Perché siamo il paese dell'incultura scientifica

10.07.2014 10:00

"La cultura è la ricchezza e la complessità del nostro sapere, l’insieme degli strumenti concettuali di cui dispone una comunità per pensare a sé stessa e al mondo. Cultura classica e scientifica sono facce complementari di questo insieme, che si rafforzano l’una con l’altra". Su La Repubblica di mercoledì 9 luglio Carlo Rovelli denuncia la scarsa attenzione riservata alla cultura scientifica in Italia, dove prevale l'idea di una cultura intesa come "culto sterile del proprio passato".

Penso che la scuola italiana sia fra le migliori del mondo. Paradossalmente, penso lo sia soprattutto per chi vuole dedicarsi alla scienza, come ho fatto io. Non per caso giovani italiani brillano in tutti i migliori centri di ricerca del mondo. Hanno qualcosa che altri paesi fanno fatica a offrire: non solo fantasia e creatività, ma soprattutto un’ampia, solida e profonda cultura. Sono convinto che studiare Alceo, Kant e Michelangelo offra a uno scienziato strumenti di pensiero più acuminati che non passare ore a calcolare integrali, come fanno i ragazzi delle scuole d’élite di Parigi. Sapere, conoscenza, intelligenza, formano un vasto complesso dove ogni parte si nutre di ogni altra. La nostra intelligenza del mondo si basa su tutto ciò insieme. Questo insieme è la cultura. Non voglio dire che per fare buona scienza sia strettamente necessario avere tradotto versi di Omero dal greco, o leggere Shakespeare, però penso che aiuti molto. Mi sono trovato spesso a lavorare con colleghi di formazione assai diversa.
Uno dei miei collaboratori (e amici) più stretti ha studiato nei college libertari dove si fuma marijuana e poi nelle top università degli Stati Uniti: non sa chi è Virgilio, ma ha una capacità di pensiero critico che io non ho. Un altro viene dal quell’amalgama di civiltà asiatica antica ed educazione inglese che è la scuola indiana, e ha una sottigliezza di pensiero analitico che io non avrò mai. Ma la capacità di guardare lontano e individuare i problemi chiave è venuta alla nostra collaborazione dalla scuola italiana, dall’ampiezza della sua prospettiva storica e culturale.
Questo la nostra scuola sa offrirlo. Al contrario, è la scienza che manca nella scuola, anzi, manca drammaticamente nella società italiana. L’Italia resta pericolosamente un paese di profonda incultura scientifica, sia confrontato con gli altri paesi europei, dove la scienza è rispettata profondamente, come non lo è da noi, sia forse ancor più confrontato con i paesi emergenti, che vedono nella cultura scientifica la chiave del loro sviluppo. L’Italia è un paese di profonda incultura scientifica nella mancanza di scienza seria a scuola; nell’incapacità di avere discussioni dove si ascoltano con attenzione argomenti e contro-argomenti; nella diffusa ignoranza di scienza delle nostre élite, fin nel nostro parlamento, e peggio ancora nella stucchevole prosopopea di chi si fa vanto di non capire nulla di scienza.
In Italia, quando si dice “cultura” si pensa spesso, ahimè, a musei e opere liriche, quando non ai formaggi col miele delle valli. Cose preziose, per carità, ma non è qui la cultura. La cultura è la ricchezza e la complessità del nostro sapere, l’insieme degli strumenti concettuali di cui dispone una comunità per pensare a sé stessa e al mondo. Cultura classica e scientifica sono facce complementari di questo insieme, che si rafforzano l’una con l’altra.
La cultura del nostro paese è ricca, stratificata, e vivace. Se aziende italiane vendono dappertutto nel mondo, disegnatori italiani guidano lo stile del pianeta, se l’Italia è fra le dieci potenze economiche del mondo, è perché, nonostante la nostra caratteriale auto-disistima, siamo un popolo colto e intelligente. Ma l’incultura scientifica del paese è una nostra debolezza severa. I paesi più ricchi come i paesi emergenti sanno che senza cultura scientifica adeguata un paese oggi diventa rapidamente arretrato. Il nostro paese arretra. Un paese lungimirante come la Cina oggi investe nella fondazione di università una fetta considerevole della sua ricchezza; giovani cinesi sono mandati in giro per il mondo, per raccogliere sapere e riportarlo a casa; nel mio piccolo gruppo di ricerca, a Marsiglia, ce ne sono quattro. Lo stesso stanno facendo i paesi arabi più lungimiranti. La stessa Africa sta costruendo centri di cultura e di educazione avanzata. L’Italia le sue università le sta smantellando. La sfida per il futuro passa attraverso la cultura anche scientifica del paese. In America come in Canada come in Inghilterra le università sembrano alberghi di lusso o ville patrizie, e sono rispettate come templi del sapere; in Italia le migliori università sembrano caserme decrepite.
E pensare che la scienza moderna è stata inventata in Italia… L’Italia è innamorata del suo Rinascimento, come quegli uomini che per tutta la vita continuano a raccontare la loro giovinezza, ma si dimentica spesso del frutto forse più straordinario del maturo Rinascimento italiano: uomo di musica e di lettere, profondo conoscitore e amante dell’antichità classica, di Aristotele e Platone, uomo completo del Rinascimento. Sto parlando di Galileo, l’iniziatore della scienza moderna, primo a capire come interrogare la Natura, primo a trovare una legge matematica che descrive il moto dei corpi sulla Terra, primo a guardare nel cielo cose che nessun umano aveva mai prima potuto immaginare. Il sapere scientifico moderno, che ha cambiato il mondo, ci ha permesso di vivere come viviamo, ci ha dato la ricchezza fiammeggiante della conoscenza di oggi, ha visto nascere una parte importante di sé in Italia, raccontato in una limpida lingua italiana da uno fra i migliori scrittori che abbia avuto il nostro paese, sempre lui: Galileo. Mi piacerebbe che l’Italia fosse orgogliosa di Galileo, non solo di Raffaello.
Mi piacerebbe che l’Italia si allontanasse dall’idea che la cultura sia solo arte antica, o culto sterile del proprio passato; che l’Italia desse alla cultura e alla cultura scientifica in particolare la dignità che deve avere nella formazione di una persona. 

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