La nobiltà della politica. Intervista a Giorgio Napolitano

03.10.2013 08:21
Categoria: Articoli giornale

In libreria "La via maestra", un libro-conversazione del Capo dello Stato con Federico Rampini. La Repubblica del 1° ottobre ne anticipa una parte dedicata ai giovani e al futuro

In controtendenza con lo spirito del tempo, lei difende la politica. Il rilancio del lavoro per i giovani attraverso un modello di sviluppo equo che aggredisca le diseguaglianze; le sfide della globalizzazione; la nuova organizzazione della partecipazione democratica su scala europea - tutti questi temi disegnano quello "spazio" dove la politica agisce per disegnare il futuro. Senza questa fiducia nella politica, siamo condannati all'impotenza?

"Tutte le sfide più importanti del momento - superare la crisi economica, creare lavoro, valorizzare il capitale umano - richiedono un impegno straordinario di tutti gli attori sociali ma, insieme, anche una rinnovata consapevolezza del ruolo insostituibile dei poteri pubblici. E questi oggi risentono gravemente del logorarsi della fiducia dei cittadini. La si può e deve ricostruire riformando i canali di partecipazione democratica, i partiti politici, le istituzioni rappresentative. La via d'uscita dalla crisi passa, in realtà, attraverso un ruolo alto e insostituibile della politica, un senso della nobiltà della politica che implica un'effettiva dedizione all'interesse generale. Sono convinto che la politica possa recuperare il suo posto fondamentale - e senza alternative - nella vita del paese e nella coscienza dei cittadini. Può riuscirvi, quanto più saprà esprimere moralità e cultura, arricchendosi di nuove motivazioni ideali".

Nei movimenti antisistema, che si appellano alla società civile contro la classe politica, oggi invece del marxismo c'è una sorta di "ideologia digitale". È un'idea di partecipazione diretta, senza mediazioni e senza deleghe, di una democrazia più autentica. Questa visione è perfino più forte in Italia che negli Stati Uniti, dove Internet è nato. In America i partiti hanno saputo usare le potenzialità delle tecnologie digitali.

"Una cosa è usare la rete per fare politica. Un'altra è negare la democrazia rappresentativa, per contrapporle questa presunta "democrazia diretta". L'America ha altre tradizioni, per esempio l'istituto della democrazia referendaria a livello locale, ivi compresi i referendum propositivi. La rete fornisce accessi preziosi alla politica, inedite possibilità di espressione individuale e di intervento politico, stimoli all'aggregazione, alla manifestazione di consensi e di dissensi. Ma non può reggere una contrapposizione tra rete e forme di organizzazione politica quali storicamente sono da ben più di un secolo, e ovunque nel mondo, i partiti. Non c'è partecipazione realmente democratica, rappresentativa ed efficace per la formazione delle decisioni pubbliche senza il tramite di partiti capaci di rinnovarsi o di movimenti politici organizzati, tutti comunque da vincolare, in Italia, all'imperativo costituzionale del metodo democratico".

I partiti sono percepiti sempre più spesso come macchine di potere che operano per autoperpetuarsi. L'idea nobile della politica era stata particolarmente forte a sinistra. E oggi, a sinistra, i contraccolpi di questo discredito sono micidiali.

"Negli ultimi anni, a domande pressanti di rinnovamento della politica e dei partiti non si sono date soluzioni soddisfacenti. L'insoddisfazione e la protesta verso la politica, i partiti, il Parlamento, sono state con facilità ingigantite da campagne di opinione demolitorie. E paga un prezzo pesante anche la sinistra, che di certo ha commesso errori e conosciuto un complessivo scadimento di sostanza e d'immagine. Comunque, contro la corruzione e il lassismo penetrati nella vita pubblica occorre riscoprire le tante lezioni di passione, di tensione morale e di dedizione verso il paese, che l'Italia ha vissuto e vive, il valore irrinunciabile della politica come responsabilità cui non ci si può sottrarre. E, nello stesso tempo, va affrontato il fenomeno del grave impoverimento culturale dei partiti politici, e quindi della loro funzione formativa".

Quale messaggio affiderebbe a un giovane italiano di vent'anni per convincerlo oggi che, attraverso la strada dell'impegno politico, lei o lui possono davvero cambiare qualcosa, segnare i destini del paese, e anche di un insieme più vasto come l'Europa?

"Il messaggio che va lanciato, senza complessi, senza temere di non risultare credibili o di apparire ingenui, è questo: se nel mondo tradizionalmente islamico scoprono la strada dell'impegno politico, del coraggio e della speranza grandi masse di giovani e di donne, può un italiano di vent'anni cadere nella sfiducia e nell'isolamento, rinunciare - diciamo - alla scommessa di far politica per spingere al cambiamento, per "segnare" - come lei dice - "i destini del paese e dell'Europa"? Ma il messaggio è fatto anche di un appello alla concretezza e al realismo. Bisogna condividere obiettivi praticabili, e perseguirli con senso della misura e con pazienza. Altrimenti si produce solo agitazione inconcludente, protesta senza sbocco: fiammate cui seguono riflusso, frustrazione e senso d'impotenza, e difficoltà grave a "ripartire" (è l'esperienza che si sta vivendo dopo certe "primavere arabe")".

Ripensando al suo primo ingresso in Parlamento all'età di 28 anni, e mettendosi nei panni dei più giovani deputati di oggi, quale consiglio darebbe loro per mantenere la "dedizione all'interesse generale, la motivazione ideale, la moralità"? Tanti cominciano a far politica da giovani perché mossi da vere passioni e ideali sinceri, poi li perdono per strada... La lotta alla corruzione è solo questione di far rispettare le leggi, o richiede qualcos'altro?

"La lotta alla corruzione è un versante fondamentale dell'impegno a ricostruire la credibilità e l'autorità della politica, ma decisiva è in pari tempo una nuova fecondità progettuale, la capacità, che va ritrovata, di produrre visioni, progetti, proposte. E infine, la motivazione ideale, la moralità, la dedizione all'interesse generale - se un giovane (qual ero io entrando a 28 anni in Parlamento) l'ha scoperta e la nutre e coltiva in sé stesso - egli (lui o lei) non la perde per strada solo perché deve fare i conti con la realtà dei rapporti di forza politici, con l'esigenza delle intese, delle mediazioni, dei compromessi. La ricerca della "purezza", il timore e il rifiuto delle "contaminazioni" non portano da nessuna parte, sconfinano nel velleitarismo o, peggio ancora, concorrono a far precipitare un paese come il nostro verso rischi e fenomeni irreparabili di dissoluzione. È qualcosa che l'Italia ha conosciuto storicamente nel Novecento: tutto è diverso rispetto al passato, certo, specialmente al primo dopoguerra sfociato tragicamente nel fascismo. Sì, tutto è diverso, lo sappiamo, ma la sinistra - e a essa in particolare mi rivolgo, perché a essa ho dedicato la mia vita per cinquant'anni - non dimentichi una lezione terribile. Mi lasci concludere con queste parole scritte da Antonio Gramsci (Contro il pessimismo) nel marzo 1924: "Fummo - bisogna dirlo - travolti dagli avvenimenti; fummo, senza volerlo, un aspetto della dissoluzione generale della società italiana, diventata un crogiolo incandescente, dove tutte le tradizioni, tutte le formazioni storiche, tutte le idee prevalenti si fondevano qualche volta senza residuo". Non discostiamoci mai da quei pilastri di partecipazione costruttiva, responsabile, realistica allo svolgimento e al rinnovamento della vita democratica, su cui ha poggiato l'esperienza della sinistra nell'Italia repubblicana e su cui poggia, nello spirito della Costituzione, la sua legittimazione a governare".

La Repubblica, 1° ottobre 2013