Economia e politica, proprio come negli anni '80

25.10.2018 12:05

"La manovra è espansiva ma manca di visione, quasi che si sia voluto buttare paglia su un fuoco che si sta spegnendo: la fiamma si ravviva per qualche secondo, ma poi torna tutto come prima." (Mauro Magatti sul Corriere della Sera del 25 ottobre 2018)

Il debito pubblico italiano è esploso negli anni ’80 quando, nel giro di pochi anni, il rapporto rispetto al Pil è schizzato dal 60 al 100%. Anche quelli erano anni di cambiamento: mentre il mondo virava verso un nuovo modello di crescita, il sistema politico italiano cercava i propri equilibri, con il Psi di Craxi a contendere la leadership del Paese a una Dc ormai esangue. Le cose però non andarono come sperato: tra i due principali partiti, che avevano visioni del mondo diverse, la lotta politica fu fatta dentro il governo a colpi di spesa pubblica usata per battere il proprio alleato-competitor. Così, in dieci anni, i risparmi accumulati nel periodo del boom, invece che finanziare una nuova stagione di crescita, furono bruciati nel grande falò dei titoli di Stato che, nel sostenere i disegni politici di Dc e Psi, garantirono a molti italiani rendite mai viste prima.
Tra il tempo che stiamo vivendo e gli anni 80 è possibile scorgere alcune preoccupanti analogie. Anche oggi, come allora, ci sono due partiti al governo in competizione tra loro. E come è stato evidente in queste settimane, entrambi hanno cercato di mettere nero su bianco alcune delle promesse fatte ai loro elettorati. Il risultato è una finanziaria in cui è difficile scorgere una logica unitaria: tra reddito di cittadinanza e condono fiscale c’è oggettivamente una incoerenza di fondo.
Anche oggi, come allora, stiamo attraversando un cambio di fase storica. La stagione della globalizzazione espansiva è finita e siamo in un momento in cui si vanno riscrivendo i rapporti di forza a livello internazionale. Col ritorno della politica come mediatore tra gli interessi nazionali e i processi globali. Ciò comporta la necessità di capire come si va configurando il mondo, così da attrezzarsi di conseguenza, nelle sue dimensioni economiche (vedi il tema del lavoro) e politiche (che per noi significa prima di tutto rapporti con l’Europa).
Nel dibattito pubblico, da qualche anno l’austerity è diventata il nemico numero uno. Termine che ricorda le politiche economiche volute dalla Germania, seguite da Bruxelles e arrivate in Italia attraverso il governo Monti. A dire il vero, le critiche all’austerity sono giustificate: se si fanno politiche restrittive, diminuisce il Pil e aumenta il debito. Di fronte ai problemi sociali e ai conseguenti sbandamenti delle democrazia occorre puntare sulla crescita. Giusto. Ma attenzione: la crescita deve essere sostenibile. Dal punto di vista ambientale, sociale ed economico.
Per molti aspetti, la legge finanziaria che comincia l’iter in Parlamento riporta l’Italia agli anni del tramonto della prima Repubblica, agli anni cioè della spesa facile. Dei 33 miliardi di manovra, ben 22 sono in deficit dichiarato (ammesso e non concesso che gli altri 11 miliardi trovino poi le coperture indicate). Gli intenti elettorali di breve periodo sono evidenti. Non a caso il governo ha garantito la disponibilità delle principali misure già nei primi mesi dell’anno (entro marzo, cioè prima delle europee).
La manovra è espansiva ma manca di visione, quasi che si sia voluto buttare paglia su un fuoco che si sta spegnendo: la fiamma si ravviva per qualche secondo, ma poi torna tutto come prima. Anzi peggio. L’errore sta nel non capire il cambiamento storico in atto: l’epoca di una crescita trainata dai consumi è finita. Certo i consumi sono importanti. Sempre. Ma la crescita si regge nel tempo se si diventa capaci di investire seriamente sul futuro, senza bruciare le risorse (che sono limitate) per sostenere i consumi nel breve termine.
Per indicare la dipendenza dal gioco, la lingua inglese usa il termine addiction. Parola che viene dal latino addictum che indicava colui che, pur rimanendo cittadino de iure, de facto perdeva la propria libertà a causa dei troppi debiti. Una manovra espansiva tutta centrata sull’aumento del debito e sul sostegno al reddito dà un messaggio sbagliato al Paese. Finendo per renderlo addictum! Proprio come è accaduto negli anni 80.
Il cambiamento di cui l’Italia ha bisogno è molto diverso: ci vuole sì una politica economica espansiva. Ma le risorse aggiuntive devono servire per investire (davvero) nel futuro: rafforzando gli investimenti pubblici e privati, i giovani e la natalità, la formazione e la ricerca, la lotta al dissesto idrogeologico, al degrado del patrimonio culturale e delle periferie. Occorre opporsi ai diktat della finanza e dei mercati speculativi, ma dicendo loro che si sta lavorando per creare un patto sociale tra tutti gli italiani che vogliono combattere gli sprechi, lottare contro l’evasione (di recente stimata in 110 miliardi di euro!), sconfiggere la corruzione e il clientelismo. Si libera veramente il popolo se la politica si mette a capo di tutti coloro che lottano contro chi distrugge risorse e sfrutta il lavoro. Federando tutti coloro che creano nuovo valore (economico ma anche ambientale, culturale, sociale) per sé e per gli altri. Nella prospettiva di un modello che fa della logica della sostenibilità integrale il proprio criterio di riferimento. Insomma, avevamo capito che l’Italia avesse bisogno di un cambiamento profondo. Non di un ritorno alle origini del nostro declino.

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