Caro musulmano i tuoi fratelli adesso siamo noi

16.07.2016 18:28
Categoria: Articoli giornale, COSTUME, POLITICA

"Tuo fratello non è più il camionista di Nizza, ma il bambino che le sue ruote hanno stritolato sul selciato. Non puoi continuare a negare l’evidenza o a girarti dall’altra parte. Hai oltrepassato quel confine sottile che separa il menefreghismo dalla complicità" (Massimo Gramellini, La Stampa, 16 luglio 2016)

Caro musulmano non integralista che vivi in Occidente, esci fuori. Lo so che esisti, ti ho conosciuto. In privato mi hai confidato tante volte il tuo sgomento per l’eresia wahabita che ha deformato il Corano, trasformando il suicidio in un atto eroico, e la tua rabbia verso la corte saudita che si atteggia a nostra alleata e invece finanzia quell’eresia dai tempi di Bin Laden. Il piano degli aspiranti califfi è piuttosto chiaro: utilizzano ragazzotti viziati come gli stragisti del Bataclan e relitti umani come il camionista che ha seminato la morte sulla promenade di Nizza per alimentare la paura e l’odio verso l’Islam, così da portare i razzisti al potere in Occidente e creare le condizioni per innescare una guerra di civiltà. È la trama dei fanatici di ogni epoca, la conosciamo bene. Negli Anni Settanta del secolo scorso il terrorismo di sinistra insanguinò le nostre strade con altri metodi (bersagli simbolici e non indiscriminati) ma identici obiettivi: scatenare la rivoluzione. Fallì quando l’operaio comunista che credeva suo alleato gli fece il vuoto intorno. E l’operaio gli si rivoltò contro perché aveva qualcosa da perdere: una casa, uno stipendio, un pallido benessere. Nessuno, credimi, fa la rivoluzione se ha qualcosa da perdere. Il simbolo di quel cambio di stagione fu il sindacalista Guido Rossa, che pagò con la vita la rottura dell’omertà in fabbrica.

Oggi Guido Rossa sei tu. Ti auguro lunga vita, ma è da te che ci aspettiamo il gesto che può cambiare la trama di questa storia. I farabutti che sgozzano in nome dell’Islam non vengono dal deserto: sono cresciuti in Occidente e quasi sempre ci sono anche nati. Frequentano i tuoi negozi e le tue moschee, parlano la tua lingua, credono (a modo loro) nella tua religione. Hanno figli che vanno a scuola con i tuoi, mogli che chiacchierano con la tua. Per troppo tempo li hai guardati come dei fratelli che sbagliavano, ma che non andavano traditi. Non condividevi i loro comportamenti, ma non te la sentivi di denunciarli: in qualche caso per paura, ma più spesso per una forma perversa di solidarietà religiosa e razziale.

Adesso però il gioco si è fatto troppo duro e non puoi più restare sull’uscio a osservarlo. Adesso anche tu, come l’operaio comunista di quarant’anni fa, hai qualcosa da perdere. Bene o male l’Occidente ti ha accolto, offrendoti la possibilità di una vita più dignitosa di quella che ti era consentita nella terra da cui sei scappato. Ora sei uno di noi. Tuo fratello non è più il camionista di Nizza, ma il bambino che le sue ruote hanno stritolato sul selciato. Non puoi continuare a negare l’evidenza o a girarti dall’altra parte. Hai oltrepassato quel confine sottile che separa il menefreghismo dalla complicità.

Facciamo un patto. Noi cercheremo di tenere i nostri razzisti lontani dal governo e di migliorare il livello della sicurezza, anche se è impossibile proteggere ermeticamente ogni assembramento umano. Tu però devi passare all’azione. Devi prendere le distanze dagli invasati che si sentono invasori e dagli imam che li fomentano. Denunciarli, sbugiardarli, controbattere punto su punto le loro idee distorte. Pretendendo, tanto per cominciare, che nella tua moschea si parli la lingua che a scuola parlano i tuoi figli: francese in Francia, italiano in Italia. Senza di te perderemmo la partita. Ma vorrei ti fosse chiaro che fra gli sconfitti ci saresti anche tu.

La Stampa, 16 luglio 2016