Obama: "Così è cambiata la nostra America"

30.08.2013 08:43
Categoria: Articoli giornale

Barack Obama commemora i 50 anni dal discorso di Martin Luther King sull'uguaglianza, i diritti, la libertà. La traduzione, di Anna Bissanti, è pubblicata su La Repubblica del 29 agosto.

Cinquant'anni fa gli americani vennero in questo venerabile luogo per ribadire una promessa: tutti gli uomini sono stati creati uguali, sono stati dotati dal loro creatore di alcuni diritti inalienabili, tra i quali ci sono la vita, la libertà e la ricerca della felicità.

E poi, in una afosa giornata estiva, si ritrovarono qui, nella capitale della nostra nazione, all'ombra del grande emancipatore, per testimoniare l'ingiustizia, per chiedere al loro governo di raddrizzare e di svegliare la coscienza da tempo dormiente dell'America.

Giustamente ricordiamo l'entusiasmante oratoria di King di quel giorno, il modo col quale egli diede una voce potente alle tacite speranze di milioni di persone, il modo col quale offrì un cammino di salvezza per oppressi e oppressori nello stesso modo. Le sue parole sono entrate nella storia, con forza e lungimiranza che non hanno uguali nella nostra epoca. Ma faremmo bene a ricordare che quel giorno appartenne anche alla gente comune i cui nomi non sono mai comparsi nei testi di storia e non sono mai stati pronunciati in televisione.

Molti avevano frequentato scuole loro riservate per motivi di razza, si erano seduti a mangiare in locali a loro riservati per motivi di razza e avevano vissuto in cittadine nelle quali non era loro consentito votare. C'erano coppie di innamorati che non potevano sposarsi, soldati che all'estero si erano battuti per libertà a loro negate in patria. Avevano tutti i motivi per darsi alla violenza o rassegnarsi a un amaro destino. Invece scelsero una strada diversa. Di fronte all'odio, pregarono per i loro aguzzini. Di fronte alla violenza, si alzarono in piedi e si sedettero con la forza morale della non violenza. Quello era lo spirito che li aveva condotti qui quel giorno. E dato che continuarono a marciare, l'America cambiò. Poiché marciarono, fu approvata la legge sui diritti civili. Poiché marciarono, fu firmata la legge per il diritto di voto. Poiché marciarono, l'America divenne più libera e più giusta. L'America cambiò, per voi e per me.

Ma noi disonoreremmo quegli eroi suggerendo che l'opera di questa nazione è in qualche modo completa. L'arco dell'universo morale potrà piegare verso la giustizia, ma non si piega da solo. Per garantire ciò che questo paese ha raggiunto è indispensabile esercitare una vigilanza costante, non la compiacenza.

Per certi aspetti, tuttavia, aver garantito i diritti civili può aver offuscato un secondo obiettivo di quella marcia. Quegli uomini e quelle donne volevano posti di lavoro, ma anche giustizia. Volevano non soltanto che l'oppressione finisse, ma anche avere opportunità economiche.

Sì, ci sono esempi di successo nell'America di colore, esempi che sarebbero stati inconcepibili mezzo secolo fa. Ma il divario di ricchezza tra le razze non è diminuito, ma si è allargato. Se fossimo onesti con noi stessi ammetteremmo che negli ultimi 50 anni ci sono state volte in cui alcuni di noi, affermando di voler indurre un cambiamento, hanno perduto la strada.

Le legittime rimostranze contro la brutalità della polizia si trasformarono in scuse per giustificare il comportamento criminale. E quello che un tempo era stato un invito alle pari opportunità, troppo spesso fu dipinta come un mero desiderio di ricevere aiuto del governo, come se la povertà fosse una scusa per non educare i nostri figli. Per tutto ciò i progressi si sono fermati. Ed ecco che la speranza è stata deviata. Ecco in che modo il nostro paese è rimasto diviso.

Ma la buona notizia è che, proprio come era vero nel 1963, adesso possiamo scegliere. Possiamo continuare lungo la strada che percorriamo al momento, lungo la quale gli ingranaggi di questa grande democrazia si bloccano e i nostri figli accettano una vita con aspettative inferiori, nella quale la politica è una partita nella quale non c'è nessun vincitore, nella quale pochi prosperano mentre famiglie di ogni razza stentano a tirare avanti e a dividersi una torta economica sempre più piccola. Questa è una strada. Altrimenti possiamo avere il coraggio di cambiare.

La marcia su Washington ci insegna che non siamo intrappolati dagli errori della storia, ma siamo padroni del nostro destino. Ma ci insegna anche che la promessa di questa nazione sarà mantenuta soltanto se collaboreremo. Dobbiamo riattizzare le ceneri dell'empatia e dell'amore per il prossimo, quella coalizione delle coscienze che trovò espressione proprio qui, in questo posto, 50 anni fa.

E io credo che quello spirito sia ancora qui. Che quella forza sia dentro ciascuno di noi. America, io so che la strada sarà lunga, ma so che possiamo percorrerla e arrivare in fondo. Sì, inciamperemo, ma so che ci rialzeremo. È così che nasce un movimento. È così che la storia prende un verso preciso. È così che quando uno è debole di cuore, qualcun altro lo porta e lo sostiene dicendogli: "Forza, stiamo marciando".

E c'è un motivo per il quale così tanti di coloro che marciarono allora e nei giorni a venire erano giovani. Osarono sognare e immaginare qualcosa di meglio. E io sono convinto che quella immaginazione esiste anche in questa generazione.

(da La Repubblica del 29 agosto 2013 - Trad. Anna Bissanti)