Studenti contro professori: la convivenza difficile di due mondi

02.04.2015 19:13

Il "ruolo sociale" degli insegnanti italiani sempre più calpestato fino ad assumere i contorni di una semplice questione di sicurezza. E di onore da difendere, nei rari casi in cui il prof non abbassa la testa. Corrado Zunino ci racconta episodi su cui riflettere per i quali "le nostre classi diventano un ring" (Repubblica, 2 aprile 2015)

E così commenta Mariapia Veladiano sullo stessa pagina del quotidiano: "Due mondi (quello degli studenti e quello dei professori, n.d.r.) che non riescono più a convivere". Unico rimedio, far tenuta sui valori della convivenza ed educare tutti gli "attori" a 360 gradi

L'ultima umiliazione a Modena, poche ore fa. Ma questa volta, in classe, il prof reagisce. Istituto professionale cittadino, fucina di bulli minorenni. Lezione tecnica, la scuola non specifica quale. Uno studente inizia il suo show irridente mentre l'insegnante spiega: pernacchie, rumori, applausi. Ha un gruppo intorno, che sghignazza e incita: una claque, ogni mattina replica. Si gasa il ragazzotto: si alza, lascia il banco e allunga un calcio nella schiena del docente. L'insegnante si volta, avvista il secondo colpo e reagisce: mani al collo dell'aggressore. Per allontanarlo. La classe urla, i due si staccano, interviene il preside. Il prof stavolta promette una denuncia.
"Il ruolo sociale degli insegnanti italiani". Lo evoca ogni ministro dell'Istruzione all'insediamento nella stanza nobile di viale di Trastevere. Quel "ruolo sociale" calpestato, oggi, si fa spesso una semplice questione di sicurezza. E di onore da difendere, nei rari casi in cui il prof non abbassa la testa.
Non c'è settimana che la provincia non racconti una storia così. Episodi violenti crescenti in classe, in palestra, al portone. Ragazzini che picchiano in branco vecchi insegnanti, genitori che assalgono professori perché stavano educando i loro figli al vivere in comunità.
Nella vicina Reggio in una classe superiore del polo Makallè è arrivata la polizia a sedare la rissa tra ragazzine. La prof di turno non c'era riuscita: aveva rimediato uno schiaffone ed era finita al pronto soccorso.
Prepotenze prima sceneggiate, poi fatte esplodere nelle aule dei minorenni italiani. Hanno a che fare con la considerazione bassa che il nostro paese in dispersione scolastica cronica porta verso i suoi insegnanti e con l'idea malvagia di rottamare chi è oltre i cinquanta: alligna in molti spiriti giovani.
È un’evidenza per tutti la confessione arresa di un docente di Novara, oggi 64 anni, trentadue di insegnamento, che nel 2008 lasciò il mestiere dopo un’aggressione subita da un sedicenne straniero. Era in terza media dopo due bocciature. «Non potevo tornare in una scuola dove c’era un ragazzo che mi aveva preso a pugni, minacciato di morte davanti a tutti e aveva poi ricevuto una punizione blandissima», ha raccontato l’ex professore Luigi Sergi. «Sono stato umiliato e nessuno mi ha difeso, dopo una vita spesa a formare ragazzi».
Lo scorso 16 ottobre un insegnante di educazione fisica di una media di Acicatena, nel Catanese, è stato picchiato dal padre di un’alunna rimproverata per aver usato il cellulare in palestra. Trentanove anni di professione, l’ultima parte all’Istituto Guglielmino, il prof aveva invitato l’alunna a interrompere la conversazione. La ragazzina ha continuato a parlare con il fidanzato. Di più, ha passato il fidanzato all’insegnante, al telefono: «Se non la smette di importunare la mia ragazza», ha minacciato il giovane, «vengo lì e la massacro». Il docente è corso in vicepresidenza, il vicepreside ha convocato la minorenne e quando sono usciti dalla stanza si sono trovati davanti il padre della studentessa, già denunciato per reati vari: insegnante e vicepreside sono stati travolti da una gragnuola di colpi.
A Castelfiorentino i genitori di un alunno della scuola media Bacci-Ridolfi hanno aggredito la professoressa di matematica per il 5 dato al figlio in pagella.
A Sassari in quindici non si sono vergognati di assaltare un docente universitario perché si era permesso, a passeggio con i figli, di chiedere al branco di ammorbidire l’eloquio. «Avevo suggerito atteggiamenti più rispettosi per il resto della comunità in cui vivono». Diversi punti all’arcata sopraciliare, una spalla lussata.
A Torre Annunziata, media Parini-Rovigliano, un tredicenne ha colpito a schiaffi e pugni l’insegnante di italiano, lei 40 anni, di Terzigno: gli aveva negato di andare al bagno. I colpi sono stati così forti che la docente ha sbattuto la testa contro una porta. Dieci giorni di sospensione e si riparte. «Siamo sotto assedio di giovani allevati come criminali».
Come se le parole non bastassero più. Ci sono professori che, stremati dal trillio in classe, dai videogiochi accesi sotto il banco, hanno preso lo smartphone del discente e l’hanno sfasciato in aula.
A Cagliari accade che il prof rifili un pugno in faccia a un sedicenne figlio di un magistrato, in procinto di lasciare la classe.
All’Istituto tecnico Marconi davanti al Parco di Terramaini, però, gli studenti hanno scioperato: solidarietà al docente aggredito due volte, la prima con una stampella, da un alunno inviperito per la nota sul registro.

Corrado Zunino

                                                                                              * * *

PROVARE. Provare a convivere con ragazzi, certo non la maggioranza, una parte sono, ma in baldanzoso aumento, ragazzi e a volte bambini, che riproducono, con la determinazione in cui sono esperti grazie a lunga esposizione, una litania di comportamenti che sono oggi ammessi nella vita incivile che accettiamo.
Parolacce, minacce, gestacci, non ha il diritto di sequestrarmi il cellulare, ci provi a mandarmi dal preside, lo dico a mio padre. E poi capita che il padre, o la madre, arrivi davvero, con o senza avvocati, furioso, come si permette, la denuncio per abuso di potere. O passa alle vie brevi, un pugno, uno schiaffo. Bel modello per chi impara come diventare grande.
Bene, ma l’insegnante non può e basta. In classe l’insegnante è l’adulto e la tenuta del rapporto, il rimanere al di qua del limite della violenza, è sua. È lui che non deve, mai, rispondere dispetto per dispetto, violenza per violenza. Questo è possibile innanzitutto se non è mai solo.
Se la gestione di quella comunità eterogenea che è la scuola non deve per forza essere un eroico atto individuale di docenti che entrano in aula con uno spaventoso debito di credibilità sociale e devono soprattutto dimostrare di essere insegnanti diversi da come l’immaginario collettivo li disegna. Super docenti in mezzo a un deserto delle responsabilità.
La violenza dei rapporti sociali arriva nella scuola italiana come un fenomeno nuovo per estensione e gravità. È inutile sognare il passato e chissà se era migliore, con le sue diverse forme di violenza psicologica, che sta nelle pagine della letteratura.
La scuola deve tener conto di questa nuova realtà nel progettare e accompagnare la normale professionalità dell’insegnante, che ha bisogno di poter lavorare in gruppo, di poter godere di una supervisione, di imparare a gestire e disinnescare la crescente aggressività altrui e propria.
Vincere l’analfabetismo sociale e la disabilità contemporanea verso il vivere civile è un compito nuovo della scuola. Far tenuta sui valori della convivenza, educare a trecentosessanta gradi: i ragazzi, i genitori e anche quella società che oggi la violenza la esibisce come forma accettabile del successo.

Mariapia Veladiano