La scuola del futuro

19.11.2013 15:06
Categoria: Articoli giornale

Enrico Franceschini (La Repubblica - Cultura del 18 novembre) intervista Michael Barber, ex consulente per l'istruzione di Tony Blair, a capo di un progetto editoriale per cambiare l'insegnamento.

Chiedere di più. Si intitola così, Asking more, il libro pubblicato in questi giorni a Londra che si appresta a cambiare la scuola del 21esimo secolo. Lo cura sir Michael Barber, artefice della riforma dell'istruzione di Tony Blair, oggi responsabile del progetto con cui la Pearson, gigante dell'editoria scolastica e accademica mondiale (oltre che proprietaria del Financial Times e dell'Economist), propone una grande riforma globale dell'insegnamento. A chi "chiedere di più"? Alle nuove tecnologie della rivoluzione digitale, a se stessi attraverso un metodo personalizzato di rigorose verifiche, agli altri tramite un apprendimento collaborativo, da lavoro di squadra, risponde Barber, delineando gli orizzonti del passaggio dal tradizionale insegnamento "verticale", insegnante-allievo, a un insegnamento "orizzontale" che coinvolge agenti, fonti e piattaforme differenti.

Sir Barber, lei fu l'architetto della riforma dell'istruzione di Blair, a fine anni '90: quali erano gli obiettivi?
«Migliorare l'alfabetizzazione e risollevare scuole che non sapevano più insegnare. Era un misto di maggior sostegno e maggiore pressione, attraverso ispezioni e controlli più assidui e precisi».

Sebbene non sia trascorsa nemmeno una generazione, ora lei delinea una nuova riforma dell'insegnamento su scala mondiale: perché ne sente il bisogno?
«Perché è una naturale evoluzione di quella prima riforma, una nuova tappa che non riguarda più solo scuole e università britanniche, date le dimensioni della Pearson, ma tutto il pianeta. Significa prestare attenzione non solo a ciò che si insegna, ma al risultato di ciò che si insegna, all'efficacia dell'apprendimento, ai suoi effetti nella vita di chi studia».

E come si misurano efficacia e risultati?
«Non esiste un solo strumento per misurarli. Se devi imparare l'inglese, cerchiamo di verificare che uso concreto ne viene fatto. Se devi apprendere un mestiere, che sia l'ingegnere o il designer, guardiamo alle opportunità che ti offre quello che hai studiato. Tenendo presente che l'istruzione è un prodotto particolare: funziona solo se lo usi in modo appropriato. È come un medicinale: la sua efficacia dipende da come lo applichi, se prendi una pillola tre volte al giorno come prescrive il medico. La scuola può condurti a un certo livello di apprendimento, ma molto dipende dal dialogo che si stabilisce tra insegnanti e studenti, fra studenti e studenti, tra studenti e le innumerevoli piattaforme di apprendimento che vengono offerte oggi dalla rivoluzione digitale».

Dove ci porterà l'e-learning, l'apprendimento digitale?
«La rivoluzione digitale consente di trovare più nozioni, più velocemente. Ma è molto più di questo. Finora se facevamo un test per misurare il grado di alfabetizzazione di una scuola o di uno studente, dovevamo aspettare mesi per conoscerne i risultati. Ora possiamo misurarne i risultati giorno per giorno, quasi ora per ora. Possiamo scoprire subito se uno studente rimane indietro e intervenire in tempo cambiando sistema per dargli l'appoggio di cui ha bisogno».

Al centro di tutto rimane l'insegnante in carne e ossa?
«Sì, ma con finalità nuove. Finora si puntava sul rapporto verticale e subordinato tra insegnante e allievo. Oggi l'insegnante deve creare le circostanze per permettere agli allievi di imparare anche gli uni dagli altri, e da altre fonti, esperienze e piattaforme. L'insegnante del 21esimo secolo deve essere una guida, l'attivatore di un processo di apprendimento orizzontale».

E lo studente del 21esimo secolo cosa deve imparare?
«La conoscenza, per imparare non solo "cosa", ma pure "come", che si tratti di letteratura, matematica, storia, filosofia, scienze, ovvero imparare a come usare quello che ha studiato. Poi deve sviluppare le sue capacità intrapersonali, cioè la deduzione, la logica, la creatività, ma anche a come usarle rapidamente e sotto pressione. Quindi deve sviluppare le capacità interpersonali, come collaborare con altri, il team work insomma, da applicare nell'ambito della scuola ma poi in futuro anche nella famiglia, nel lavoro e nella società. Infine deve apprendere una quarta capacità, quella che ti porta ad avere un insieme di valori etici, quanto mai necessari in un mondo multietnico, multireligioso, multirazziale».

Sul web si può studiare praticamente gratis, gran parte delle nozioni e dei corsi non sono a pagamento. Ma qualcuno deve pur pagare per produrli. Chi?
«La rivoluzione digitale ci ha portati in una nuova frontiera di cui nessuno conosce i confini definitivi. Il problema di chi paga per l'e-learning è simile a quello di chi paga per l'informazione online, per i siti Internet dei giornali. La pubblicità, le donazioni, un sistema di micro-pagamenti? La mia impressione è che andiamo verso un mondo in cui molti contenuti saranno gratuiti, ma bisognerà pagare per i servizi, cioè per chi ti dà qualcosa in più del contenuto puro. Qualche anno fa, mentre vivevo a Bologna dove mia moglie studiava cinematografia, passammo una sera a discutere dei Fratelli Karamazov con altri studenti. Non ricordavamo il nome dei protagonisti e con Google e Wikipedia li abbiamo trovati in un attimo. Ma per capire Dostoeveskij occorrono strumenti che Google da solo non può dare».

Un altro concetto del suo libro è il lifelong learning: studiare tutta la vita.
«Oggi è molto difficile trovare lavoro, anche se hai i migliori requisiti possibili. Ma fra 10 anni quei requisiti non basteranno più. Recentemente a Londra un tassista mi raccontava che insegna a suo figlio il test di conoscenza delle strade della città, per garantire un posto da tassista anche lui. Gli ho fatto presente che in California si danno già licenze per auto senza pilota: un giorno i tassisti non serviranno più. Noi tutti dobbiamo continuamente apprendere, senza fermarci mai».

Tutto cambia, dunque, e in un certo senso niente cambia: quando nel '97 chiesero a Blair, nella sua prima campagna elettorale, quali sarebbero state le tre priorità del suo governo, rispose con una battuta diventata emblematica: l'istruzione, l'istruzione e l'istruzione.
«Valeva allora per la Gran Bretagna, oggi vale per il mondo globalizzato. I leader politici cominciano a capire ovunque che l'istruzione è la chiave: non solo per risolvere il problema dell'occupazione, ma per avere una società sana, civile, omogenea e democratica. Dalla scuola dipende tutto».

La Repubblica – Cultura del 18 novembre 2013