La scuola impreparata

06.09.2018 15:31

Avvio dell'anno scolastico, momento di particolare attenzione da parte dei mezzi di stampa a rischio di luoghi comuni ma anche, a volte, di osservazioni interessanti. Cominciamo a raccoglie i diversi articoli su questo argomento per poterne fare alla fine una analisi comparata. Il primo articolo è questo di Chiara Saraceno apparso su "La Repubblica" del 5 settembre.

Cambiano i governi e i ministri della Pubblica istruzione, ma l'inizio dell'anno scolastico nel nostro Paese si presenta sempre come un fenomeno emergenziale. Come se fosse qualcosa di imprevisto e ingovernabile, cui non si può arrivare davvero preparati, in modo che dal primo giorno le lezioni si svolgano regolarmente, con gli insegnanti al loro posto, il tempo pieno, ove previsto, funzionante, il servizio mensa attivo, le palestre agibili.
Sarebbe legittimo aspettarselo, dopo tre lunghi mesi di vacanza in cui i bambini e i ragazzi sono stati affidati alle risorse, di tempo e finanziarie, delle loro famiglie, anche allargate - quanti nonni "in carica", in città e nei luoghi di vacanza, a luglio e poi di nuovo a fine agosto-primi di settembre - con l'effetto di acuire le disuguaglianze sociali tra loro nei tipi di esperienze che possono fare e che possono contribuire al loro sviluppo cognitivo, estetico, relazionale. In questi tre lunghi mesi, gli insegnanti e il personale della scuola e del ministero hanno legittimamente goduto di meritate vacanze. Ma una parte avrebbe dovuto essere utilizzata per preparare, appunto, il rientro.
Invece, al momento della riapertura delle scuole, qualche cosa manca sempre a ogni livello organizzativo. Tra diritto degli insegnanti di ruolo a chiedere il trasferimento ad altra sede fino all'ultimo minuto, assunzioni ritardate che a loro volta innescano possibili rinunce e richieste di trasferimento, ricorsi vari, appalti per le mense non completati, lavori di adeguamento edilizio non fatti per mancanza di finanziamenti o perché avviati in ritardo e così via, non solo il primo giorno di scuola, anche tutta la prima settimana, se va bene, inizieranno a tempo ridotto. Le classi e gli alunni, di ogni ordine e grado, più sfortunati dovranno aspettare anche diverse settimane prima di avere tutti gli insegnanti.
Questa disorganizzazione e la perdita di tempo che comporta, al di là e nonostante la dedizione dei singoli insegnanti, comunica a ragazzi e genitori l'idea che la scuola non sia una cosa seria, che il tempo scolastico possa venire ridotto a piacimento in base a esigenze (dis)organizzative che nulla hanno a che vedere con i compiti della scuola. È la stessa logica per cui le scuole vengono utilizzate come seggi elettorali rimanendo chiuse per giorni.
Sono sempre le famiglie a doversi adattare alla (dis)organizzazione scolastica, come se il tempo dei genitori (o dei nonni) non valesse nulla e fosse una risorsa sempre a disposizione, senza altri obblighi e vincoli. Ci si aspetta che i genitori prendano un permesso ogni volta che c'è un'assemblea di classe o ricevimento degli insegnanti, o quando devono andare a firmare il diario dei figli: il tutto sempre in orario scolastico. Ma ci si aspetta anche che le famiglie facciano fronte quando l'organizzazione scolastica non funziona come dovrebbe.
È doveroso che i genitori si interessino all'andamento scolastico dei figli e collaborino con gli insegnanti nel progetto educativo. Ma non è giusto che ci si aspetti che facciano fronte anche alle incapacità organizzative della scuola. La maggioranza di bambini e ragazzi oggi ha entrambi i genitori (o l'unico presente) occupati nel mercato del lavoro, quindi non si può dare per scontato che ci sia sempre una madre disponibile a tappare i buchi organizzativi. Ma anche se ci fosse, non sarebbe giusto lo stesso, perché è la scuola che deve far fronte alle proprie responsabilità nel tempo che le spetta. Anche questa assunzione di responsabilità fa parte del rapporto educativo.

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