Le chat dei genitori un'occasione mancata?

12.10.2016 19:44

Da Milano a Bari, le scuole avvertono: "WhatsApp deve essere uno spazio utile per scambiarsi notizie stando bene attenti a non trasformarlo in tribunale virtuale" (Repubblica, 11 ottobre 2016). Marco Lodoli, insegnante e scrittore giudica le "chat dei genitori" un'occasione mancata per la prevalenza di rabbia e rancori (Repubblica, 12 ottobre 2016)

Milano. L'ultima frontiera è forse stata raggiunta in una scuola dell'hinterland milanese: un interrogatorio collettivo, via chat, sull'epidemia da pidocchi. Una mamma voleva arrivare al nome del bambino "untore": "Perché signori è la terza volta, qui qualcuno ha un chiaro problema d'igiene e voglio sapere chi è". Ma il repertorio è variegato.
C'è chi se ne serve per fare pubblicamente le pulci agli insegnanti poco graditi: "Marco è tornato a casa e mi ha detto che la maestra Elena ha risposto ad almeno due sms durante la lezione di matematica. È successo anche ieri. A voi risulta?". E c'è pure chi si lascia andare a commenti offensivi sui bambini, senza troppa consapevolezza.
E da Nord a Sud, i presidi lanciano l'allarme sui gruppi di classe creati su WhatsApp dai genitori: "Sono diventati un detonatore di problemi che aumentano i conflitti nelle scuole - avvertono - Troppo spesso mamme e papà li usano in maniera offensiva e smodata".
Di solito, nascono subito dopo la prima assemblea di classe, quando un rappresentante, o il più attivo fra i genitori (ce n'è sempre uno), raccoglie i numeri di telefono e dà il via alla chat. Si chiamano "Quelli della seconda F", o "I bambini di quarta D", con piccole variazioni sul tema.
Uno strumento comodo e immediato, che nasce con le migliori intenzioni per scambiarsi inviti alle feste di compleanno, preziose informazioni sui compiti per chi è a casa malato, sul tipo di cartoncino ("Era liscio o ruvido?") chiesto dalla maestra di Educazione all'immagine. Ma anche: "Scusate, mi potete confermare che domani si esce un'ora prima?".
In molte scuole, ogni sezione ha il suo gruppo. "Peccato che rischino di diventare armi a doppio taglio". A parlare è Laura Barbirato, preside del comprensivo Maffucci di Milano, che ha mandato una lettera a tutti i genitori per metterli in guardia sull'uso scorretto di questi gruppi e ha convocato un'assemblea ad hoc sul tema. "In chat - spiega - questioni nate dal nulla possono trasformarsi in problemi enormi. Sono una cassa di risonanza micidiale e pericolosa: in tanti scrivono con leggerezza, senza riflettere sulle conseguenze".
Mario Uboldi, che dirige l'istituto milanese Giovanni Pascoli, racconta di essere stato costretto più volte a placare liti fra i genitori, o feroci polemiche contro insegnanti, dopo che mamme o papà si erano presentanti a scuola con in mano lo screenshot della conversazione collettiva. Alla fine, con una circolare, ha vietato categoricamente ai docenti di prender parte alle discussioni, ricordando la riservatezza cui sono tenuti. "A volte gli insegnanti provano a fare da moderatori – spiega. Ma non va bene: rischia d'innescarsi un meccanismo ancora più pericoloso". Così, alle maestre ha scritto: "La comunicazione corretta fra insegnanti e genitori avviene tramite diario e lo scambio di mail e telefono cellulare può essere accettato solo fra insegnanti e rappresentanti di classe, per informazioni urgenti".
Il problema è avvertito ovunque, non solo a Milano. Nelle scuole del comprensivo dei quartieri Savena e San Donato di Bologna, durante un consiglio d'istituto, una mamma ha raccontato il profondo disagio provato nel leggere, all'interno del proprio gruppo di classe, frasi pesanti nei confronti di un bambino con una disabilità cognitiva. "Alcuni genitori avevano scritto a chiare lettere che le maestre dovevano essere più severe con lui - spiega amareggiata la dirigente, Filomena Massaro - citando il suo handicap".
La stessa cosa è successa nel comprensivo del quartiere Japigia di Bari: "Io cerco di convincere i genitori a non usare affatto questi strumenti - confessa la preside Patrizia Rossini - ma è una battaglia difficilissima".

Tiziana De Giorgio, La Repubblica, 11 ottobre 2016

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Roma. Per molti decenni il conflitto nella scuola è stato tra studenti e insegnanti, tra la giovinezza e l’autorità, tra il desiderio fisiologico di libertà e il richiamo all'ordine, al dovere, alla responsabilità. Pinocchio contro la scuola, la spensieratezza contro la pesantezza. Poi, negli Anni 70, questo contrasto generazionale ha preso una dimensione politica. Gli studenti sentivano di incarnare istanze rivoluzionarie, di essere protagonisti di un mondo nuovo e percepivano gli insegnanti come difensori dell’ordine costituito, della conservazione, di un passato ingiusto e decrepito.
Ma anche questo periodo è ormai finito, oggi viviamo nell’epoca della competizione, della lotta durissima per emergere dalla palude. E così il conflitto ha cambiato gli schieramenti: oggi da una parte della barricata ci sono gli insegnanti e dall’altra i genitori, che pretendono per i loro figlioli trattamenti di riguardo, ottimi voti, medaglie che scintilleranno fuori della scuola, nel mercato del lavoro. I genitori intuiscono che la selezione sarà feroce e dunque cercano in ogni modo di proteggere i loro ragazzi, di far guadagnare loro crediti e punteggi buoni da spendere più avanti.
Chi parte male rischia di finire peggio. Così gli insegnanti vengono pressati, a volte criticati o addirittura contestati. E la piazza della ribellione è WhatsApp, un mezzo che doveva unire, favorire gli scambi, allargare l’informazione e che invece diventa la cassa di risonanza di un risentimento incontrollato. Madri e padri si fomentano reciprocamente, la palla che rotola in breve diventa una valanga, il primo disappunto si trasforma in rancorosa ostilità verso l’insegnante che mette voti troppo bassi o che non sta svolgendo il programma così come i genitori pretendono.
WhatsApp diventa una sorta di portineria fiammeggiante di pettegolezzi e irritazioni. La professoressa severa viene additata come un’isterica, il professore benevolo come un mollusco, un perdigiorno. Sembra che ogni forma di collaborazione tra il corpo docente e le famiglie venga meno. Un tempo l’intesa era garantita, il padre ascoltava in silenzio i giudizi negativi dell’insegnante e a casa caricava di rimproveri il figlio lavativo. Oggi non più, oggi su WhatsApp si intrecciano i commenti crudeli contro l’insegnante che non esalta il valore, spesso assai ben nascosto, quasi invisibile, dello studente. WhatsApp diventa un’arena infuocata, una raccolta di malumori che rasentano l’invettiva.
Capita anche che si creino partiti opposti, scambi di opinioni tra difensori e attaccanti che iniziano garbatamente e in breve si trasformano in litigi pesanti. Il fondamento è sempre lo stesso: la speranza o la pretesa che i propri figli siano spinti verso un futuro radioso. E allora l’insegnante che impone troppi compiti viene visto come un massacratore, quello che ne assegna troppo pochi come un sabotatore.
Lo scontro su WhatsApp non conosce tregua, ogni giorno può venir fuori una nuova questione, una rogna da grattare a sangue. Sembra che i genitori, direi soprattutto quelli che hanno i figli nei migliori licei della città, siano perennemente collegati e non riposino mai. Hanno investito tanto, tutto, sui loro figli e adesso non possono sopportare che un professorucolo di greco o di matematica si metta di traverso per impedire la marcia trionfale verso un avvenire vincente.
Su WhatsApp i genitori si preparano ai ricorsi, qualora i risultati siano pessimi. Si caricano, imbufaliscono. Tutti uniti contro il prof che pretende troppo, che non sta al posto suo, che non si allinea alle richieste delle famiglie. WhatsApp è l’accolita dei rancorosi, la grancassa delle speranze deluse che batte forte contro l’indipendenza degli insegnanti, contro ogni sgradevole verità.

Marco Lodoli, La Repubblica, 12 ottobre 2016