L'obbligo di affascinare gli studenti

24.08.2017 20:13

"Difficile pensare che un sedicenne o un diciassettenne che non ha più voglia di sedere sui banchi di scuola possa davvero acquisire nozioni importanti per il suo futuro, per il solo fatto che qualcuno lo obbliga a frequentare fino alla maggiore età: al massimo, ridurremo la statistica sulla dispersione, ma non miglioreremo il livello degli apprendimenti". Andrea Gavosto, direttore della Fondazione Agnelli, affronta su La Stampa del 24 agosto 2017 il tema dell'innalzamento a 18 anni dell'obbligo scolastico, riproposto da un recente intervento della ministra Fedeli.

Al meeting di Rimini la ministra Valeria Fedeli ha rilanciato il tema dell’innalzamento dell’obbligo scolastico a 18 anni, pur evitando di fissarne tempi e modi: saggiamente, visto che ormai la legislatura sta volgendo al termine e si tratta di una delle questioni che più hanno diviso l’opinione pubblica lungo tutta la storia repubblicana.

Oggi, l’obbligo di frequentare la scuola termina a 16 anni, mentre, fino a 18, tutti i ragazzi hanno diritto di ricevere un’istruzione anche se lavorano – e i datori di lavoro hanno il conseguente dovere di fornirla. Questa ambigua formulazione è il frutto di un compromesso, raggiunto nel 2007 dal governo Prodi, dopo almeno quattro tentativi falliti di riforma, fra le due anime che da sempre si fronteggiano: quella della sinistra storica, che spinge perché tutti gli studenti siano tenuti a frequentare un istituto scolastico fino alla maggiore età, e quella cattolica, che ritiene che l’obbligo di istruirsi possa essere assolto anche attraverso la formazione professionale o percorsi individuali di scuola – lavoro.

Alla luce di questo percorso travagliato, ha senso riproporre oggi un tema potenzialmente così divisivo? In assoluto, sì. Sappiamo infatti che nei prossimi decenni il lavoro è destinato a cambiare profondamente: la globalizzazione prima, l’automazione poi, stanno facendo scomparire un numero crescente di occupazioni di routine, basate su un modesto livello di competenza: dai lavori amministrativi a quelli manuali ripetitivi, fino ai servizi alle persone. Per contro, con l’intelligenza artificiale si aprono grandi prospettive per chi ha raggiunto saperi avanzati in ambito tecnico e scientifico, per chi riesce a far emergere la propria creatività, per chi è in grado di inserirsi in ampie reti sociali, per chi, infine, possiede l’abilità manuale necessaria a produrre oggetti nuovi. Studiare bene, e più a lungo, diventa quindi un passaggio obbligato per avere la certezza di un lavoro pieno e gratificante. Del resto, studi effettuati in Svezia ci confermano che l’estensione dell’età dell’obbligo porta a migliori condizioni lavorative, anche se in proporzione minore rispetto all’aumento del tempo scuola quotidiano.

Il rischio però è che l’allungamento per decreto dell’obbligo scolastico a diciotto anni possa servire a poco, se non cambia profondamente la didattica nella scuola, come riconosce la stessa ministra. Oggi, il 13,8% dei giovani italiani non ottiene un diploma di scuola superiore, contro una media europea del 10% (e con picchi del 20% in alcune regioni meridionali). Difficile pensare che un sedicenne o un diciassettenne che non ha più voglia di sedere sui banchi di scuola possa davvero acquisire nozioni importanti per il suo futuro, per il solo fatto che qualcuno lo obbliga a frequentare fino alla maggiore età: al massimo, ridurremo la statistica sulla dispersione, ma non miglioreremo il livello degli apprendimenti. Sarebbe molto diverso se la spinta a completare la scuola superiore venisse non dall’alto, ma dal basso, dal riconoscimento degli stessi studenti che, senza una formazione adeguata, ci si condanna alla disoccupazione o a lavori di serie B. Ma per arrivare a questo, occorre che i docenti riescano a cambiare il modo di insegnare, appassionando, orientando e coinvolgendo tutti gli studenti, anche quelli più difficili.

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