Cipollone: «Ecco perché i test miglioreranno la scuola»

23.12.2013 09:12

Lorenzo Salvia intervista sul Corriere di domenica 22 dicembre l'ex presidente dell'Invalsi, Piero Cipollone: lo scopo dei test non è valutare i docenti ma aiutarli a migliorare nelle scelte didattiche.

«Ai test non bisogna chiedere più di quello che possono dare. L’apprendimento è un processo complesso, è fuori dal mondo l’idea di racchiuderlo dentro poche domande. Ma rinunciare ai test significa fare come quel malato che butta via il termometro per non sapere se ha la febbre oppure no. Una follia». Dal 2007 al 2011 è stato alla guida dell’Invalsi, l’istituto che si occupa dei famosi test standard, quelli che misurano il livello degli studenti a prescindere dal variabilissimo metro di giudizio dei loro insegnanti. Oggi è direttore esecutivo della Banca mondiale, a Washington. Ma ancora adesso Piero Cipollone non ha perso la sua passione per la scuola. Una passione che lo ha portato a seguire anche le critiche di Andrea Ichino, secondo il quale il ministro dell’Istruzione Maria Chiara Carrozza vorrebbe depotenziare proprio l’Invalsi e i suoi test.

Con la nomina del prossimo presidente c’è il rischio di un ridimensionamento dell’Istituto?
«Molto dipende dall’indirizzo politico che arriverà dal ministro. Alla fine dei giochi è quello che fissa la direzione da seguire».
Il ministro Carrozza ha detto più volte di voler rafforzare il ruolo degli ispettori.
«Giusto, sono fondamentali. Potrebbero essere quelli che aiutano le scuole a interpretare i risultati dei test che vengono restituiti alle scuole a settembre e, quindi, possono essere usati per impostare la didattica a inizio anno».
E cosa pensa delle cinque persone che siedono nel comitato che dovrà indicare la rosa per il nuovo presidente? Alcuni di loro sui test sono sempre stati critici.
«Ho letto le polemiche che ci sono state. Alla fine tutto dipenderà dalle candidature. I valori oggettivi emergono sempre, qualunque sia la visione di chi deve decidere».
Ma lei chi vedrebbe bene come presidente ?
«Ci vuole una persona fuori da ogni approccio ideologico, che capisca di dati e misurazione. Ma che allo stesso tempo abbia una grande sensibilità con le scuole, per far capire che bisogna lavorare tutti insieme, non l’uno contro l’altro, per migliorare il livello dell’insegnamento».
Ma, in Italia più che altrove, i test vengono guardati con sospetto sia dagli insegnanti sia dalle famiglie.
«Ed è un peccato. Nessuno è bravo o asino in assoluto ma ciascuno di noi ha i suoi punti di forza e i suoi punti di debolezza. I test servono proprio ad individuare gli uni e gli altri per consentire agli insegnanti di concentrare gli sforzi dove c’è più bisogno. Banalizzando un po’: cosa non funziona in questa scuola o in questa classe? L’algebra, le frazioni, i numeri negativi? E allora facciamo più esercizi su queste cose qui».
Alcuni insegnanti temono che il vero obiettivo sia un altro: legare il loro stipendio ai risultati dei loro studenti.
«Ma perché mai ci dovremmo occupare di una cosa del genere? Lei crede che un insegnante lavorerebbe meglio in cambio di 50 euro in più al mese? E non c’è il rischio che quel “meglio” si traduca poi in un’attività di “addestramento” ai test, per migliorare le risposte degli studenti ma non il loro livello di apprendimento?».
Anche in altri Paesi, in realtà, ci sono perplessità. Pure la Bbc ha recentemente criticato i test standard .
«I correttivi sono sempre possibili ma, a livello internazionale, la tendenza è chiara. All’inizio degli anni 90 l’Onu ha puntato sull’accesso alla scuola: garantire un’istruzione primaria a tutti i bambini in tutti i Paesi del mondo. Sostanzialmente la sfida è stata vinta, ma ci si è accorti che il numero di anni trascorsi in media a scuola non incide in maniera così forte sulla ricchezza e sul benessere del Paese. Non basta portare i bambini in classe, bisogna migliorare il livello della scuola».
E allora?
«Nel prossimo “Millennium development goal”, che l’Onu dovrebbe definire a settembre, ci sarà certamente un indicatore di qualità delle scuola da misurare proprio con dei test standard, come quelli Invalsi che si fanno in Italia, come quelli Pisa che si usano nei Paesi Ocse. Il mondo va in questa direzione. Non possiamo andare contromano».
Perché, cosa succederebbe?
«Getteremmo via il termometro per non sapere se abbiamo la febbre oppure no. Oggi i professori danno ai loro studenti gli stessi voti al Nord come al Sud: abbiamo le stesse percentuali di 5, le stesse percentuali di 6, di 7 e così via. Ma proprio grazie ai test standard sappiamo che, in realtà, il livello delle scuole del Nord è in media più alto di quelle del Sud. Quasi 100 punti in più che, sempre in media, vogliono dire una differenza del 2% nel tasso di crescita del reddito pro capite. Preferiamo far finta che questa differenza non esista? Oppure ne prendiamo atto, proviamo a ridurla e la controlliamo anno dopo anno?» .

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