Decreto-legge 112 e scuola: "Mission impossible"

06.08.2008 17:11

Gli obiettivi di risparmio che il decreto-legge n. 112/08, all'art. 64, indica per il settore dell'Istruzione Statale delineano un quadro di estrema problematicità sia per l'entità degli interventi, sia per la complessità delle procedure che occorre mettere in atto per il puro perseguimento, sia infine per l'intreccio delle competenze che sulla materia appaiono variamente distribuite tra diversi soggetti istituzionali.

L'ENTITÀ DELL'INTERVENTO

Come si evince chiaramente dalla relazione tecnica di accompagnamento del decreto-legge, si tratta di mettere in cantiere, in un triennio, la riduzione di oltre 67.000 posti del personale docente, ai quali si devono però sommare anche i 20.000 già previsti dalle precedenti finanziarie, per un totale di 87.000. Si consideri, per completare il quadro, che altri ulteriori 20.000 posti sono stati nel frattempo già tagliati nella fase precedente l'anno scolastico 2007/08.

Le cifre sono di rilevanza assoluta, ma la difficoltà a gestire una riduzione di tale portata può essere immediatamente colta se si considerano i disagi emersi in fase di determinazione dell'organico per il 2008/09, nonostante si trattasse di gestire una diminuzione di "solo" 10.000 unità. Proprio per le difficoltà emerse nelle diverse realtà territoriali si decise di articolare in due tempi l'operazione, suddivisa infatti in parte (60%) sull'organico di diritto e in parte (40%) sull'organico di fatto.

Immaginare di sovrapporre agli interventi già attuati un ulteriore taglio che, stando alla relazione tecnica, dovrebbe attestarsi sull'ordine delle 42.000 unità, appare francamente impossibile, a meno che non si intenda porre mano, più che ad una riforma, ad una vera e propria rivoluzione del sistema scolastico.

Per quanto riguarda, in particolare, la ventilata "rimodulazione" dell'organizzazione didattica della scuola primaria, non si può dimenticare che la riforma ordinamentale del 1990, preceduta da un'ampia e partecipata fase triennale di sperimentazione, si conformò sul più moderno e accreditato pensiero psico-pedagogico e sulle migliori pratiche che la ricerca e l'azione della scuola avevano prodotto. Dopo cinque anni di effettiva attuazione la riforma fu sottoposta ad un'attenta verifica parlamentare, voluta dallo stesso Legislatore, seguita da quella altrettanto approfondita della Corte dei Conti. Una verifica tecnica e politica, l'unica ad oggi, che sia fatta su una qualsiasi delle riforme del nostro sistema scolastico.

Non è dunque un caso, ma viene da questa storia, il fatto che ora la scuola primaria occupi un posto di assoluta eccellenza nelle classifiche internazionali e che permette ai ministri del nostro Paese di non arrossire nel confronto internazionale tra i diversi sistemi formativi.

Vi è poi un settore, quello della scuola dell'infanzia, in cui, stante l'elevato numero di richieste attualmente non accolte, non solo non è ipotizzabile una riduzione del servizio, ma vanno costruite le condizioni per dare risposte ad una domanda oggi largamente inevasa. Non a caso la riduzione di posti operata in attuazione delle precedenti finanziarie non ha visto un decremento degli stessi per tale ordine di scuola.

Ciò implica che le ipotizzate riduzioni, a differenza di quanto prospettato nelle diverse simulazioni fin qui prodotte, non dovrebbero riguardare questo primo segmento del percorso formativo. Tale scelta, che appare opportuna e a nostro avviso obbligata, comporta però che il peso della manovra si farà ancor più gravoso per i restanti gradi di scuola.

LA COMPLESSITÀ DELLE PROCEDURE

Il comma 4 dell'art. 64, nel declinare puntualmente le linee di intervento su cui dovrebbe orientarsi la definizione del piano triennale, di fatto rimette in discussione l'intero assetto del sistema scolastico nella sua dimensione didattico - organizzativa, chiamando in causa, fra l'altro, la ridefinizione dei curricoli, dei quadri orari, delle classi di concorso, dei criteri per la formazione delle classi, dell'organizzazione didattica della scuola primaria.

Anche ammesso che tutto ciò possa essere affrontato e risolto in tempi ragionevolmente contenuti, anche in virtù dell'ampio margine di cui dispone oggi la maggioranza di governo, appare come necessità obbligata e non eludibile quella di una fase di transizione che, almeno per il ciclo secondario, si proietta presumibilmente nell'arco di un quinquennio, non potendosi ovviamente immaginare uno sconvolgimento dei percorsi di studio già in atto, ai quali occorre garantire doverosamente l'indispensabile continuità.

Del tutto irrealistico, in particolare, risulta l'obiettivo di avviare un piano che così profondamente incide sulla struttura del sistema d'istruzione nei tempi ristrettissimi dati dalle scadenze connesse all'avvio dell'anno scolastico 2009/10: mancano infatti poco più di sei mesi alla scadenza (normalmente fissata a fine gennaio) dei termini per la scelta delle scuole e quindi per l'iscrizione alle stesse. Più o meno entro la stessa data devono essere attivate la procedure, amministrative e negoziali, relative alla definizione dell'organico e alla mobilità del personale.

A quanto detto non si possono non aggiungere, peraltro, i rilevanti profili di merito che, specie in riferimento agli aspetti didattico educativi, esigono di essere affrontati sulla scorta di un adeguato livello di elaborazione oltre che di un'auspicabile ricerca di ampio consenso in Parlamento e nel Paese.

L'INTRECCIO E IL POSSIBILE CONFLITTO DELLE COMPETENZE

Le dimensioni della manovra delineata nell'art. 64 presuppongono, per essere minimamente plausibili, un massiccio intervento di ridimensionamento non solo delle istituzioni scolastiche, ma dell'intera rete dei punti di erogazione del servizio. Questa copre, come è noto, una realtà territoriale fatta in gran parte di piccoli e piccolissimi comuni, per i quali la presenza della scuola rende concreto ed effettivamente esigibile l'esercizio del diritto allo studio.

Come è noto, l'art. 136 del decreto legislativo 112/98 prevede che tra le funzioni e i compiti riguardanti la programmazione e gestione amministrativa del servizio scolastico, delegati a Regioni, Province ed Enti locali rientri la programmazione della rete scolastica, attribuita alle Regioni, sulla base dei piani provinciali, e che l'istituzione, l'aggregazione, la fusione e la soppressione di scuole in attuazione degli strumenti di programmazione, nonché la redazione dei piani di organizzazione della rete delle istituzioni scolastiche sia di competenza dei comuni e delle province (articolo 139 del medesimo decreto).

L'attuazione del decreto-legge 112/08 comporterà, di fatto, attraverso la determinazione dei nuovi criteri per la formazione delle classi e del nuovo rapporto tra docenti e alunni, una limitazione delle competenze in questione, che se per le Regioni sono delegate (e quindi appartengono comunque in via primaria allo Stato), per quanto riguarda comuni e province sono state, invece, trasferite e quindi sono di loro esclusiva pertinenza.

I piani provinciali, quindi, non potranno che limitarsi ad adattare alle risorse umane, sempre più scarse, e alle modalità di formazione delle classi, la distribuzione delle "sedi di erogazione del servizio", non potendo tenere in pieno conto le esigenze delle popolazioni locali. Salterebbe, quindi, la spinta "federalista" quale prospettata dal nuovo articolo 117 della Costituzione e sarebbe fortemente limitata l'autonomia formativa delle istituzioni scolastiche, oltre che resa gravemente disagevole per l'utenza la fruizione del servizio scolastico: quante scuole - che sono i luoghi deputati a fornire tale servizio che garantisce il rispetto del diritto costituzionale allo studio - potranno sopravvivere tenendo conto delle limitate dimensioni di numerosi comuni? Dalle nostre analisi, desunte dai dati ufficiali forniti dall'ISTAT e dall'ANCI, risulta che nel nostro Paese esistono ben 5.756 comuni (71,05% del totale) con popolazione fino a 5.000 abitanti. In moltissimi di questi comuni, ed in particolare nei 1.627 (20,08%) che hanno una popolazione compresa tra i 1.000 e i 2.000 abitanti, ci chiediamo che fine faranno le piccole scuole che rappresentano spesso l'unico luogo di aggregazione e di crescita culturale per l'intera comunità.

Anche in relazione a ciò occorre tener presente l'autorevole monito contenuto in un passaggio della sentenza della Corte Costituzionale n. 13/2004, che, nel ribadire la competenza regionale in materia di programmazione e determinazione dell'offerta formativa, ha evidenziato come tale competenza debba essere esercitata proprio al fine di garantire la continuità di erogazione del servizio scolastico, che non a caso «la legge n. 146 del 1990 [legge sull'esercizio del diritto di sciopero nei servizi pubblici essenziali - n.d.r.] qualifica, all'art. 1, servizio pubblico essenziale».

Ed è solo in virtù di questa prioritaria garanzia di continuità del servizio che il Giudice costituzionale ha ritenuto legittima l'ulteriore operatività delle competenze statali «fino a quando le singole Regioni si saranno dotate di una disciplina e di un apparato istituzionale idoneo a svolgere la funzione di distribuire gli insegnanti tra le istituzioni scolastiche nel proprio ambito territoriale secondo i tempi e i modi necessari ad evitare soluzioni di continuità del servizio, disagi agli alunni e al personale e carenze nel funzionamento delle istituzioni scolastiche», tenendo conto del fatto che «alla erogazione del servizio scolastico sono collegati diritti fondamentali della persona, che fanno capo in primo luogo agli studenti ed alle loro famiglie, ma che riguardano anche il personale docente e le aspettative di questo circa la propria posizione lavorativa».

Ipotizzare, pertanto, attraverso i tagli proposti, la soppressione di sedi scolastiche configurerebbe non solo una operazione socialmente e culturalmente inaccettabile, ma violerebbe anche le chiare indicazioni costituzionali, che il Ministro, per primo, è chiamato, istituzionalmente e politicamente, a rispettare e garantire.