Da Troia a Bagdad, l'eterna illusione della guerra lampo

28.08.2013 20:12
Categoria: Articoli giornale

La storia è piena di guerre che avrebbero dovuto essere "lampo" e che sono invece durate molto più a lungo del previsto. Col pensiero rivolto al minacciato intervento contro la Siria, ne parla sul Corriere della Sera del 28 agosto Paolo Rastelli.

Probabilmente i primi a illudersi furono Agamennone & C.: «Attraversiamo l'Egeo, conquistiamo Troia, ci ripigliamo Elena e ce ne torniamo a casa». Devono essersi detti più o meno una cosa del genere. Invece per i greci furono 10 anni passati sotto le mura della città (più altri 10 di vagabondaggi per quelli come Ulisse).

L'idea dell'operazione bellica breve, tutta vantaggi e niente problemi, deve essere antica quanto la guerra. Solo che questi attacchi lampo spesso non riescono oppure, se riescono, non raggiungono quasi mai i risultati che i loro autori si augurano. Ecco perché l'operazione in Siria allo studio di americani, inglesi e francesi, 48-72 ore di lanci di missili Cruise e incursioni mirate per punire il comportamento criminale di Assad, lascia tutt'altro che tranquilli sulla riuscita.

Qualche esempio? Torniamo indietro di quasi 70 anni, al settembre 1944. Gli eserciti alleati stringono la Germania da Est e da Ovest, il nazismo appare sconfitto. Il comandante in capo britannico, Bernard Law Montgomery, concepisce un piano audace per far finire la guerra per Natale: lanciare un tappeto di paracadutisti anglo-americani per prendere i ponti sui fiumi e canali olandesi che separano le sue truppe dalla pianura settentrionale tedesca e lanciare un cuneo corazzato che passando su questi ponti piombi sulla Ruhr, cuore industriale della Germania. Ma il cuneo deve muoversi lungo una sola strada, circondata da polder olandesi allagati: i tedeschi la bloccano, i giorni passano, i paracadutisti inglesi inchiodati in Olanda ad Arnhem, sull'ultimo ponte (come lo chiamerà Cornelius Ryan nel suo libro), sono costretti al ritiro. Risultato: la guerra finisce nel maggio del 1945, otto mesi dopo.

Facciamo un salto di sei anni, al 1950: la Nord Corea comunista sferra un attacco lampo contro il Sud protetto dagli americani. L'assalto affonda come un coltello caldo nel burro; Seul viene conquistata, nulla sembra potersi opporre ai carri armati T-34 nord coreani. Ma americani, altri soldati delle Nazioni Unite e sud coreani resistono, tengono duro sul perimetro di Pusan, i marines sbarcano a Inchon: la guerra durerà fino al 1953, lasciando tutto com'era (a parte centinaia di migliaia di vittime). Ma ancora oggi gli esperti occidentali di intelligence pensano che se mai la Nord Corea dovesse decidere di attaccare il Sud, tenterebbe un'altra operazione lampo, sperando in miglior fortuna.

E i russi? Anche l'Unione Sovietica è cascata nella trappola dell'operazione chirurgica, invadendo l'Afghanistan nel dicembre del 1979, arrivando a Kabul in pochi giorni e deponendo il presidente Amin (che sarà ucciso). Ma poi la guerra si impantana in massacri, rappresaglie, imboscate e alla fine i mujahiddin, i combattenti islamici, costringono l'Armata Rossa al ritiro nel febbraio 1989. A nulla servì l'enorme superiorità tecnologica dei russi.

Come non è servita quella degli americani che hanno chirurgicamente smantellato a colpi di missili e bombe «intelligenti» l'Afghanistan e l'Iraq dopo l'11 settembre 2001 e le Torri Gemelle ma poi si sono resi conto che distruggere e disarticolare non vuol dire vincere e che le guerre, anche quelle limitate, si vincono mandando gli uomini sul terreno e quindi accettando le inevitabili perdite.

E' andata relativamente meglio in Libia, dove l'azione lampo delle aviazioni occidentali in appoggio ai ribelli anti Gheddafi nell'autunno 2011, insieme all'impiego di piccoli gruppi super addestrati di agenti sul terreno, ha portato alla fine del dittatore, anche se poi il Paese è precipitato nel caos.

E andò benissimo l'operazione chirurgica dell'aviazione israeliana durante l'operazione Babilonia del giugno 1981, quando fu distrutto il reattore nucleare iracheno di Osirak. Ma gli israeliani sono specialisti in questo tipo di operazioni e in quel frangente furono aiutati dal fatto di avere obiettivi chiari e allo stesso tempo limitati.

Cosa che non sembra nel caso della Siria. Il problema, come ha scritto Max Hastings sul Daily Mail, è che riconoscere l'indegnità morale del regime siriano non assicura la riuscita di un'operazione militare i cui fini, al di là delle pur ottime intenzioni umanitarie, sembrano per ora alquanto fumosi.

Paolo Rastelli (Corriere della Sera, 28 agosto 2013)