Il futuro ha un cuore antico

17.09.2013 11:34
Categoria: Articoli giornale

Dal settimanale culturale di Conquiste del Lavoro, "Via Po Cultura", una riflessione di Marco Maugeri sul rincorrersi, come in un gioco, tra il passato e un futuro che ne ripropone molto spesso i tratti

Borges ha per lo più riscritto. Sciascia sosteneva che tutti i libri potevano essere riscritti a eccezione del Candido di Voltaire. Che ovviamente riscrisse. E non c’è dubbio che le colossali visioni del rinascimento altro non furono che una magnifica riscrittura del passato. Uomini che guardano che scrivono l’età nuova strizzando gli occhi fra remote figure auguste. Savinio chiamava la riscrittura manierismo. Quando il mito butta in farsa fa la maniera. Lo fa Luciano con Omero, Tasso con chiunque. Ariosto sconciò nobili cavalieri in cortigiani isterici e bizzosi. Tasso ammucchiò maghi, saraceni. Temette tutto e più volte denunciò se stesso all’Inquisizione.

La ciaccona ripete le sue cadenze da quasi seicento anni, e sempre bisogna dire con una soddisfacente fortuna. Poi che si tratti di Palchebel, o di altri, non cambia molto. Siamo ormai al terzo ciclo di Batman nell’arco di neanche 22 anni, e la Warner ne minaccia già il quarto. Si grida in questi casi alla mancanza di invenzione, l’incapacità di proporre nuovi miti. Per ragioni non dissimili in storiografia qualcuno ha menzionato la “fine della storia”. Ma Noè era già Decaulione, e Pinocchio il mago pasticcione di Apuleio. Asini qui. Asini lì.

Il futuro è per definizione un’astrazione. Alberti gioca con Vitruvio, Boileau con Aristotele. I preraffaelliti si misero in testa, in pieno diciannovesimo secolo, di dipingere alla maniera di Raffaello. E visto che c’erano di scrivere come il Dante della Vita Nova. Dipinsero Beatrici ovunque. In quadri leggiadri Beatrici marciano fra Ponte vecchio, spiate da Danti tremolanti e gonfi d’amore. Il loro fondatore era Dante – manco a dirlo – Gabriele Rossetti. Sposò una donna fiera dai capelli rossi e il colorito latteo. La dipinse ovunque e comunque. Leggiadra, guerriera, con l’armatura e disadorna. Ne amava però un’altra che gli amici chiamavano “l’elefante”, tozza e popputa. Fra il paradiso e l’inferno, fra il grazioso e l’informe, Rossetti si giostrava come poteva. Accadde però che la prima, forse stanca dei tradimenti, forse sfinita per un aborto, si tolse la vita. Rossetti allora molto se ne dolse, specialmente perché la notte in cui la sua musa fece tutto, lui se ne stava sotto la proboscide del suo pachiderma preferito. Stropicciò un intero quaderno, lo annaffiò di lacrime, e lo seppellì con la moglie. Che si disinteressasse completamente del genere umano è scontato.

Certo vero è che qualcosa potremmo tirarla fuori. Hulk, Godzilla erano figli della paura nucleare. Batman, Spiderman non avrebbero senso senza la metropoli. Sbucano fra vicoli, sopra tombini che schiumano gas e melma. Sono dei metropolitani, mollaccioni di città. Non c’è una sola missione in aperta campagna. Chessò al mare. Ci sarà pure il male nei litorali. Peter Parker non tirerebbe mai una caviglia fuori dalle mascelle di uno squalo. Piuttosto uno scienziato mezzo uomo e mezzo squalo minaccerebbe la città lanciando mascelle radioattive, il tutto all’unico scopo di sequestrare la fidanzata dell’uomo ragno.

Se Ercole Strozzi nelle prose del Bembo pretende il ritorno al latino, si vede rinfacciata la nuova strada di Dante in poesia - a eccezione della Commedia - e Boccacciò in prosa. C’erano anche fra i romani i volgari si difende lo Strozzi, ma rimanevano ai margini. I cyborg di Dick sono spariti da un pezzo, ce n’era uno anche nei cartoni. Aveva una tutina bianca. Il nemico accarezzava un’anatra di latta che in qualche modo albergava il cuore della mamma. Ed è noto che Bruce Lee compare in un film che non finì. Fece in tempo a girare alcune scene fondamentali. In una fa a calci con la star dei Lakers, Kareem Abdul Jabar. Jabar gli stampa una pedata che ricopre l’intero davanti. Bruce Lee ha la stessa tutina che non a caso indosserà Uma Thurman in Kill Bill, e che Saviano racconta in Gomorra indossava una nota donna camorrista: gialla aderente con delle lunghe bande scure sui fianchi.

Nei giochi on line nella piena disposizione di milioni di bambini ci sono interi giochi dedicati al futuro. Nella maggior parte di questi eroi filiformi saltellano fra monti e campagne supportati ogni tanto dalla casuale e salvifica presenza di macchine e teleferiche che hanno tutta l’aria dei rottami. Ci sono città dove sono già partiti gli orti condominiali. I condomini si danno i turni nella coltivazione del giardino. Dove i bambini mimavano terrificanti battaglie spaziali scimmiottando un mondo privato dell’ossigeno, bambini diventati vecchi scimmiottano il mito dell’agricoltura all’ombra di monotoni condomini. Melanzane, pomodori, zucchine, rape rosse: il futuro. Le rape rosse!

Nel frattempo sono nuovamente spariti i western. Torneranno. Eppure ce n’era uno – sono adesso – quarant’anni fa. C’era Terence Hill che tormenta Peter Fonda e lo costringe a sparare contro tutto il mucchio selvaggio. Morricone storpia con una fisarmonica le walkirie di Wagner. Poi il fan fa finta di uccidere il suo mito e ne prende il posto. Il film si chiama Il mio nome è nessuno perché il personaggio di Terence Hill è furbo come il figlio di Laerte. Il mito si rifà una vita come cuoco o mozzo di navi, il suo fan gira alla conquista della popolarità temendo il colpo di pistola che potrebbe raggiungerlo in qualunque momento. “Quando vai dal barbiere, guarda sempre la sua faccia” lo ammonisce il maestro. Il film si conclude con Terence Hill che mima l’urto della pistola appuntando indice e medio nella fessura del sedere dell’uomo che gli fa la barba.

In un noto reportage scritto al ritorno dal viaggio in Russia Carlo Levi scrisse “il futuro ha un cuore antico”. Che non a caso era il titolo del libro. Parlava della Russia, ovviamente, il disincanto di trovare il futuro un po’ più sclerotico di quello che si era figurato. Ma non aveva detto il poeta, “nel principio è la mia fine”?

Marco Maugeri - Conquiste del Lavoro, "Via Po Cultura", 14 settembre 2013