Perchè siamo diventati così ignoranti

28.02.2014 12:01

E' un paradosso dei nostri tempi che l'eccesso di notizie possa produrre ignoranza. Le informazioni sono la premessa della cultura, ma incredibilmente il moltiplicarsi degli strumenti e delle forme di trasmissione dei messaggi sembra condurre a un regredire della comunicazione. Affronta il tema Claudio Magris, sul Corriere della Sera del 26 febbraio, lanciando un grido di allarme: un eccesso di informazione sta minacciando la cultura.

Internet, Google, Wikipedia e compagnia bella, si dice, distruggono o quanto meno minacciano la cultura, nonostante l’incredibile quantità di informazione che offrono o forse a causa di tale profluvio di informazioni. È una questione complessa, che va affrontata senza catastrofiche e nostalgiche condanne della nequizia dei tempi e senza passiva e giuliva acquiescenza ad alcun andazzo generale. Non è strano che la cultura possa essere indebolita da un eccesso di informazione che impedisce di selezionare e di riflettere e mette in difficoltà i tempi dell’autentica cultura, che non è cumulo di nozioni bensì capacità di critica e autocritica, passione e distanza. Cultura, diceva Lin Yutang, è amare e odiare con fondamento. È strano invece che a impoverirsi paurosamente sino al ridicolo sia l’informazione, anche la pura e semplice informazione priva di riflessione.
È indubbio che oggi si disponga di strumenti incredibilmente veloci di informazione, come quelli offerti dai motori di ricerca. Questi ultimi sono un grande aiuto in ogni cosa, forniscono fulmineamente notizie e dati che altrimenti potremmo acquisire solo con un lungo, faticoso e incerto lavoro. Come tutti, accade anche a me di ricorrere spesso e utilmente, sia pure con l’aiuto materiale altrui, ai motori di ricerca per le cose di cui scrivo. Quelle informazioni, certo, non sono ancora cultura, ma ne sono la premessa. Ma stranamente oggi è proprio l’informazione a regredire paurosamente, come se, invece di disporre di strumenti così funzionali, vivessimo in un mondo senza comunicazione, senza libri, senza giornali, senza radio e tv, senza internet.
Nel loro libro La cultura si mangia (Guanda) Bruno Arpaia e Pietro Greco citano impressionanti e comici esempi di incredibile ignoranza. Una deputata del Pd della scorsa legislatura, interrogata alla tv su che cosa sia una sinagoga, risponde: «È il luogo in cui le donne musulmane vanno a pregare il loro Dio». Cinquanta, forse anche cento anni fa, anche una persona analfabeta o quasi avrebbe saputo, sia pure rozzamente, che la sinagoga ha a che fare con gli ebrei. Un’altra esponente politica, alla domanda su chi sia Netanyahu risponde «il presidente dell’Iran». Qui il meccanismo è chiaro: avrà aperto una volta un giornale, avrà visto un titolo a grandi lettere tipo «Netanyahu protesta con l’Iran» o cose del genere, e allora nella sua testa i due termini si sono associati, come paglia, fieno, destra, sinistra nelle esercitazioni dei soldati di leva un secolo fa.
Arpaia e Greco simpatizzano col centrosinistra, ma per equità non risparmiano l’ignoranza dovunque la trovino; ovviamente nel loro libro ci sono esempi altrettanto clamorosi che riguardano esponenti di centrodestra. Di recente Umberto Eco, sull’«Espresso», ricordava come nei quiz, trasmessi in tv in prima serata, alcune persone, indicate con nome e cognome, dimostravano di credere che Mussolini fosse ancora vivo alla fine degli anni Ottanta o Novanta. Il guaio forse peggiore è che queste persone non sono fuggite nel deserto a nascondere la vergogna per essere state colte in tale inconcepibile ignoranza; forse saranno state magari lusingate di essere apparse, sia pure con ludibrio, in tv. Ma possono consolarsi, perché sono in buona compagnia in tutto il mondo.
È spesso la classe dirigente o quella che si ritiene tale o destinata a diventarlo, che affolla i banchi riservati agli scolari con le orecchie d’asino. Una giovane donna di famiglia ebraica, i cui bisnonni sono morti in un lager, dimostrava di sapere assai vagamente chi era Hitler. Quando insegnavo al Bard College, un grande college americano dove ha insegnato ed è sepolta Hannah Arendt, su 39 graduate solo uno sapeva chi era stato Tito e nove non sapevano chi era Stalin. È difficile capire come ciò possa succedere, visto che oggi è ancora più facile e rapido sapere chi era Stalin.
Forse oggi c’è un grande squilibrio tra domanda e offerta, soprattutto in campo culturale. Pochissimi vanno in libreria a chiedere un libro per un loro reale interesse, pochi vanno in libreria con delle richieste personalmente motivate. In genere si va per chiedere ciò che viene prepotentemente offerto, e i motori di ricerca presuppongono un’iniziativa del consumatore, presuppongono che sia lui o lei a porre la domanda, anche se rispondono spesso scaricando a loro volta un’offerta gonfiata e dunque talora pure fuorviante. Ma neppure ciò spiega veramente come mai nell’epoca del saper tutto si sappia sempre meno.

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