Noi europei e le paure da vincere

22.12.2016 10:22
Categoria: Articoli giornale, COSTUME, POLITICA

L’Europa non è quella che vorremmo. È una sovrastruttura burocratica che fa a volte da moltiplicatore della crisi, a volte da capro espiatorio. Ma l’Europa esiste. E se a definirla non riusciamo noi europei, provvedono i nostri nemici. La libertà delle donne, la democrazia, il sentimento cristiano, la convivenza tra le religioni sono valori che fanno ormai parte delle nostre coscienze, ma rendono gli integralisti islamici feroci sino al sangue (Aldo Cazzullo, Corriere della Sera, 21 dicembre 2016)

L'attacco alla Francia il 14 luglio, festa laica della libertà, dell’uguaglianza, della fraternità. L’attacco al Natale in Germania, il mercatino, le luci, le bancarelle, la gioia di condividere e stare insieme. Un attacco alla civiltà europea. L’anno scorso al Bataclan morirono ragazzi di 19 Paesi diversi, tra cui un’italiana: Valeria Solesin, 28 anni. A Berlino un’altra famiglia dispera per un’altra giovane donna: Fabrizia Di Lorenzo.
L’Europa non è quella che vorremmo. È una sovrastruttura burocratica che fa a volte da moltiplicatore della crisi, a volte da capro espiatorio. Ma l’Europa esiste. E se a definirla non riusciamo noi europei, provvedono i nostri nemici. La libertà delle donne, la democrazia, il sentimento cristiano, la convivenza tra le religioni sono valori che fanno ormai parte delle nostre coscienze, ma rendono gli integralisti islamici feroci sino al sangue. L’Europa del resto è nata dalla più grande tragedia della storia, la seconda guerra mondiale. In un contesto ovviamente diverso, in una capitale-simbolo come Berlino, all’ombra dei resti della chiesa dell’imperatore Guglielmo ribattezzata chiesa della pace, l’Europa si ritrova nel dolore, riconosce se stessa nella volontà di resistere e di reagire.
Ma come? È fondamentale tenere i nervi saldi. Non chiudersi in casa. Vivere il Natale nella dimensione spirituale e familiare, delle chiese e anche dei mercatini. Non negare le nostre paure, ma con le nostre paure imparare a convivere, sino a vincerle. Nello stesso tempo, lo spirito irenico con cui una parte dei media e della rete minimizza gli attentati non aiuta né a capire, né a sconfiggere gli attentatori e i loro mandanti. La tesi del lupo solitario, del pazzo isolato non regge più. Saranno anche solitari e pazzi, o meglio plagiati; ma agiscono con una strategia ben precisa, seguendo ordini, seminando terrore. Li anima l’odio per il cristianesimo, nella versione aperta e dialogante uscita dal Concilio, riconciliata con il liberalismo, i diritti dell’uomo, la separazione tra Stato e Chiesa. Il martirio di Berlino è doloroso, come quello di padre Jacques Hamel, sgozzato sull’altare nella sua chiesa vicino a Rouen; ma è ancora più terribile la persecuzione vissuta dai cristiani in Medio Oriente, in Egitto, nel Darfur, nel Nord della Nigeria e in altre zone dell’Africa subsahariana.
Tra gli obiettivi del terrorismo c’è quello di indurci a isolare l’Islam europeo, a diffidare in blocco degli immigrati di prima e seconda generazione, a trattarli con maggior durezza in modo che sia più facile radicalizzarli per i predicatori del male. È una trappola in cui non dobbiamo cadere. Immigrazione e terrorismo sono due fenomeni diversi. Ma è fondamentale che i musulmani di casa nostra condannino sempre e a chiara voce la violenza, senza ambiguità. Ed è importante porsi questioni e cercare soluzioni, senza per questo essere tacciati di islamofobia o xenofobia.
L’Italia non ha avuto un impero coloniale vasto e duraturo come quello francese e britannico. A differenza della Germania, ha costruito il suo sviluppo industriale con le migrazioni interne e non facendo arrivare milioni di turchi (e poi iraniani e pachistani). Il suo Islam l’Italia se lo sta costruendo in questi ultimi decenni. Ma non scegliendolo; subendolo. Attraverso l’immigrazione clandestina. Non c’è dubbio che la stragrande maggioranza dei migranti voglia solo sfuggire alla guerra e alla fame. Ma in queste condizioni far entrare in Italia quasi mille stranieri al giorno, senza saper bene che farne, è alla lunga insostenibile. Dobbiamo continuare a salvare vite, e a essere orgogliosi dei volontari che lavorano per l’accoglienza. Dobbiamo impedire forme di sfruttamento e di arricchimento ai danni dello Stato. Ma soprattutto dobbiamo far intervenire l’UE.
L’Europa, unificata dal dolore, deve scendere in campo. Soccorrere i profughi siriani e delle altre guerre. Rimpatriare chi non ha diritto all’asilo. Stroncare il traffico degli scafisti, moderni negrieri, padroni della vita e della morte di donne e bambini inermi. Riprendere il controllo dei porti libici, sostenendo l’embrione di Stato che faticosamente si sta creando. Non sono cose che si fanno in poco tempo; ma di tempo in inutili vertici se n’è perso sin troppo. Incalzare i governanti, e superare la paura: non c’è altra strada. Lo dobbiamo a Valeria Solesin, a Fabrizia Di Lorenzo, alle ragazze di una generazione con cui l’Italia è stata poco generosa - quanto infelice suona oggi la frase del ministro Poletti - ma che non hanno piagnucolato, si sono date da fare, hanno studiato all’estero. Il loro percorso è stato interrotto. Non erano eroine; si sono trovate al posto sbagliato nel momento sbagliato. Ma altre ragazze seguiranno le loro orme, si metteranno in gioco, studieranno, ricercheranno; e costruiranno quell’Europa dei popoli e dei valori che il terrorismo islamico vorrebbe distruggere.

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