I provvedimenti sull'istruzione tecnica e professionale nel decreto (ora legge) "Bersani". Documento CISL e CISL Scuola

04.04.2007 20:00

Con l'approvazione da parte del Senato, si è conclusa la fase di conversione del decreto-legge n. 7 del 31 gennaio 2007 (il cosiddetto "Bersani-bis", ora legge n. 40 del 2.4.2007). Si apprestano ad entrare in vigore, quindi, le norme contenute nell'articolo 13 che modificano in modo significativo il sistema dell'istruzione secondaria superiore per come era stato strutturato dal decreto legislativo n. 226 del 2005, emanato ai sensi della legge delega di riforma n. 53/2003 dell'allora Ministro Moratti.

La CISL e la CISL Scuola hanno espresso fin dall'inizio riserve e perplessità a fronte della scelta del Governo di inserire materie così delicate e complesse nel corpus di un provvedimento nato essenzialmente con altri presupposti e per altre finalità, affrontato, e non solo per l'apposizione della fiducia in entrambi i rami del Parlamento, prescindendo da una piena ed intesa fase di concertazione sociale ed interistituzionale.

È chiaro quindi che il progetto di cambiamento affidato al decreto-legge, sul cui impianto generale insistono molti elementi validi per aprire una discussione di merito, soffre di un difetto di impostazione che andrà corretto nel successivo percorso di confronto con le Regioni e le parti sociali, senza il cui coinvolgimento i condivisi propositi di creare più efficaci sinergie tra scuola e territorio, con i suoi sistemi economici, culturali e del lavoro, rischiano di restare solo sulla carta.

Anche questa ultima esperienza conferma l'esigenza, posta da tempo dalla CISL e dalla CISL Scuola, di realizzare un nuovo "patto sociale" per la scuola e la formazione. Un patto fondato sulla concertazione e il dialogo interistituzionale che non sono il fine in se stessi ma il mezzo indispensabile per individuare e condividere scenari, priorità, obiettivi funzionali all'assunzione concreta della formazione, nelle strategie di rilancio del Paese, quale strumento privilegiato per la costruzione di cittadinanza civile e di progresso.

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1. Provvedimenti nel segno della discontinuità

Sul piano del merito, come anticipato, l'impianto generale dell'articolo 13 contiene elementi di significativa discontinuità rispetto al quadro delineato dalla riforma del 2003. Il cambiamento che si profila, è destinato, a regime, ad incidere profondamente sulle caratteristiche e l'identità del sistema educativo nazionale, con riflessi non marginali anche sul percorso di attuazione del Titolo V della Costituzione in materia. Per questo, ne vanno attentamente valutate luci ed ombre.

Gli istituti tecnici e gli istituti professionali, come si ricorderà, erano sottoposti nel contesto della riforma, ad una forte modifica: trasformati di fatto in licei economici e licei tecnologici, articolati in indirizzi.

L'art. 13 del decreto, invece, ripristina l'assetto precedentemente previsto dal T.U. approvato con il d.lgs. 16 aprile 1994, n. 297 e ricolloca gli istituti tecnici e gli istituti professionali, assunti nella loro originaria struttura ordinamentale, all'interno del sistema dell'istruzione secondaria superiore al fianco dei licei. Va comunque sottolineato, con riferimento alla sola istruzione professionale statale, la norma già contenuta nella legge finanziaria per il 2007 (art. 1, comma 605, lettera f) che prevede la riduzione delle ore di attività per gli studenti da 40 a 34 ore. Intervento che a nostro giudizio non può comunque indebolire un'organizzazione didattica che deve misurarsi efficacemente con l'obiettivo di lotta all'insuccesso scolastico.

Dal testo del decreto 226 vengono quindi soppressi tutti i riferimenti al "liceo economico" e al "liceo tecnologico". Viene conseguentemente riformulato anche il primo comma dell'articolo 1 del decreto (Secondo ciclo del sistema educativo di istruzione e formazione), sia per esplicitare la nuova composizione del sistema dell'istruzione secondaria superiore, comprendente oltre i licei l'istruzione tecnico-professionale, sia per collocare all'interno del secondo ciclo la figura dell'obbligo di istruzione, innalzato al primo biennio degli istituti di istruzione secondaria superiore.

Gli istituti tecnici e gli istituti professionali sono quindi riordinati e potenziati come istituti tecnici e professionali appartenenti al sistema dell'istruzione secondaria superiore, finalizzati istituzionalmente al conseguimento di un diploma. Essi attivano ogni opportuno collegamento con il mondo del lavoro e dell'impresa, enti locali, le università, la formazione professionale e gli enti di ricerca (art. 1 bis).

Con uno o più regolamenti del Ministro della pubblica istruzione, da adottarsi entro il 31 luglio 2008, saranno previsti:

  • la riduzione del numero degli attuali indirizzi e il loro ammodernamento nell'ambito di ampi settori tecnico professionali, articolati in un'area di istruzione generale, comune a tutti i percorsi, e in aree di indirizzo, con conseguente riorganizzazione delle discipline di insegnamento al fine di potenziare le attività laboratoriali, di stage e di tirocinio;
  • la scansione temporale dei percorsi e i risultati di apprendimento;
  • il monte ore annuale delle lezioni (in coerenza con quanto già disposto dalla Legge Finanziaria);
  • l'orientamento agli studi universitari e al sistema dell'istruzione e formazione tecnica superiore (IFTS).

L'innovazione ordinamentale decorrerà dall'anno scolastico 2009/2010.

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2. I nodi da sciogliere

La CISL e la CISL Scuola hanno da sempre evidenziato l'esigenza di non disperdere il patrimonio dell'istruzione tecnica e professionale, che la proposta di "licealizzazione" avanzata nel d.lgs 226 certamente avrebbe prodotto.

Quello sull'identità e il valore specifico di queste aree di studi e soprattutto sull'incardinamento istituzionale degli istituti tecnici e professionali tra Stato e Regioni è un dibattito complesso e ancora aperto.

L'indiscutibile necessità di un rilancio dell'istruzione tecnica e professionale, nella sua dimensione educativa e di professionalizzazione, va però collocata in una visione strategica più ampia, riferita cioè all'insieme dell'offerta del sistema di istruzione e formazione, andando oltre le nominalistiche ripartizioni di competenza su singoli pezzi di quel sistema, tra le istituzioni.

Ogni intervento di modifica e di riordino che non affrontasse contestualmente i nodi dell'organicità, accessibilità, equità dell'offerta rispetto alla domanda e rispetto agli esiti, anche in funzione di una più effettiva lotta alla dispersione ed all'insuccesso scolastico, rischierebbe di produrre risultati parziali. Infatti è ormai evidente che le chiavi di lettura dell'efficacia, della qualità, dell'inclusività del sistema consistono nella chiarezza dell'identità dei percorsi, nella comparabilità/equivalenza formativa degli esiti, nella validità e spendibilità dei risultati - crediti, titoli e qualifiche - a livello nazionale e comunitario.

Per questo, pur condividendo la necessità di operare una seria riorganizzazione di queste aree di studi, riteniamo che vada fatta chiarezza sulla loro nuova identità e "natura".

Questo in particolare per gli istituti professionali, la cui originaria caratteristica distintiva - la possibilità cioè di rilasciare al termine del triennio qualifiche e diplomi professionali spendibili nel mercato del lavoro - sembrerebbe superata dalla previsione di una sola terminalità quinquennale, "istituzionalmente" finalizzata al diploma di istruzione secondaria superiore.

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3. Le ricadute del riordino sul sistema dell'istruzione e della formazione  professionale

Lo stop al progetto, peraltro mai avviato, della licealizzazione dei tecnici e dei professionali era un atto necessario, in nome della tradizione formativa di istituti che hanno prodotto per il paese intelligenze, competenze, professionalità indispensabili alla crescita del sistema economico e produttivo locale.

La scelta di riordino operata dall'articolo 13, però, non sarà priva di effetti per l'altra "componente" dell'offerta educativa per come è stata disegnata dalla legge delega 53, esplicitata dal d.lgs. 226 e riconfermata nella sua articolazione "binaria" proprio dallo stesso decreto 7: "il sistema dell'istruzione e della formazione professionale", finalizzato - evidentemente - al conseguimento di qualifiche e titoli spendibili sul mercato del lavoro, nazionale e comunitario.

Un'area questa, termine maggiormente appropriato anche alla luce dei più recenti sviluppi (l'innalzamento dell'obbligo e relative misure attuative), che oggi coincide essenzialmente con le sperimentazioni dei percorsi triennali avviati nel 2003 arricchiti, in alcune esperienze regionali, con il 4° anno di diploma e realizzati secondo una pluralità di modelli formativi e di valenza istituzionale, che gli attuali standard di riferimento - tardivamente assunti - non riescono ancora a ricondurre in una logica nazionale. Ma che comunque, ad oggi, sono stati frequentati da 80mila ragazzi circa, con esiti (occupazionali e formativi) da monitorare sistematicamente e più a fondo ma certamente non trascurabili.

Se quella dei triennali si confermasse come l'unica offerta formativa disponibile nel contesto dell'istruzione e della formazione professionale di competenza regionale, erogata con le stesse modalità, sempre più indebolite anche nell'aspetto del finanziamento, è più che evidente che ci troveremmo di fronte ad uno squilibrio che metterebbe seriamente in discussione il progetto di un sistema educativo nazionale, unitario, internamente articolato in percorsi di pari dignità.

Di fronte a quella vera e propria sfida, posta come cardine della riforma del 2003, la CISL e la CISL Scuola non hanno mai opposto pregiudiziali ideologiche: l'articolazione e il pluralismo dell'offerta formativa sono un valore quando a tutti i percorsi,  in particolare quelli finalizzati ad un titolo o qualifica professionale, viene assegnata e riconosciuta una chiara identità e una pari dignità culturale.

Ma proprio su questo terreno ha fallito quella riforma: per non aver compreso che il valore professionalizzante della qualifica triennale (che per l'Europa è il traguardo minimo indispensabile per il successo formativo) è rafforzato proprio dalla solidità e "incrementabilità" delle sue basi culturali; per non aver compreso l'urgenza di riscrivere regole e standard selettivi e trasparenti per il mondo della formazione professionale.

Sebbene si comprenda, quindi, la volontà dell'Amministrazione di ridefinire i livelli essenziali delle prestazioni (LEP) per l'istruzione e la formazione professionale definiti dal d.lgs. 226, non appaiono purtroppo chiari la direzione e i contenuti di questo cambiamento. Dalla lettura dell'art. 13, infatti, si può solo desumere che quei LEP non sono il parametro legislativo di riferimento ai fini dell'accreditamento delle strutture di Istruzione e Formazione Professionale.

Resta però il fatto che se altri e diversi saranno i LEP richiesti, è indispensabile assicurare a questo percorso che, lo ricordiamo, è l'altro sistema  del secondo ciclo del sistema educativo di istruzione e formazione una pari dignità più volte dalla la CISL e la CISL Scuola evocata e con maggiore energia dovrà essere perseguita oggi, se non si vuole dare all'istruzione e formazione professionale una connotazione residuale e di addestramento.

La definizione, istituzionalmente concertata, delle linee guida finalizzate agli "organici raccordi" tra i percorsi degli istituti tecnico-professionali e i percorsi di istruzione e formazione professionale potrebbe rappresentare una opportunità per giungere, con il contributo delle parti sociali, a "intese alte" in nome dell'interesse generale del Paese, su politiche e strumenti per garantire il diritto all'apprendimento lungo l'arco della vita al maggior numero di lavoratori e cittadini, giovani e adulti, come condizione privilegiata della loro partecipazione attiva allo sviluppo e alla coesione.

La concertazione economico sociale ha dimostrato di fornire contributi costruttivi al consolidamento del sistema di formazione iniziale, superiore e continua. Oggi è in discussione, finalmente a livello nazionale, in un tavolo unico, il tema delle qualifiche professionali, degli standard e dei dispositivi di certificazione.

Da questo tavolo, se mantenuto nella sua unitarietà, potranno derivare importanti e concreti risultati che consentiranno, in linea con l'Europa, di creare quel fondamentale linguaggio comune tra i sistemi educativi, formativi e del lavoro a vantaggio dei giovani e dei lavoratori.

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4. I poli tecnico-professionali

Il decreto-legge prevede  la possibilità di costituire in ambito provinciale e sub provinciale, «Poli tecnico-professionali» di natura consortile, tra gli istituti tecnici, gli istituti professionali, le strutture della formazione professionale accreditate ai sensi dell'art. 1, comma 624 della legge 27 dicembre 2006, n. 296 e le strutture operanti nel sistema IFTS, denominate «istituti tecnici superiori» nel quadro della riorganizzazione di cui al comma 631, art. 1 della legge finanziaria.

Questo al fine di «promuovere in modo stabile e organico la diffusione della cultura scientifica e tecnica e di sostenere le misure per la crescita sociale, economica e produttiva del Paese». Ovvero, secondo quanto illustrato dal relatore del provvedimento alla commissione Industria del Senato, nei Poli "vengono sviluppati i corsi, promossi anche su iniziativa delle regioni, per le qualifiche, gli istituti di formazione superiore, nei quali potranno essere veicolate le conoscenze tecniche e scientifiche a impatto immediato con il mondo del lavoro".

La costituzione dei Poli tecnico-professionali avviene sulla base della programmazione dell'offerta formativa delle Regioni, che concorrono alla loro realizzazione «in relazione alla partecipazione» delle strutture formative di loro competenza (quindi, anche accreditate). Lo stesso progetto dei Poli, che pure potrebbero rappresentare una importante  risorsa formativa, culturale, di innovazione per lo sviluppo del territorio, non può restare ai margini di un disegno normativo che voglia sostenere strategicamente lo sviluppo del sistema con più incisività e efficienza.

Il legame tra le diverse strutture afferenti ai Poli può trovare un minimo denominatore nel comune riconoscimento della forza e del valore educativo, culturale, produttivo, tecnologico, economico di una azione formativa aggregata, complessa, posta in relazione dinamica con il territorio di riferimento - grazie al valore aggiunto della programmazione negoziata territoriale - di cui interpreta fabbisogni professionali e di sviluppo.

Se i Poli hanno quindi delle reali potenzialità, sulla cui rilevanza convergono esperti e studiosi, queste interessano principalmente la qualità del processo formativo in termini di arricchimento dell'offerta formativa, di costruzione di raccordi organici e stabili tra i sistemi e tra questi e il sistema sociale, produttivo ed economico locale.

In ogni caso si tratta di materia estremamente sensibile, su cui da anni si è consolidata una importante pratica negoziale e di concertazione con le parti sociali e le Regioni, che non può essere marginalizzata ma che, anzi, va assunta esplicitamente in chiave strategica e di accompagnamento alla istituzione dei Poli.

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5. La questione delle risorse

Una riflessione merita, in conclusione, la questione delle risorse. Pur essendo collocate in un provvedimento di carattere economico, le disposizioni in materia di istruzione, e più in particolare quelle riferite alle innovazioni ordinamentali e organizzative per l'istruzione tecnica e professionale, sono prive, purtroppo, di una specifica dotazione di risorse.

Quella delineata è una operazione ingente, che tocca elementi cruciali del sistema, con non poche ricadute anche sul personale. Avrebbe perciò richiesto investimenti adeguati, nel contesto più generale di una seria riflessione sulla insufficiente dotazione di risorse per la scuola.

Si ripropone, invece, il vincolo rigido e restrittivo che vuole l'attuazione delle norme a carico delle risorse umane, finanziarie e strumentali disponibili, senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica.

Certamente non un buon viatico per il processo di cambiamento e per la conseguibilità degli obiettivi.