguerra, ci viene riproposto come straordinario interprete di una politica alta e nobile.

Lo si è definito «il presidente della ricostruzione», Alcide De Gasperi, di cui ricorre, il 19 agosto, il 60º anniversario della scomparsa. Un titolo che lo statista trentino ha acquisito per la sua concreta e sagace opera di governo, durante gli otto anni, dal dicembre 1945 all'agosto 1953, in cui fu ininterrottamente presidente del Consiglio, assecondando l'aspirazione degli italiani a ricominciare, un nuovo inizio, dopo le tragedie della guerra, per risalire dall'abisso in cui erano precipitati e tornare padroni del proprio destino.
Lungo questo complesso e difficile itinerario un'importanza cruciale ebbero gli eventi succedutisi nel corso del 1947 e inaugurati dal viaggio che De Gasperi compì in gennaio negli Stati Uniti. Si era fatto prestare dal segretario della Dc Attilio Piccioni un cappotto, non possedendone uno adeguato per l'incontro con il presidente Truman e altri appuntamenti pubblici di rilievo.
In America egli andò, non già per prendere ordini dalla Casa Bianca di estromettere dal Governo i socialisti e i comunisti, allora legati da un patto d'unità d'azione (come essi avrebbero poi sostenuto), bensì per negoziare un prestito dell'Exibanca di 100 milioni di dollari, destinato esclusivamente al riassetto delle principali imprese italiane. A livello politico, i giochi erano ancora aperti dopo l'avvento della Repubblica e nel mezzo dei lavori per la nuova Carta Costituzionale. Non era invece più sostenibile la situazione economica, con le fabbriche ancora semi paralizzate dalla scarsità di energia elettrica, combustibili e materie prime; i trasporti stradali e ferroviari danneggiati in più punti; un rincaro dei generi alimentari di 20 volte rispetto all'anteguerra; le finanze pubbliche dissestate; un reddito nazionale talmente striminzitosi da risultare, in termini reali, pari a quello del primo quindicennio del secolo.
Perciò era stato solo una boccata d'ossigeno il prestito ottenuto da De Gasperi a Washington; il resto avrebbe dovuto provvedere il Governo: a bloccare un'inflazione a due cifre e ad assicurare un tetto a moltissime famiglie senza più un'abitazione nonché un sussidio a milioni di persone, giovani e reduci, senza un'occupazione. Di fatto, fu questo lo scoglio su cui si infranse l'intesa nel governo tripartito fra democristiani, socialisti e comunisti. Occorreva porre mano, non già a un macchinoso "cambio della moneta", ma a un programma drastico di risanamento finanziario e di rigida austerità per scongiurare la bancarotta, che, seppur adombrato in un piano del ministro socialista, Rodolfo Morandi, le sinistre non se la sentivano di attuare assumendone le relative responsabilità presso i propri militanti e quadri sindacali.
Era quindi implicito che fosse la Dc a doversene far carico: un compito, questo, che De Gasperi finì per accollarsi invocando lo stato di assoluta emergenza in cui si trovava il Paese, ma chiarendo nel contempo che, per venirne a capo, non restava che affidarsi (e fu per lui una decisione sofferta) a un "quarto partito", quello impersonato dal governatore della Banca d'Italia Luigi Einaudi e dal presidente della Confindustria Angelo Costa. Di qui la formazione, alla fine di maggio, di un nuovo governo senza più socialisti e comunisti, rimasti alla finestra per rientrarvi, non appena altri avessero tolto loro le castagne dal fuoco (ciò che Stalin avrebbe successivamente rimproverato a Togliatti).
Fu così che De Gasperi si avvalse della preziosa collaborazione di Einaudi, quale ministro del Bilancio, affiancato da Giuseppe Pella alle Finanze e Gustavo Del Vecchio al Tesoro, e confidò nell'appoggio personale di Costa (con cui correvano rapporti di stima reciproca), indispensabile per disinnescare i contrasti con il mondo imprenditoriale che sarebbero insorti in previsione di una severa stretta creditizia e di un aumento dell'imposta sui capitali e sui dividendi azionari. In pratica, la dura manovra finanziaria allora realizzata (col controllo dei prezzi e l'abolizione di quelli politici, le efficaci misure contro la speculazione affaristica e il mercato nero, il taglio della spesa pubblica corrente e lo sblocco dei licenziamenti) consentì di alleviare il pesante fardello del disavanzo statale e di arrestare la spirale inflattiva, creando così le condizioni per l'ammissione dell'Italia agli accordi di Breton Woods. E ciò valse a consolidare le quotazioni politiche di De Gasperi sia nell'ambito del suo partito, inizialmente per lo più refrattario alla terapia einaudiana, sia quale leader di una nuova coalizione centrista con i repubblicani e con i socialdemocratici di Saragat, staccatosi frattanto da Nenni.
Ma il capolavoro politico di De Gasperi, propiziato dalla lucida strategia di Einaudi, fu di aver capito quale ruolo fondamentale avrebbe assunto la piccola e media borghesia risparmiatrice e a reddito fisso, una volta rassicurata dal salvataggio della lira e portata perciò a costituire un saldo blocco sociale, di intonazione moderata, con l'universo dei coltivatori diretti, degli artigiani e degli esercenti rappresentato in gran parte dalla Dc. Sia pur con robusto sostegno della Chiesa, fu infatti questa la carta vincente dello Scudo crociato contro il Fronte popolare nelle elezioni decisive del 18 aprile 1948.Dopo di allora, per altri cinque anni, De Gasperi tenne con autorevolezza e lungimiranza la barra della politica italiana, avendo per stella polare il binomio fra i principi di una democrazia liberale aperta alle istanze dei ceti popolari e una solida alleanza con i principali paesi dell'Occidente. Da un lato, durante il cosiddetto "terzo tempo sociale" rivendicato dall'ala progressista della Dc il suo governo diede il via, grazie anche agli aiuti del Piano Marshall, a una serie di importanti riforme (da quella agraria a quella tributaria, dall'istituzione della Cassa del Mezzogiorno a quella dell'Eni, dal piano per lo sviluppo dell'edilizia popolare a quello per il potenziamento delle infrastrutture). Dall'altro, assecondando gli orientamenti del ministro degli Esteri, il repubblicano Carlo Sforza e superando certi miraggi per una "terza via" fra Est e Ovest della sinistra del suo partito, portò l'Italia ad aderire nel 1949 al Patto Atlantico e a compiere i primi passi sulla strada dell'Unione europea. Ma non si trattò su entrambi i fronti di un'impresa agevole. Se De Gasperi si trovò ad affrontare non solo l'opposizione recisa delle sinistre ma pure le diffidenze di una parte della Dc nei confronti del sodalizio con gli Stati Uniti, sul versante interno egli dovette tener testa, a ferma difesa della laicità dello Stato, ai tentativi di ingerenza del Vaticano: tanto che, per aver respinto le direttive di Oltre Tevere per un'alleanza della Dc con i neo fascisti del Movimento Sociale nelle elezioni amministrative di Roma del 1952, incorse nell'ostracismo di Pio XII nei suoi confronti.
D'altra parte, le nuove leve dello Scudo Crociato addebitarono innanzitutto a De Gasperi la sconfitta subita alla consultazione politica del giugno 1953, in seguito al mancato scatto (per poche migliaia di voti) della "legge elettorale maggioritaria" che avrebbe dovuto garantire sicure condizioni di stabilità e di governabilità a un sistema politico impegnato nella soluzione di alcuni cronici problemi di ordine strutturale. Ciò che segnò, insieme all'epilogo dell'epoca degasperiana, la parabola declinante e accidentata del centrismo, che si sarebbe prolungata per quasi dieci anni.