«Sua madre ha detto: pensaci tu. Così ho accolto Sara, nata in bagno»

13.07.2015 15:54

Quella raccontata da Francesco Cevasco (Corriere della Sera, 12 luglio 2015) è una storia dei nostri giorni. Una storia di povertà e di accoglienza. Una storia di integrazione e di avvenimenti che ti cambiano la vita. Una storia di crescita interiore, individuale e collettiva. Una storia soprattutto d’amore

Elena Scaramozzi è una bella signora, ancora giovane e con tre figlie. Da settanta giorni ha un’altra figlia. Non l’ha fatta lei. Ma l’ha portata nella sua casa, nella sua famiglia e nel suo cuore. E adesso Sara, si chiama così la piccola dalla pelle scura, è «una di famiglia».
Questa è una (bella) storia complicata.
Comincia in un giorno di aprile. Elena va al palazzetto dello sport di Finale Ligure a vedere una partita di pallavolo. Incontra una assistente sociale che è lì per caso (i suoi figli non giocano a pallavolo ma a pallacanestro). E… Sliding Doors. Dice l’assistente sociale a Elena: «Devo scappare, c’è una donna che ha partorito in un gabinetto». Tutte e due fanno volontariato nella Casa-Famiglia di Ceriale, un paese sempre da quelle parti, nella Liguria di Ponente. «Vengo anch’io», dice Elena. E vanno. E trovano una donna che ha partorito una bimba troppo piccola. Pesa due chili.
Poco. Ma all’ospedale Santa Corona di Pietra Ligure, sempre da quelle parti, si arriva in tempo per salvare figlia e madre. La madre naturale di Sara incontra Elena.
Elena la aiuta ad affrontare quelle prime ore molto complicate. Le due donne parlano a lungo. La mamma naturale di Sara dice, a un certo punto, a Elena: «Adesso pensaci tu». Elena risponde: «Certo che ci penso io. Domani porto pannolini, vestitini e tutto quello che serve».
Il giorno dopo, o due giorni dopo, la mamma naturale di Sara — come la legge prevede — firmerà per uscire dall’ospedale. E firmerà per lasciare — come la legge prevede — all’ospedale, la sua bambina.
Elena torna all’ospedale. Con i suoi pannolini eccetera. Le dicono: «La mamma di Sara se n’è andata, ha firmato. Ha detto che intanto ci pensi tu». Elena va a vedere la bambina. La nursery è piena di mamme e di babbi che guardano le loro creature.
A Sara non la guarda nessuno. Tranne Elena.
Tutti hanno i fiocchetti rosa o azzurri appiccicati alla culla. Sara niente.
Elena si procura un fiocco rosa. E poi a Elena la piccola Sara gliela fanno prendere in braccio. E che cosa fa Sara? Le sorride come solo i neonati sanno fare. Le parla come solo i neonati sanno parlare. E Elena che parole ascolta da Sara? «È vero che a me ci pensi tu?». «Certo che è vero!», le risponde con il pensiero Elena.
Le due si capiscono. E un giudice intelligente capisce. E concede subito l’affido della piccola Sara a Elena e a suo marito Quirico. Quirico vuol essere lui a prendere in braccio la piccolissima Sara. E a portarla a casa. A casa ci sono tre figlie. Nicole, 14 anni; Ginevra, 10 anni; Victoria, 6 anni. E proprio Victoria, quando vede arrivare Sara, alla madre che le dice: «Sara è nera…» risponde: «Ma lo sai che latte e cioccolato vanno sempre d’accordo…».
Elena è nata a Desenzano, sul lago di Garda. Nord benestante. Gente che ai meridionali li guarda un po’ dall’alto in basso. «E invece i miei suoceri pugliesi hanno dato una lezione di civiltà e di cultura pur essendo persone semplici. Gli ho detto: abbiamo una nuova bambina, ho detto mulatta; e loro: che meraviglia abbiamo un’altra nipotina!».
Elena lavora: gestisce con il marito uno stabilimento balneare a Varigotti e un agriturismo nell’entroterra; Elena ha concordato con le altre tre figlie e il marito il modo per far entrare la piccola Sara nel mondo dei grandi: io le do il biberon la notte, mio marito Quirico la sera e mia figlia grande Nicole il mattino. La Ginevra che ha dieci anni è sempre pronta a intervenire quando serve e la piccola Victoria ha il compito di insegnarle a parlare.
Le dice cose sgrammaticate tipo: «Cosa mi parli, cosa mi parli, cosa mi parli?» e la piccola Sara qualche verso di risposta lo fa.
Oppure Victoria le dice: noi ci chiamiamo Scaramazzi. E la piccola Sara ride. E Victoria mi dice: come si chiama lei, Sara, di cognome? E io le dico, adattando quel nome arabo, tipo Al abab rummad starum rucuc. E Victoria va da Sara e le dice: «Noi ci chiameremo pure Scaramazzi, ma tu con quel nome non hai niente da ridere…».
Dice Elena: «Più integrazione di così…».
A proposito di integrazione, Elena ha voluto, prima di portare Sara a casa testare le sue figlie (il marito Quirico non c’era bisogno perché s’è innamorato di Sara appena l’ha vista).
Domanda di Elena alle figlie: «E se, quando Sara andrà a scuola, se qualcuno le creerà dei problemi perché non è vostra sorella naturale, perché è nera, perché…».
Ma le figlie la interrompono: «Sarà una fortuna perché capiremo chi è nostro amico vero e chi ha fatto finta di esserlo».

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