La fragilità di chi resta solo nei giorni di Ferragosto

20.08.2013 10:15
Categoria: Articoli giornale

"La città fragile agostana svela la crisi delle forme di convivenza, la solitudine, le paure". Milano come laboratorio di una socialità da ricostruire (Aldo Bonomi, Il Sole 24 ore, 18 agosto 2013).

Microcosmo ferragostano. O lo dedichi alla società dello spettacolo e al più serio ragionare di economia delle esperienze che ci fa essere turisti, o al drammatico spettacolo dei corpi dei migranti annegati sulla spiaggia di Catania e ai tanti che le ferie non le fanno e rimangono nei quartieri delle città.

Molti nella solitudine, nell'incertezza della crisi e nella paura che il rimanere soli produce. Mai come nei riti delle feste pare chiaro quanto si sia polarizzata la nostra società tra chi sta dentro i riti e afferra i miti del loisir e chi ne sta fuori. Anche se, oggi, con i voli low cost e la ricerca dell'offerta last minute, tutto il mondo appare afferrabile da tutti. C'era meno polarizzazione ai tempi del fordismo e del distretto del piacere, quando i "padroni" andavano a Milano Marittima e agli operai toccava la pensioncina famigliare a Rimini, Gabicce e Riccione, che non era ancora in concorrenza con Ibiza per lo sballo.

Come per l'economia abbiamo dovuto ragionare del passaggio dal fordismo al postfordismo, così per il turismo siamo a raccontare dei turismi. Rimane sempre aperta la questione di quelli che, dentro la crisi economica, non ce la fanno a turistizzarsi. Loro, e sono tanti, restano a carico di ciò che resta del welfare degli assessori ai servizi sociali dei Comuni e del tentativo, lodevole e spesso triste, dei sindaci di animare città sempre più piene mentre intorno impazza la retorica che le vorrebbe vuote e attraversate da lavori di manutenzione.

Un tempo era più facile. Chiudevano le fabbriche e il soggetto del welfare, il maschio adulto e bianco con l'impiego certo al suo rientro a settembre, tornava al paese o andava al mare e se non poteva c'era sempre la bocciofila. Oggi per capire che resta e non ce la fa, nella mutata composizione sociale, bisogna aggiungere la categoria di genere ed etnia. A proposito di genere e di crisi delle forme di convivenza sarà il caso di ricordare questo agosto anche per i picchi di femminicidio da parte del maschio adulto in crisi di dominio e di ruolo, per l'etnia bastano le immagini di Catania. Le fragilità rimandano a donne e uomini indebitati, flessibili, precari, con pensioni non certamente d'oro e non turistizzabili, depressi, rancorosi e poveri...

Senza più la famiglia in grado di svolgere quel ruolo di primo welfare di prossimità. Chi può, resta con la badante. Per gli altri, si stressano volontariato e servizi comunali in crisi di risorse. Certo c'è la crisi che incide e morde gli indebitati, i precari e le pensioni di sopravvivenza, ma la città fragile agostana svela, nella sua polarità tra chi va e chi resta, la crisi delle forme di convivenza, la solitudine, le paure. Sarà per questo che ha fatto molto discutere, in quest'agosto milanese, la proposta dell'assessore al Welfare Majorino di intervenire su solitudine e paure con "unità mobili sociali" per presidiare il territorio e le reti del metro e la circolare di periferia 90-91, in aiuto delle persone in difficoltà e in preda al sentirsi soli e impauriti.

Subito, con quel riflesso condizionato di cui è preda la politica, il tutto è volato nella bolla calda della sicurezza e del controllo. Da una parte la Lega e il Centro-destra che davano il benvenuto a Majorino tra le ronde padane, dall'altra la Sinistra che puntualizzava come la proposta fosse rivolta alla mobilitazione delle virtù civiche, delle risorse del volontariato, sul modello delle unità di strada già operative a Milano durante l'inverno per aiutare i senza fissa dimora. Condivido l'affermazione dell'assessore quando dice che "al tempo della disperazione dobbiamo lavorare per tenere assieme azione sociale e sicurezza" per contrastare il male della paura e della solitudine.

Ma non è solo una questione di governance del territorio. È il tema della crisi e della dissolvenza della comunità che, come sostiene il filosofo Jean Luc Nancy, al tempo della disperazione diventa inoperosa nella crisi delle forme di convivenza e del capitale sociale dato dalle reti di prossimità che sono saltate. Dal commercio di quartiere alle già evocate bocciofile sino agli oratori e alle parrocchie che fanno quello che possono. Il tutto svela il bisogno, nel ridisegnare il welfare di comunità a risorse scarse, di operatori di comunità che non siano né ronde, né unità mobili orientate allo scopo, in grado, partendo dai quartieri della solitudine, di ricostruire presenza e reti di prossimità.

Una volta erano naturalmente date, oggi da ricostruire giorno per giorno partendo dalla voglia di comunità (Bauman) a costruire la comunità che viene (Agamben). Non è forse questa la missione, in tempi di disperazione, degli assistenti sociali troppo spesso alle prese con funzioni burocratiche per certificare l'accesso ai servizi, o l'obiettivo necessario del fibrillante capitale umano che si "sbatte per la città che viene" nei comitati dei cittadini, nella rete della Caritas mobilitate per il Fondo del Cardinale, nelle tante lodevoli iniziative dell'esercito dei buoni che chiamiamo volontariato?

Milano si avvia verso l'Expo, che sarà anche un evento della società globale nella rete della turistizzazione del mondo. Si parla di almeno 20 milioni di turisti-visitatori e si cerca di costruire la smart city adeguata all'accoglienza. Ci deve esser chiaro che non è data smart city da presentare al mondo senza smart community di chi a Milano resta e non va nel mondo e vive i tempi della crisi e dell'incertezza.

Aldo Bonomi (Il Sole 24 ore, 18 agosto 2013)

 

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